Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Strana, stranissima sorte quella di Luigi Capuana (Mineo, 28 amaggio 1839 – Catania 29 novembre 1915). Scrittore bulimico, sovente per ristrettezze economiche, e dalla immaginazione sconfinata che spaziò dalla critica letteraria a quella teatrale, dalla poesia al romanzo, autore di centinaia di racconti e che si reinventò le fiabe attingendo alla tradizione e al folclore soprattutto siculo ma ne scrisse di completamente “nuove”, appassionato della scienza a lui contemporanea ma anche dell’occulto, dello spiritismo e di quella che allora si chiamava metapsichica e oggi parapsicologia, Capuana viene generalmente inserito nella storie della letteratura insieme a Verga, di cui fu amico e sodale, tra gli autori più significativi del verismo, del realismo, del naturalismo, insomma degli oggettivi scrutatori di fatti e sentimenti. Dopo la sua morte e per parecchio tempo venne soprattutto ricordato per le sue storie per ragazzi, soprattutto Scurpiddu (1898) e Cardello (1907), che francamente non reggono al tempo trascorso. In parte riscoperto a partire dagli anni Settanta del Novecento come favolista e novelliere con la benemerita pubblicazione de Racconti in tre volumi a cura di Enrico Ghidetti (Salerno, 1973) e di Tutte le fiabe (Oscar Mondadori, 1983; Newton Compton, 1992), peraltro entrambe raccolte non del tutto complete. Poi grazie a Simona Cigliana è stato ricordato il suo interesse per l’occulto con la ripubblicazione dei saggi Spiritismo? (1884) e Il mondo occulto (1896) ed una serie di altri interventi e articoli in un unico volume dal titolo Mondo occulto (Edizioni del Prisma, 1995). Poi è calato su di lui praticamene il silenzio a parte sporadiche antologie passate inosservate.
Eppure per chi s’interessi delle origini e degli sviluppi del fantastico italiano, Luigi Capuana è un nome importante ma quasi ignorato proprio perché grava su di lui l’etichetta di cui si diceva: apparentato a Giovanni Verga, ma un gradino più in basso, come esponente di punta del verismo italiano. Ma non c’è contraddizione, anche se può sembrare paradossale, tra il Capuana realista e il Capuana irrealista e favolista, tra l’autore di Giacinta (1879), Profumo (1891) e Il marchese di Roccaverdina (1901) e quello delle storie - assai di più di quanto non si creda - fantastiche e protofantascientiche? Come si conciliano le influenze di Zola con quelle di Hoffmann, Poe, Verne e Wells? La patologia dei sentimenti, l’indagine sociale e psicologica, la descrizione di follie, suicidi, morti, colpe, tradimenti, prevaricazioni con quella di eventi straordinari sul piano scientifico e metafisico?
Il nodo comune, l’intersezione fra loro, è la descrizione dei sentimenti umani quasi in modo “scientifico”. Capuana si comporta come una specie di anatomopatologo dell’animo umano e uomini e donne sono passati al microscopio sia di fronte ad eventi realistici personali e sociali sia di fronte ad occorrenze assolutamente non ordinarie: l’irreale e il fantastico, ma anche la novità scientifica e i fatti eccezionali. Sentimenti drammatici - odio, amore, violenza, inganno, sopraffazione, tradimenti, delitti – e eventi fuori dal comune – fantasmi, entità ultraterrene, vampiri, mostri, creati da esperimenti medici errati, invenzioni e scoperte che portano a conclusioni drammatiche - irrompono nelle vite dei personaggi dello scrittore siciliano e le sconvolgono. E’ da un lato la Patologia della realtà e dall’altro quell’avvento dell’Irreale, dell’Insolito, dell’Inconoscibile di cui parla Roger Caillois e che provoca lo sconvolgimento della quotidianità creando il Fantastico.
Capuana ne descrive prodromi, effetti, conseguenze e risultati. C’è dunque un collegamento, diciamo così metodologico, fra la vena realistic-psicopatologica e la vena fantastica o fantascientifica, senza che lo scrittore di Mineo fosse in contrasto con se stesso e la sua poetica, con le due fonti di ispirazione, che poi erano una sola: descrivere impersonalmente la patologia dei sentimenti umani di fronte all’improvviso presentarsi di un evento abnorme. A questa sua metodologia si deve aggiungere una perenne curiosità intellettuale per ogni novità su tutti i piani e la sua ricerca di nuove vie e sperimentalismi letterari: non per nulla fu amico di d’Annunzio e difese Marinetti durante il processo per oscenità contro il suo Mafarka.(1910). Alcuni esempi bastano a dimostralo, presi all’inizio, al centro e alla fine della sua carriera.
Luigi Capuana esordi ventottenne con un racconto pubblicato a puntate su «La Nazione» nell’ottobre 1867: il protagonista de Il dottor Cymbalus , che si autodefinisce “il genio del male, capace di distruggere e non di edificare”, opera un tale William, innamorato disperato, che gli chiede di essere privato dei suoi sentimenti: Cymbalus gli anestetizza per così dire il cuore, sede privilegiata delle emozioni, in modo da farlo diventare “una creatura senza affetti”. Prima soddisfatto del risultato alla lunga però William non sopporta di essere stato ridotto a una specie di automa e non potendo essere ri-operato per tornare come era prima, disperato ma umano, si suicida maledicendo la scienza. Il dottor Cymbalus ricorda non solo il predente dottor Frankenstein della Shelley (1b16) e il seguente dottor Moreau di Wells (1896), ma anche, particolare che nessuno ha messo in rilievo, il dottor Raymond, protagonista de Il gran dio Pan, uno dei capolavori di Arthur Machen (1894), il quale modifica la struttura cranica della giovane Mary per farle “vedere Pan”, vale a dire gli esseri antichissimi e amorali che vivono accanto a noi ma non percepiamo. Ovviamente tutte queste storie si concludono con esisti disastrosi.
In uno sei suoi ultimi racconti pubblicati da Capuana, ma non presente nelle sue molteplici antologie e che ho recuperato nel mio Le aeronavi dei Savoia (Nord, 2001) dedicato alla protofantascienza italiana, Capuana presenta un altro scienziato, il dottor Morini. In L’acciaio vivente, pubblicato da «Il Giornale d’Italia» il 1° ottobre 1913 sotto l’intestazione di “novella inverosimile”, si descrive l’invenzione di un prodotto, l’ “acciaina”, che serve come dice il nome a trasformare in acciaio “muscoli, fibre e nervi senza che essi perdano niente della loro delicatissima duttilità e acquistino allo stesso tempo un vigore di resistenza quasi infinita”. Ma qui, gli fa notare un anziano collega, ci andrebbero di mezzo anche i sentimenti. Ma per Morini esseri umani dai nervi d’acciaio, nel senso letterale del termine, potrebbero ben opporsi alla “crescente nevrastenia” (nel 1913!), “protrarre la giovinezza”, forse “sopprimere la morte”. Sicché il dottor Morini, per conservarla sempre giocane e bella, comincia a iniettare pian piano l’ “acciaina” nelle vene della moglie Zaira che inizialmente si mostra serena davanti a fatti terribili, poi sempre più indifferente. Alla fine però fibre e muscoli non sopportano l’esperimento, non resistono allo sforzo richiesto, “impotenti a riprendere le loro funzioni ordinarie”, fiaccati, stremati. All’improvviso il crollo, quello che oggi chiameremmo il rigetto dopo un trapianto:Guido Morini si trova di fronte ad “una creatura che non era una vecchia, bensì qualcosa di stremato, di avvizzito, di irriconoscibile”. Per troppo amore ha compiuto un orribile delitto e si ricorda delle parole del suo collega: “Sarebbe bene che certi esperimenti di laboratorio non riuscissero mai!”. Un monito inascoltato a distanza di un secolo…
Quindi la Natura ha ragione della Scienza e il positivismo, che dovrebbe essere alla base del verismo, è sconfitto. Sembra, come detto un paradosso ma è una costante di Capuana, alla fin fine.
Si ritrova infatti in altre storie che si situano lungo tutto l’arco della sua carriera:in La scimmia del prof. Schilz, ad esempio, in cui, forse dopo una lettura delle opere di Darwin, immagina che uno scienziato operi una scimmia per ampliare la sua scatola cranica, quindi dare più spazio al cervello e all’intelligenza. L’animale così “umanizzato”, s’innamora di una donna senza ovviamente essere corrisposto e quindi si uccide. Oppure nel famoso Un vampiro, spesso ristampato, in cui il dottor Mongeri ritiene l’ossessione della moglie per il suo primo marito defunto come una patologia psicologica, ma poi dopo aver visto lui stesso il vampiro psichico ne fa disseppellire il cadavere e lo fa cremare.
Un vampiro è un racconto apparso su «La lettura» nel 1904 e poi in volumetto nel 1907, mentre La scimmia del prof. Schilz è compreso nella antologia La voluttà di creare (19011) in cui sono riunite due precedenti, Il decameroncino e Il benefattore entrambe del 1901, dove sono riunite storie tutte di questo genere collegate fra loro da un filo conduttore, proprio come indica il titolo della pria di esse, ma ci sono moltissimi altri racconti in una vena simile sparsi nelle sue raccolte, da Storia fosca (1883) a Delitto ideale (1902).
Questa contrapposizione Natura/Scienza è presente anche in varie storie per ragazzi del nostro autore. Valgano come campione le quattro, mancanti nelle sue bibliografie e antologie, che vennero pubblicate nel 1908 nei fascicoletti della “Bibliotechina Aurea Illustrata” dell’editore palermitano Salvatore Biondo dove impazzava Emilio Salgari, e che ho recuperate e pubblicate come Quattro viaggi straordinari (Solfanelli, 1992). Come indica il titolo “alla Verne” raccontano dei viaggi effettuati da un ragazzo che incontra uno scienziato in altrettanti luoghi esotici o sconosciuti, ed hanno tutti una loro “morale” stile Capuana: che non rimane nulla della scienza che non si preoccupa dell’umanità (Nell’isola degli automi); che spesso gli animali sono più “umani” dell’uomo (Nel regno delle scimmie); che gli spiriti bizzarri possono creare qualcosa di positivo nonostante le critiche dei benpensanti e ortodossi (Volando); che la scienza può anche approfittare della superstizione per raggiungere i propri scopi (La città sotterranea). Nel contrasto fra umanità e scienza, anche qui alla fine quest’ultima risulta sempre perdente.
La parabola di Luigi Capuana sembra quasi quella di Arthur Conan Doyle che passò dal razionalismo assoluto di uno Sherlock Holmes allo spiritismo di cui divenne famoso sostenitore e divulgatore. Un aspetto dello scrittore siciliano che è come una filigrana sottotraccia della sua sterminata narrativa e che sarebbe il caso di riscoprire e studiare finalmente e in modo organico per fargli assumere il posto che gli compete alle origini del fantastico e della protofantascienza italiani.