Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
on so quanto corrisponda ad un corretto sistema democratico ciò che è accaduto in Francia. So soltanto, come lo sanno tutti gli osservatori attenti ed intellettualmente onesti, che da quelle parti, come altrove in Europa, la democrazia è malata. Con il 30% dei suffragi elettorali si può essere il primo partito a livello nazionale e non ottenere neppure una regione, come è accaduto al Front National, oltre ad avere soltanto due rappresentanti all'Assemblea nazionale, pochi sindaci e una sottodimensionata truppa di assessori e consiglieri locali. Finché il sistema elettorale rimarrà quello vigente e non garantirà una più legittima ripartizione degli eletti, un partito come il Front Nazional è destinato a restare marginale nei consessi politici ed amministrativi, mentre cresce il consenso attorno ai suoi temi, adottati anche dagli avversari. Paradossale.
Anche i più accaniti avversari della Le Pen convengono che quando le alchimie elettoralistiche si sovrappongono alle reali richieste del "popolo sovrano", la democrazia viene tradita. Il doppio turno, riesumato da Matteo Renzi con il suo Italicum, che prevedibilmente gli procurerà indicibili dolori, come fu con il Porcellum per Berlusconi (una condizione dissimile, ma parallela: quando si adattano le leggi elettorali ai propri interessi contingenti, non si avvelenano soltanto i pozzi degli avversari, ma anche i propri...), non garantisce una rappresentatività soddisfacente. Sicché basta la mobilitazioni di tutti contro uno, come è accaduto in Francia, per far fuori sei milioni e ottocentomila cittadini che hanno riversato i loro consensi sulle liste del Front Nazionale.
La democrazia degli oligarchi ha vinto ancora una volta. E, naturalmente, visti i risultati, gli stessi ispiratori della manovra antilepenista si guarderanno bene dal mettere mano ad una seria riforma elettorale: l'uninominale o il proporzionale garantirebbero tanto la rappresentatività, quanto la stabilità dei governi, posto che in Francia vige il semipresidenzialismo.
Marine Le Pen, com'è noto, ha perso due o tre regioni che riteneva di aver conquistato. E nessuno metteva in discussione l'esito finale: quando si prendono milioni di voti in cinque regioni è fin troppo logico che anche al secondo turno se ne abbia la conferma. La leader del Front National non aveva fatto i conti con il trasformismo dei socialisti (i peggiori politici d'Europa) e l'accondiscendenza (festosa, ma anche un po' vergognosa tanto da non sbandierarla) dei Républicains: divisi su tutto, ma uniti dalla volontà di non cedere neppure il più esiguo spazio.
Il partito di Sarkozy governava una sola regione, adesso ne governa sette. Valls, che non si è peritato di invocare lo spettro della "guerra civile" se avesse vinto la Le Pen, arriva a vantarsi di aver perso la maggioranza delle regioni nel nome di un sacrificio necessario per preservare i "valori repubblicani" minacciati. E così la destra post-gollista e i socialisti post-mitterrandiani potranno continuare a menarsela la storiella secondo la quale hanno salvato la Francia. Non ci crede nessuno.
Gli uni e gli altri, i nemici/amici, non capiscono più il loro Paese. La Francia profonda e tradita li respinge ed attende con ansia un altro momento per farsi sentire: le presidenziali del 2017 in vista delle quali l'union sacreé, durata lo spazio di una settimana, è già andata in frantumi. Sarkozy parla come la Le Pen, ma senza convinzione, viene abbandonato dalla sua più fedele supporter, stratega della campagna presidenziale, Nathalie Kosciusko-Morizet, si fa avanti per contendergli la candidatura il più accreditato Alain Juppé, mentre non arretrano una decina di altri pretendenti: la "balcanizzazione" dei Républicains somiglia ad un campo di battaglia dal quale nessuno uscirà vincitore. Valls, delfino di Hollande, come sempre, sta sulla difensiva e respinge le accuse di un governo inabile, sostenute dai Républicains. L'alleanza è finita, la guerra è ricominciata.
Ci si chiede come governeranno centrodestra e socialisti insieme nelle regioni conquistate con l'inganno, mentre a Parigi litigano furiosamente su tutto? E' un altro elemento che mette in discussione la democrazia francese che, fin dagli esordi della Quinta Repubblica, sembrava una delle più solide in Europa. Dopo aver dato vita all'indecente ammucchiata gli uni e gli altri continueranno a delegittimarsi reciprocamente, ma nello stesso tempo la loro agenda gliela scriverà Marine Le Pen le cui idee sono al centro della discussione politica oltre ad aver conquistato la maggior parte dei francesi a prescindere dalle appartenenze.
Destra e sinistra non significano più niente, dice la leader del Front, non senza ragione. Lo scontro è tra mondialisti e patrioti; tra chi vuole nazioni e Stati irrilevanti e sovranisti che non rinnegano l'Europa, ma la immaginano come una confederazione di culture, sentimenti, bisogni, generosità, identità "felici" che s'incontrano, diversità che si comprendono. I vecchi schemi non reggono più. Ci sarà pure qualcuno in Francia (come altrove) che lo spiegherà ai provvisori vincitori nella speranza che capiscano la gravità della situazione. E soprattutto c'è da augurarsi che la crisi della democrazia è figlia dell'ipocrisia degli oligarchi, lontani dal popolo e asserragliati nello loro casematte a difesa di un labile potere. A Parigi come Roma. Più o meno in tutta Europa.
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