Editoriale

Banche, truffe e altri guai. Paghi chi è responsabile

Non è giusto scaricare sempre i costi sulla comunità, e ancor meno giusto lasciare che i cittadini turlupinati restino con le pive nel sacco

Marco Di Eugenio

di Marco Di Eugenio

ulla questione banche in queste settimane si è detto di tutto e di più. Sperando di non essermi perso qualcosa, ecco alcune considerazioni fuori dal finanziariamente corretto. In linea di principio è bene che l’UE, introducendo dal 2014 una procedura di bail in (un sistema che prevede di salvare una banca utilizzando i soldi degli investitori invece che quelli dello stato), abbia evitato che il Governo italiano salvasse anche gli obbligazionisti subordinati (ricordo che i normali correntisti, tramite il fondo interbancario e le tasse sono assicurati fino a 100 mila euro).

Alla base della norma, infatti, c’è l’idea di responsabilizzare il risparmiatore rispetto a se stesso e alla banca: se volete contribuire al fallimento della vostra banca – si dice – sarete voi azionisti o obbligazionisti subordinati a pagarne il conto. Sono d’accordo. Non mi piace uno Stato che debba tutelarmi da me stesso. E poi perché le perdite di chi ha (legittimamente) cercato di far soldi con i propri risparmi dovrebbero esser messe sul conto di quei cittadini che magari non hanno nemmeno un centesimo in banca?

Faccio notare che l’obbligazione subordinata è un prestito che un privato fa alla banca ad un tasso di interesse elevato proprio perché queste obbligazioni, in caso di fallimento, vengono ripagate solo in subordine rispetto a quelle ordinarie.

Insomma, siamo alle solite italiane: privatizzare i guadagni e socializzare le perdite facendole pagare alla collettività con le tasse. E poi se tuteliamo quelli che hanno perso i soldi con le banche, perché non fare altrettanto con quelli che hanno comprato una casa prima della crisi e della pioggia di imposte dei governi tecnici? Mica versano in una situazione tanto diversa.

Poi, però, c’è un altro lato della medaglia. Se si osserva la vicenda delle quattro banche italiane fallite e degli obbligazionisti subordinati, infatti, ci si accorge che la situazione è più complessa. A sottoscrivere obbligazioni subordinate ci saranno stati sicuramente molti risparmiatori avidi e superficiali, ma anche altrettanti che sono stati ingannati o obbligati a farlo per accedere a un mutuo. È chiaro che, nel secondo caso siamo dinanzi a una truffa e a un’estorsione che gridano vendetta. Anzi giustizia. Ecco perché, piuttosto che reclamare il salvataggio di Stato (che peraltro l’Ue impedisce) a spese della collettività, la strada naturale sarebbe quella del ricorso alla magistratura. Comprensibile lo sconforto nell’affidarsi alle toghe italiane, ma è pur sempre preferibile all’altra soluzione.

A ben vedere, però, il problema è a monte. Più che le obbligazioni subordinate e il loro risarcimento, sono le banche. Quelle italiane rappresentano un sottobosco di intrecci e relazioni, dove la politica gioca sporco. Come ha scritto Mario Giordano “le banche sono come Robin Hood, ma all’incontrario. Tolgono ai poveri per dare ai ricchi”. E le Fondazioni, che dovrebbero essere la parte più nobile sostenendo il territorio e promuovendo la beneficienza, sono persino peggio. Basta vedere i loro consigli d’amministrazione zeppi di  politici, amici degli amici e trombati della politica.

Sarebbe auspicabile dunque un ripensamento più radicale di quanto fatto recentemente con le popolari. Ma se a farlo sono figli o figliocci di banchieri che hanno provveduto a creare questi guasti c’è poco da essere ottimisti…

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