Rigoletto a Firenze

Fischiata la regia dell'opera verdiana, promossa la parte musicale

Al solito i registi esagerano e personalizzano quel che non appartiene loro, l'invenzione di un altro. È la solita storia, i nani sulle spalle dei giganti si sentono grandi

di Domenico Del Nero

Fischiata la regia dell'opera verdiana, promossa la parte musicale

Foto terra proget -Contrasto

Foto Terra Project -ContrastoUno spettacolo che ha riempito il teatro e fatto un deciso pieno di applausi, accompagnati però da qualche “dissenso con pernacchia”. Tutte, peraltro, dirette a un unico obiettivo: la regia di Henning Brockhaus  che ha destato le ire soprattutto dei “loggionisti”, nobile schiatta che si credeva ormai  in ribasso in riva d’Arno. Ma evidentemente il palazzo del duca di  Mantova ridotto a nani  (anzi, per la verità ce ne era uno solo) e ballerine sinceramente sembrava più acconcio ad una scenografia postribolare che non operistica. Che poi l’ambiente del palazzo ducale  ricreato da Francesco Maria Piave sulla traccia di Hugo possa per certi aspetti ricordare quello assai meno blasonato di certe maison d’ogni tempo ci può anche stare; a questo proposito, l’idea del color rosso dominante  nelle scene    di Ezio Toffolutti, simbolo forse un po’ scontato di sfrenata e lussuriosa passione non era  certo fuori tema.  Ma la scomparsa di quasi qualsiasi riferimento concreto alla corte, quella casa di Rigoletto stile  buco nel muro rialzato, la bellissima scena finale sul lungofiume che qui  non si riconosce per niente  finiscono con l’impoverire l’azione, se si eccettua per l’appunto quella di un gruppo di procaci e provocanti  (a volte sin troppo) discinte comparse  che erano in alcuni momenti decisamente fuori luogo. Spiace che il pubblico se la sia presa soprattutto con loro che ovviamente non sono responsabili, ma sarebbe bene che si incominciasse a riflettere sulla reale portata di certe letture “atemporali” o certe forzature del testo che finiscono poi per mettere in ombra anche alcuni aspetti pregevoli della messa in scena. Nulla di straordinario  anche i costumi  di Patricia Toffolutti anche se l’idea del “doppio abito”, da cortigiano e da buon padre di famiglia di Rigoletto è sicuramente valida per mettere in scena la doppia personalità del protagonista; ma l’aspetto modernamente clownesco del primo è  abbastanza banale.

Regia a parte però, (che è stata tra l’altro una sostituzione dopo il forfait di William Friedkin)  lo spettacolo fiorentino possiede  non pochi punti di forza. La direzione di Mehta, anzitutto, che sembra ormai consolidata in una lettura più articolata e ricca di sfumature delle partiture verdiane. Non sempre questo ha dato esiti felicissimi (si veda il caso dell’ultimo Falstaff) ma  Rigoletto è forse la prova migliore delle tre opere verdiane recentemente andate in scena nel capoluogo toscano.  Bellissime soprattutto le scene “notturne”, come l’incontro con Sparafucile o il temporale dell’ultimo atto, dove l’orchestra rivela sonorità e raffinatezze insospettate; ed è sicuramente da apprezzare l’aver evitato effetti “bandistici” , senza per questo smorzare il vigore drammatico dei finali e soprattutto del tema della “maledizione”. Davvero una lettura molto bella e intensa, che senza nulla togliere al vigore della partitura ne esalta però aspetti sicuramente graditi ai palati più esigenti.

Nella recita con il primo cast, Rigoletto era impersonato da Vladimir Stoyanov, navigato  baritono bulgaro dall’ottima dizione italiana, caratterizzato da una voce  non particolarmente potente, ma comunque morbida ed elegante e dotato di una notevole estensione. Il suo “Rigoletto” era un personaggio dolente e intenso,  più colto nella dimensione di padre sventurato che non di beffardo e cinico reietto.

Un po’ discontinua, ma nell’insieme positiva, la prova del tenore Ivan Magrì, dotato di una buona voce naturale e di un bel registro acuto,   ma con una tecnica non sempre perfetta, il che  è sicuramente penalizzante in un ruolo come quello del duca di  Mantova, caratterizzato da una tessitura non poco complessa.  Gilda era la russa Julia Novikova, che non ha convinto molto nel primo atto forse per una voce  dal tono un po’ aspro e poco cristallino, che dovrebbe invece caratterizzare l’eroina ancora pura e innocente. Molto migliore invece negli atti successivi, soprattutto in “tutte le feste al tempio” e nello straziante finale. Da segnalare il bellissimo Sparafucile di Giorgio Giuseppini, giustamente molto apprezzato, caratterizzato da una voce grave e profonda, che ha dato vita a un personaggio davvero riuscito: tutt’altro che caricaturale, duro e dignitoso al tempo stesso. Anna Malavasi è stata una Maddalena provocante e sensuale quanto basta, caratterizzata da un bel registro grave.

Encomiabile come sempre il coro del Maggio Musicale, che ha dato il meglio di sé sia sul piano vocale che su quello scenico, applauditissimo insieme al suo maestro Lorenzo  Fratini. Grandi applausi anche agli interpreti (soprattutto al baritono e alla soprano), all’ottima orchestra  del Maggio e ovazioni a Zubin Mehta. Insomma, uno spettacolo da vedere, a quanto pare nella versione di entrambi i cast.  ( la presente recensione si riferisce al primo cast,recita del 9 dicembre.)

Ultime repliche  il 12, 15 e 18 dicembre alle ore 20, il 20 alle 15,30.

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