Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Etienne Jules Marey
Un preambolo esteso.
Rovistando fra i cataloghi delle biblioteche di Chioggia, Padova e Venezia mi era possibile ad un certo punto di ordinare ed avere poi in visione un bell’esemplare ben conservato de “La machine animale” di Etienne Jules Marey. Ne restavo impressionato per la bellezza della scrittura francese, chiara e ad ogni passo univoca nel farsi comprendere. Mi tornava in mente la sentenza del geniale torinese transitato in Francia, il conte de Rivarol, che suonava in un perentorio “ce qui n’est pas clair n’est pas français”. Ma questo inciso che può sembrare aggiunto per un diletto snobistico, erudito e fuor dalla realtà attuale è invero ben più addentro a tale realtà di quanto non si creda. Un Veneto, già operaio delle miniere belghe, già alpino di leva con il padre reduce della campagna di Russia, mi raccontava che, stante la sua trentennale dura esperienza di cavatore di carbone e poi di macchinista specializzato in una fabbrica di automobili nei pressi di Liegi, ogniqualvolta deve oggi scorrere le istruzioni per l’uso d’una macchina tecnica ricorre alla fine all’attenta lettura dei “mot d’employ” più che delle “istruzioni per l’uso” in virtù dell’estrema precisione e duttilità del francese. Leggendo l’opera di Marey non ci si inganna punto sulle qualità della sua lingua. Egli è effettivamente un maestro dell’esplicazione precisa e univoca dei fatti osservati.
Altrettanto restavo colpito dalla qualità delle illustrazioni del volume, fra le quali se la memoria non mi cela qualche scambio di prospettive, si dovevano trovare alcune iniziali cronofotografie, il preannunzio del cinema. Restava però introvabile quel libro, importante in alto grado per la fama del medico, di cui è argomento in questo capitolo ed in quello passato scritto nel mio francese che credo stilisticamente piuttosto zoppicante pure se esso venne pubblicato senza variazioni eccetto qualche correzione ortografica dalla rivista di Beaune nel numero dedicato al ricordo di Marey. Rovistando in altri cataloghi italiani non ero riuscito a imbattermi mai in “Le vol des oiseaux”. E ciò, devo dire, mi parve strano.
Lo trovai a Zurigo, in una succursale della biblioteca, ben fornita invero, del locale e antico politecnico dislocata sulle colline a settentrione della città. Complice un impiegato dalla parlata lombarda, rimpiattato in una piccola guardiola solitaria e presto incuriosito dall’elegante veste tipografica ottocentesca del tomo impolverato potevo accomodarmi su di un minuscolo tavolino posto nei pressi d’una bella stufa e sfogliare a mio agio le pagine e, volendo, pure copiarne a ricalco disegni o diagrammi. Queste attenzioni avevo in grazia del regolamento dell’istituzione che se giustamente proibiva il prestito sconsiderato di opere rare, ne consentiva però l’uso completo purché fosse fatto a modo e non risultasse pericoloso per rilegatura e carta.
Mi limitavo solo a scorrere le pagine. I risultati fondamentali per la disciplina aeronautica del Marey sono, come già si è potuto dedurre dal capitolo in francese, interessanti oggi solo in guisa di documento del folclore europeo e nordamericano sostanziato di invenzione e miraggio aereo quale si venne a creare quasi per generazione spontanea nel momento in cui si comprese, alla fine del secolo decimonono, che conquistate le velocità su rotaja dalle vaporiere e secate le onde marine dagli snelli piroscafi mossi da eliche turbinanti, al genio positivista mancava solo la potestà sull’aere. Un solo frullo d’ali di lare sulla Senna o sul Tamigi o sulla Sprea, ancora era bastevole a far cadere la presunzione tecnica di poter quasi tutto…
Infine, con un foglietto di delicata carta velina facevo notare al bravo bibliotecario come si potessero eseguire con la massima cura e ottimo risultato dei bei ricalchi dalle splendide illustrazioni del volume storico. Sceglievo per la dimostrazione un’illustrazione che Marey mutuava dal Mouillard e rappresentava il trasformarsi della siluetta d’un gabbiano al variare del suo volo: in planata o volteggio a vela le ali erano estese al massimo e lievemente dirette verso il procedere della rotta, esse si atteggiano quindi come le braccia d’un entusiasta che sembra voglia abbracciare un sole che sorge dal mare in aurora. Oppure, in volo battuto, esse si atteggiano mediamente falcate e assumono una forma che fa sembrare capo, corpo e coda del gabbiano come il fuso vivente innestato su di una lettera M a gambe e steli ben divaricati. Ed eseguito il ricalco lo mostravo al bibliotecario il quale avevo intuito esser ben incline a passare qualche tempo in conversazione, dato che il suo posto nell’obliata guardiola gli permetteva ogni dì di imitare la giornata immersa nel silenzio operoso d’un frate benedettino, e del quale soprattutto avevo capito il gusto per i bei volumi, curati nell’arte tipografica e nell’eleganza della coperta e della rilegatura. Al vedere il mio delicato e ben riuscito ricalco egli annuiva davvero soddisfatto. Aveva ora un argomento in più, e provato sotto i suoi occhi, che per gli antiquati volumi è giustissima la proibizione di trarne delle copie fotolitiche che li rovinerebbero in breve tempo, e che comunque al volenteroso che ne volesse proseguire lo studio, cura, abilità manuale, senso della modestia e del rispetto per l’opera passata, e un minimo di capacità figurativa permettevano di trarre tutte le copie che si vogliano da un tomo antiquato.
Con l’arte dei ricalchi non andavo oltre la figurina dei due gabbiani. Ciò era in fondo quanto mi bastava, e tanto per non allontanarmi con un taccuino e dei foglietti troppo disadorni, mi trascrivevo qualche bella descrizione dal cristallino francese di Marey ed annotavo alcuni dati dai vari diagrammi. Dopo il commiato con il bravo bibliotecario uscivo dal minuscolo locale intiepidito della stufa per trovarmi in un viottolo fra alberi ed arbusti in discesa, diretto verso la fermata del tram. Il cielo era, nel dì di fine novembre, grigio e nuvoloso ma sulle creste che si intravedevano dei monti dell’Oberland alcuni baleni di puro celeste chiaro sembravano voler avvertire del prossimo arrivo del solstizio d’inverno.
Nel viottolo di campagna, una scorciatoja, osservando le nuvole mi avvedevo che un rapace, un astore forse o un bozzago, volteggiava alcune decine di metri sopra le cime arboree incurante della vita affannata della città distesa sulle colline digradanti al lago. Non è stato un caso raro a Zurigo. In primavera proprio sulla salita che porta al Politecnico, la Rämistrasse, poco prima del fabbricato centrale, della bella architettura di Gottfried Semper, un bozzago perlustrava a volo la piazza antistante l’illustre istituzione e incappato in una bolla d’aria riscaldata dal sole sopra la copertura scura del manto stradale, lento saliva di quota, ad ali immobili come un aliante, allontanandosi poi verso la collina. Nibbi dalla caratteristica coda forcuta e dalla bella siluetta ad M allargata come i lari li ho visti invece assai spesso nella passeggiata sull’Utoquai, il lungolago settentrionale della città che si prolunga ad oriente con una teoria di casette decorate in direzione di Meilen, dove una fabbrica di biscotti si erge, simulando un naviglio ormeggiato, sui muri lambiti dalle acque.
Devo a Franco Müller, il germanista allievo del professor Sonderegger, di cui ho raccontato nel capitolo sulle pietanze fatte con il Buchweizen o grano delle faggi, dettagliate e vivide descrizioni del volo di lari e nibbi e storie continue sul meraviglioso mondo dei rapaci di cui egli è un attento osservatore, in grazia d’una vista molto acuta, nei tragitti sul lungolago e sui viottolini e le strade collinari di quel soleggiato cantone alpino e lacustre. Dello stile di queste descrizioni qualcosa forse si intravede pure in queste linee, mutuato pure dal dono che avevo ricevuto di alcuni suoi antiquati manuali e in tedesco e in italiano che oggi possono apparire inattuali ma che pure erano e sono di lettura davvero grata. In questi volumetti dalle pagine ingiallite, era palese l’avveduta intenzione di trasmettere le percezioni il più raffinate possibili nell’osservazione d’un lontano rapace in volo, e così si leggono le precise descrizioni di come all’occhio dell’osservatore appaiano piume e colori e forme del volatore, e queste sempre congiunte alla meravigliata contemplazione del paesaggio d’intorno, divenuto il teatro vivente di rocce, erbe ed alberi della sacra rappresentazione. Pagine di prosa per nulla prive d’una suggestione d’arte.
Da documentato cronista degli aeroplanini di carta quale sono, dicevo a Franco Müller che in questa continua disciplina, a lato del suo vero studio, lui risultava in certo qual modo un allievo seppure indiretto del grande Arnold Böcklin, il quale si distraeva dalla pittura divenendo l’appassionato e indomito pioniere aeronautico, al pari di Marey, pronto a redigere fogli e fogli di avvenute osservazioni di uccelli corredati di schizzi di traiettorie. Il grande pittore svizzero si era pure addentrato, con un coraggio pari alla più disperata incoscienza, nel tentativo di costruirsi una macchina volante con la quale porsi in volteggio sopra le colline delle sue due stazioni creative: Zurigo e Fiesole. Böcklin fu salvo per i provvidenziali colpi di vento che avevano distrutto ancora ormeggiata al suolo l’ultima sua macchina, che era delicata e sarebbe risultata ingovernabile in volo se i giochi di vento e nubi si fossero sciolti dalla muta congiura protettiva.
*** *** *** ***
Quando Etienne Jules Marey dà alle stampe il suo volume di ricerche dal titolo “Le vol des oiseaux” un’indagine che fosse accurata come necessario su questa forma di moto della fauna era fatto acquisito. L’opera del bavarese J.J. Prechtl, apparsa in quel di Vienna nel 1846 e titolata “Untersuchungen ȕber den Flug der Vȍgel”, ovvero “Studi sul volo degli uccelli” conteneva i primi risultati fondamentali di tale indagine, quale ad esempio possiamo annoverare la constatazione che alle differenze morfologiche dell’ala e delle piume remiganti corrispondono due differenti tipi di volo: quello a vela, che si svolge con rari battimenti d’ala, o quello battuto, dove l’ala è posta al contrario in un continuo remeggio fatto di alzate e battute.
Un altro volume che seguiva ed era titolato, “L’empire de l’air”, dato alle stampe nel 1881 dal suo Autore, Louis-Pierre Mouillard, continuava la ricerca concentrandosi piuttosto sul volo veleggiato dei grandi uccelli rapaci quali avvoltoi o nibbi. Mouillard era il primo a riconoscere l’importanza che assumono i movimenti di torsione delle estremità alari nel cambio di rotta presso gli avvoltoi.
Gli argomenti sviluppati da questi grandi autori sono tutti ripresi nell’opera di Marey che però aggiunge a tal patrimonio intellettuale ereditato le proprie osservazioni e vi immette la propria eccezionale esperienza di fisiologo ed inventore di metodi di registrazione grafica ed ottica in vari casi ancora oggi in uso.
Se il libro “Le vol des oiseaux” diviene in breve tempo un’opera cui molti altri autori in seguito fanno riferimento, ciò è in virtù del suo carattere di collezione completa di tutti i documenti e dati e ipotesi che costituiscono lo stato del sapere d’un’epoca in unione ad uno sguardo acuto lanciato sull’avvenire che si percepisce leggendone le pagine. Ma, ancora, per comprenderne a fondo la fama raggiunta si deve pure tenere in conto che il libro traspare subito come opera d’un genio multiforme che alberga nell’Autore, medico, inventore, scrittore ed artista.
È argomento ora di questo capitolo il mostrare per sommi capi l’influsso esercitato da Marey sui pionieri del volo e sugli scrittori d’aeronautica tedeschi perché se un’esposizione tenuta a Beaune, città d’origine del medico, corredata da un catalogo esauriente e approfondito ha messo in luce quale fu l’influsso diretto , dovuto spesso a contatti personali, del Marey sui pionieri francesi del volo, può essere tuttavia interessante di variare il panorama e cercare di scorgere se altrettanto sia avvenuto, eventualmente in forma attenuata e indiretta, anche oltre la frontiera germanica.
Da un primo scorrere dei documenti più immediati sembra potersi dire che l’influsso dell’opera del Francese sugli autori tedeschi è tenue e sottile più che palese e marcata. D’altra parte i compatrioti di Otto Lilienthal avevano già in questi, autore di “Der Vogelflug als Grundlage fȕr die Fliegerkunst”, in italiano “Il volo degli uccelli quale fondamento dell’arte del volare”, un maestro indiscusso, caduto sul campo lungo i suoi coraggiosi esperimenti, e avevano nel suo libro un’opera di riferimento di eccezionale valore. Vi è da aggiungere che il valore del libro del pilota germanico perdura ancora oggi.
Tuttavia proprio la consegna data ai pionieri dell’avvenire da Lilienthal, che conosceva da ingegnere le capacità propulsive dell’elica, di continuare ad indagare senza posa il volo che gli uccelli compiono con il loro elegante e misurato battito d’ali è esattamente ciò che costringe i lettori tedeschi del grande pilota di Anklam a rammentarsi anche dell’opera di Marey. Va aggiunto a questo punto che se un influsso esiste ed è tenue e sottile non per questo esso risulta meno importante. Il lavoro del medico di Beaune è di certo noto al Lilienthal dato che questi era lettore attento della “Zeitschrift fȕr Luftfahrt", ovvero della “Rivista dell’aeronautica”. In quest’ultima il nome di Marey era apparso ma di esso non vi è in ogni caso traccia nel libro “Der Vogelflug als Grundlage fȕr die Fliegerkunst” .
Il nome del medico di Beaune appare invece nella corrispondenza privata dei fratelli Otto e Gustav Lilienthal a varie riprese. La prima volta è in una lettera che Gustav invia il 16 di marzo del 1889 ad Anna Rothe. Nel testo si racconta delle lezioni tenute dal famoso fisico Hermann Helmoltz all’università berlinese cui si deve dedurre aveva presenziato in forma di semplice uditore il Lilienthal artista. Gustav era infatti un Baumeister, un titolo assimilabile a quello d’un architetto non accademico, ed era un bravo decoratore. Le lezioni ivi son descritte in termini vivi e quasi lirici e di poi vi è un’aggiunta in queste linee le quali in tutta evidenza si riferiscono all’opera di Marey:
"Ein Franzose hat Momentbilder von Moeven aufgenommen, welche unsere Theorie der Schwungfedern sehr gut veranschaulichen, ohne dass er selber sich dessen bewusst ist."
Possiamo tradurre il breve inciso all’incirca in questi termini: “un Francese ha effettuato delle foto istantanee di gabbiani le quali dimostrano molto bene la nostra teoria sulle piume remiganti. E ciò senza che il loro Autore ne sapesse qualcosa.”
Si trovano infine due lettere indirizzate ad Otto Lilienthal da un ufficiale dell’esercito bavarese che diviene in seguito ben noto come costruttore dei dirigibili senza intelaiatura interna, August von Parseval, le quali ci fanno incrociare una seconda il nome di Etienne Jules Marey. Nella missiva del 2 ottobre del medesimo 1889 l’ufficiale bavarese alludendo al proprio libro di recente pubblicato ed avente come argomento la meccanica del volo degli uccelli elogia l’opera “La machine animale” del medico di Beaune, libro che precede, essendo del 1873, il ben più noto “Le vol des oiseaux” e che contiene alcune annotazioni sperimentali sulla cinematica dei moti delle ali. È la lettera di poco successiva, quella del 2 dicembre 1889 a fare un riferimento preciso su “Le vol des oisaux” ed il suo Autore a proposito delle famose cronofotografie dei gabbiani ivi pubblicate le quali, scrive il Parseval nella sua lettera, confermano le proprie, del luogotenente bavarese, teorie sull’ala.
Dunque pare in quest’epoca più che mai evidente un grazioso tot capita tot sententia riguardo alle teorie sul misterioso battito delle ali degli uccelli che ancora cela il segreto del volo…
In un’operetta di divulgazione del 1910 dedicata al volo e scritta dallo zoologo Oskar Prochnow si effettua una breve panoramica sulla celebre tavola disegnata che mostra, a pagina 173 del libro di Marey, la decomposizione del volo d’un gabbiano. La tavola è riprodotta tal quale sul libretto tedesco e viene impiegata a fine di mostrare che lungo il battimento di ali il gabbiano in crociera non tiene una velocità orizzontale costante ma questa decresce nell’alzata d’ala e aumenta lungo la battuta. Sempre in questo breve saggio dal titolo “Vogelflug und Maschinenflug” il dottor Prochnow riporta da Marey la traiettoria intricata in una forma “ad otto”delle estremità alari degli insetti durante il loro volo.
Appare evidente come dal 1910 in poi, fino alla fine del primo conflitto che deve deflagrare di lì a poco, cedano i possibili riferimenti all’opera del medico francese: l’aeroplano conquista ormai l’aria, è sempre più smisuratamente veloce, infine sta per divenire una macchina da guerra. Esso si è dunque definitivamente allontanato dal suo ispiratore naturale: al primo devono dedicarsi gli sforzi irti di complicate equazioni matematiche e i calcoli intricati di integrali e derivate lunghi pagine, all’ispiratore alato e vivente necessitavano solo le romantiche continue e attente osservazioni di una sparuta pattuglia di naturalisti ed esploratori. È solo dunque dal 1920 con l’avvio della grande avventura del volo a vela che ricomincia a manifestarsi dell’interesse per il volo degli uccelli e quindi per l’opera di Marey.
In effetti nel 1921 un professore di botanica di Amburgo, Ahlborn, che nel 1898 aveva posto all’attenzione dei confratelli ricercatori le straordinarie caratteristiche di un minuscolo aliante vegetale, la Zanonia macrocarpa, pubblica presso la W.G.L., la “società scientifica per lo studio del volo”, un fascicolo titolato “Der Segelflug”, “Il volo a vela”, nel quale sono riportate ed accettate le osservazioni di Marey riguardo al battito delle ali degli uccelli, alle traiettorie, ora ellittiche, delle loro estremità, e le sue conclusioni sullo spostamento del centro di gravità del volatile una volta che esso transiti al volo planato. L’anno successivo, appare sempre per i tipi della W.G.L. un fascicolo in risposta di Theodor Dreisch, “Der Segelflug und die Theorien zu seiner Erklȁrung”, “Il volo a vela e le teorie per una sua esplicazione”,. Detto studio è un documento importante per la collezione che effettua di tutte le teorie sul volo a vela avanzate dagli autori d’ogni epoca le quali sono di poi discusse alla luce della meteorologia che è una disciplina che muove i primi passi proprio in virtù delle necessità dell’aeronautica. In questo fascicolo si nomina addirittura il venerabile ed antico trattato scritto da Federico II di Svevia ed illustrato dai disegni del medesimo, il famoso “De arte venandi cum avibus” dedicato alla falconeria, entro il quale appare netta per la prima volta la distinzione tra il volo sostentato dai battiti d’ala e il volo planato effettuato ad ali immobili. Tanto per sgomberare il campo da certo romanticismo che condensa fantasie con troppa facilità Dreisch riporta il calcolo effettuato da Marey sull’impossibilità per un uccello di cinque chilogrammi di peso d’avere una spinta aerostatica verso l’alto che sia maggiore di due centesimi di grammo. L’uccello dunque vola ed è più pesante dell’aria che esso sposta e non beneficia, in virtù delle sue ossa pneumatiche o del suo calore interno, di alcun sostentamento da pallone aerostatico. La vittoria del più pesante dell’aria, argomento peraltro intessuto con arte narrativa in margine al famoso romanzo di Céline “Morte a credito” aveva dunque un’importante prova predittiva fin dal libro di Marey. Il sostentamento dell’uccello nell’aria si fa quindi per via soltanto aerodinamica! Lungo le pagine del fascicolo Marey, Mouillard, l’inglese Hankin dall’Himalaya, Pierre Idrac dalle distese atlantiche sono gl’interlocutori costanti dell’autore germanico.
I grandi cerchi disegnati nel cielo dai rapaci come le poiane nel loro volo a vela, scrupolosamente osservati da Mouillard, Marey e dagli altri autori sono esplicati correttamente per via dell’abilità innata del volatore nello sfruttare le correnti d’aria riscaldata dalla radiazione solare che ascendono nel mare dell’atmosfera. In modo differente e complementare per i grandi volatori di mare si propone l’esplicazione più prossima al vero d’un volo planato che recupera quota grazie alle differenti velocità fra gli strati d’aria distesi sulla superficie ondosa, più lenti, e quelli superiori dalla crescente rapidità. Per studiare questo tipo di procedere, Pierre Idrac, che in tal modo prosegue e completa l’opera di Louis-Pierre Mouillard, effettua negli anni che vanno dal 1919 in poi dei filmati il cui risultato estetico è alquanto suggestivo. Dalla nave si osservano gli albatri abbassarsi in planata fino quasi a toccare le creste delle onde, un colpo d’ala li fa virare di 90 gradi in direzione del vento che investendo i volatori di fronte li alza, sempre ad ali immobili. Guadagnata la massima quota possibile con un colpo d’ala gli albatri mutano di nuovo la rotta di 90 gradi ponendosi a perpendicolo del vento per ridiscendere verso le onde in volo rettilineo planato. Questi magnifici volatori percorrono così in traiettorie ondulate distanze elevatissime che li portano lontani dalle coste verso l’ignoto delle sterminate vastità marine. È impossibile in ogni caso non rammentare Marey vedendo le serie di fotogrammi pubblicate da Idrac nei suoi resoconti di navigatore. Ed altrettanto, osservando nei fotogrammi le siluette aggraziate degli albatri affrontare le masse oscure delle onde, come non ricordare le due poesie a loro dedicate, una da Charles Baudelaire e l’altra da Friedrich Nietzsche?
A questo punto vi è da constatare che pure negli anni 20, oramai inoltrati verso la tecnica più evoluta, il volo vivente cela in ogni caso dei segreti il cui interesse non è ristretto solo alla cerchia dei naturalisti.
Nel 1925 Gustav Lilienthal dà alle stampe una sua opera il cui titolo è alquanto indicativo “Die Biotechnik des Fliegens”, ovvero “La biotecnica del volo”. Torna a far capolino dalle pagine di questo volume germanico la famosa tavola di decomposizione del volo del gabbiano tratta dalla pagina 173 de “Le vol des oiseaux” di Marey. Non vi sono troppe esplicazioni all’immagine che sembra per questo porsi più ad ornamento delle pagine per la sua bellezza che non necessaria alla comprensione teorica. È questa, nell’opera, la sola referenza concessa a Marey pure se, leggendo fra le righe, il fatto può apparire d’un valore tutto particolare, ovvero del tacito omaggio di uno dei Lilienthal ai lunghi studi effettuati dal medico di Beaune. In questo libro il pioniere tedesco rammenta un suo fascicolo titolato “Ruderflug, ein wenig beachtetes Naturwunder”, ovvero “Il volo battuto, prodigio della natura poco osservato” e pubblicato in precedenza da una casa d’edizione dal nome singolare e anticipatore: “Naturschutz Verlag”, che è come scrivere “Edizioni a protezione della natura”. Appunto un segno dei tempi.
È qui giocoforza di constatare come Marey sia stato un precursore a varie direzioni e messaggi: il suo fucile cronofotografico cattura immagini di vita e non uccide ed è così segno di protezione e omaggio alla natura, ed il suo mirare agli uccelli risulta simbolo contrario ad un’epoca di crescente imbarbarimento culminato, quasi a sigillo di tragedie a venire, dalla famosa spietata strage delle aquile avvenuta in Gran Bretagna negli anni di fine ottocento. Possano valere queste poche note di omaggio a Marey, Mouillard, Prechtl, Lilienthal, Hankin, Idrac e agli altri studiosi del volo vivente.
Negli anni 30 è acquisita per i naturalisti tedeschi la tecnica cronofotografica, divenuta ora cinematografica, e varie e numerose sono le opere e gli studi pubblicati sul volo vivente. E si mantiene anche la norma di tradurre i fotogrammi in disegni per meglio arrivare alla comprensione di movimenti. Sulle riviste e sulle bibliografie di libri si fa strada si può dire quasi d’imperio il nome d’un giovane medico austriaco, Konrad Lorenz, autore d’una dissertazione, per l’ulteriore titolo dottorale di biologo, dal titolo esplicito, ”Beobachtetes ȕber das Fliegen der Vȍgel”, “Cose osservate sul volo degli uccelli”. In questa tanto gli studi di Marey quanto quelli di Idrac sono rammentati pure se l’autore intesse un solo unico omaggio esplicito agli studi d’un predecessore: ovvero a quelli del naturalista Karl Milla.
Uno scorrere del “Journal fȕr Ornithologie” delle annate 20 e 30, e delle varie opere dedicate al volo vivente, ancora e spesso le illustrazioni paiono essere tratte dal libro di Marey. Ed è con una certa sorpresa che addirittura verso la fine degli anni 30, quando tutta l’aviazione, compresa quella a vela, si è evoluta ad un livello tale da non lasciar più molto interesse riguardo a ciò che si possa mutuare dal volo vivente, una serie di scritti di Alexander Lippisch, progettista e costruttore del primo aereo a razzo che vola a oltre mille chilometri l’ora, ritorna al volo battuto degli uccelli. Gli articoli di Lippisch, del 1938, sono rivolti non solo ai colleghi ma soprattutto alla numerosa legione di aeromodellisti che in Germania si cimentano con le costruzioni più originali e a volte più strane. Si erano avuti da questa legione, pure se di rado, notevoli transiti di idee verso il mondo che esige massima sicurezza ed attenzione della vera aeronautica. Lippisch avverte dunque di rivolgere una volta ancora l’attenzione al volo battuto del quale egli suppone ch’esso sia quello che a basse velocità è il più efficace pure in base alle leggi dell’aerodinamica, oltre ad essere quello più equilibrato dinamicamente. Il grande costruttore indica infatti due semplici evidenze che sottraggono il volo battuto all’esatta aerodinamica degli aeroplani per riportarlo entro il campo dell’ignoto. Dell’ala battente dell’uccello in realtà noi non conosciamo né la direzione delle linee di corrente d’aria intorno ad essa né il moto sulla superficie piumata dello strato limite dell’aria medesima.
In una serie di questi articoli Lippisch documenta il suo testo riproducendo tutte le famose cronofotografie del gabbiano e ad esse aggiunge i disegni sulla decomposizione del volo apparsi nel libro di Marey! Tali immagini servono al costruttore tedesco per esemplificare un fatto interessante: in volo di crociera la parte mediana dell’ala del gabbiano svolge la sola funzione portante mentre è la parte estrema che con la torsione in guisa d’una pala di elica risulta propulsiva. In seguito a quest’intuizione Lippisch con la propria squadra di ingegneri e modellisti costruisce degli aeromodelli dimostrativi ad ala battente che volano assai bene e stabiliscono pure dei record. A questi segue poi una serie di aeromodelli mossi da un motorino a benzina capaci di decollare proprio a battuta di ali ed elevarsi in crociera in perfetta sicurezza.
Quale ultimo risultato a coronamento di tale serie di esperienze davvero cariche di singolare valore tecnico e di grande bellezza, Lippisch culmina il proprio ciclo di scritti sul volo vivente con lo studio “Die Gesetzmȁssigkeit des Voglefluges”, che devo voltare per una maggiore comprensione in un titolo lievemente adattato alla nostra lingua: “La conformità a delle leggi matematiche del volo degli uccelli”, apparso sulla rivista scientifica “Der Biologe” nel quinto fascicolo dell’anno 1940. Il costruttore aeronautico riassume qui tutti i dati e le misure tratti dalle opere di coloro che egli nomina “die begeisterte Naturforscher”, gli “appassionati ricercatori della natura”, su battito d’ala, superfici della stessa, peso dell’uccello e via di seguito. Lo scopo è quello di arrivare a dei rapporti matematici generali che delimitino in costanti o in proporzioni il volo degli uccelli alla luce delle conoscenze aerodinamiche ordinarie.
Di nuovo sono Prechtl, Marey e Mouillard a fornire il loro patrimonio di dati raccolti a questo studio alquanto suggestivo. Quanto a Marey, in particolare, l’autore scrive di non potersi servire dei dati raccolti dal Francese perché essi si riferiscono purtroppo solo al decollo quando il battito d’ali è sensibilmente più rapido di quello ordinario del volatile in volo di crociera. Ciò vale ancora a documentare il modo rigoroso delle ricerche del medico di Beaune. Volendo ora tentare un riassunto dei risultati cui perviene Lippisch nel suo studio questi li condensiamo in tre asserti:
I la frequenza del battito d’ala in volo di crociera è proporzionale alla componente verticale, altrimenti nota come velocità di caduta, della velocità dell’uccello in volo planato (dunque in volo ad ali immobili e completamente distese);
II il rapporto peso dell’uccello sopra superficie media dell’ala distesa messo sotto radice quadrata e poi diviso dal prodotto di frequenza del battito d’ala per apertura delle ali dell’uccello è all’incirca costante e pari ad uno 0,6, (valore che non può non rammentare lo 0,618 della sezione aurea);
III la frequenza del battito d’ala moltiplicata pel quadrato dell’apertura dell’ala dell’uccello risulta all’incirca pari alla radice quadrata del peso dell’uccello.
Dunque potrebbe sembrare che gli uccelli possano scoprirsi delle nuove parentele attraverso queste leggi matematiche. Ma avviene più che altro che la nascente biomeccanica fondata da Marey si è evoluta e di molto, generando discipline affini quali la biotecnica, che nella pagina a fronte dello studio di Lippisch si trova tripartita in biomatematica, biofisica e biochimica. Più interessante di tale schematismo è la predizione del costruttore tedesco quando scrive che è sul volo degli uccelli che la ricerca del biologo e quella del tecnico possono avere il contatto più stretto. Come non aggiungere che questo costituisce una prova del ricordo futuro di Marey? E ciò ben lontano dal campo cui siamo soliti oggi associarne il nome, ovvero all’invenzione del cinema.
Violetta Valéry ritorna nel suo tempo: una Traviata ottocentesca per il Maggio Musicale
Firenze: una Butterfly d'eccezione per il centenario pucciniano
Madama Butterfly tra Oriente e Occidente: Daniele Gatti legge il capolavoro di Puccini
Una favola che seduce e incanta: Cenerentola di Rossini trionfa al Maggio
Un lampo, un sogno, un gioco: Gioacchino Rossini, Manu Lalli e l'incanto di Cenerentola