Editoriale

Ho visto una luce di speranza nel futuro negli occhi dei miei giovani scolari. E allora buon anno!

Lettera aperta di un professore ai suoi allievi dopo 20 anni di insegnamento.

Domenico Del Nero

di Domenico Del Nero

ari ragazzi,

Sicuramente ne è passata di acqua sotto i Ponti d’Arno da quel lontano 1994, quando decisi di “fare un esperimento” e di accettare una lunga supplenza in un liceo classico d’una nota scuola cattolica fiorentina. Ricordo come se fosse ieri il volto della Madre Superiora, gran dama d’altri tempi che sapeva unire una straordinaria dolcezza a una fermezza esemplare. Da lei ho appreso tante cose e spero veramente che il buon Dio le abbia destinato un posto speciale, perche è stata veramente una Luce.  E ricordo, naturalmente, voi: la mia prima classe, un gruppo neppure troppo folto di diciassettenni spauriti che si chiedevano con quale razza di strano animale avrebbero avuto a che fare. Momenti indimenticabili: la notte prima della lezione, passata a ripassare forse più che per un esame; il primo voto che ho dovuto dare, la prima volta che ho riso e scherzato con voi …

La prima classe, come il primo amore, non si dimentica.  E in quel libro che in più di vent’anni è venuto componendosi voi, ragazzi di quei giorni lontani, occupate il primo capitolo. Siamo rimasti in contatto per tanto tempo poi, purtroppo, le strade di dividono … a volte si perdono di vista persino i figli, figuriamoci gli allievi! Ma quando mi succede di incontrarvi, nei lineamenti un po’ induriti dal tempo (e si spera solo da quello) non ho difficoltà a riconoscere i ragazzi di allora …. quelli che, per amore di un insegnante che pure era alle prime armi, ebbero il coraggio di combattere una battaglia che non ho mai dimenticato.

E dopo … tanti volti, tante storie. Dal “ Mugel selvoso”, sin nella remota Firenzuola, dove incontrai una classe talmente simpatica, piena di vita e di intelligenza che riuscì a farmi sorridere anche in quello che fu l’anno più terribile della mia vita;o  in Borgo San Lorenzo, dove mi sentii fare la fatidica domanda ….

Ma profe, i barbari si chiamano così perché avevano la barba lunga?

E i cinque anni nel Valdarno, terra che faceva arricciare il gran naso al Padre Dante, ma in cui ho trovato “esemplari” di rara volontà e umanità: ragazzi che d’inverno studiavano e d’estate lavoravano perché non trovavano giusto “farsi pagare i vizi”, o che non consideravano le attività sportive – fatte in qualche caso anche ad alto livello – un alibi per trascurare lo studio: campioni in entrambe.

Simpatiche canaglie! Ci avete provato, a farmi sbronzare quell’ultima sera in Alto Adige. Come diceva Giovenale “chi sorveglierà i custodi”? ; ma vi andò buca, in compenso feci  notte ugualmente perché invece qualcuno di voi … ma lasciamo andare, queste sono cose che non si dicono e soprattutto non si scrivono!  Del resto,  attentati a parte,  devo tutt’ora  al Valdarno quelli che sono stati la mia migliore classe e il mio migliore allievo in assoluto: tra i nostri mirabilia  (tra di noi, ragazzi,  possiamo permetterci i di parlare in latino, lasciamo  l’inglese ai soliti beceri, anzi anglobeceri ) un libro scritto insieme a buona parte di voi, quegli stessi  che una commissione di maturità incredibilmente miope e meschina  trattò in maniera ignobile.  I  vostri ex insegnanti (mi ripugna chiamare persone simili colleghi) non si degnarono neppure di assistere alla presentazione del libro dei loro ex alunni. Forse perché, a soli 19 anni, quei ragazzi avevano fatto ciò che la maggior parte dei professori di liceo non fa mai in tutta la sua vita, in molti casi comunque benemerita, ma talvolta purtroppo spesa a rovinare persone invece che a educarle …

Questo perché … noi lo sappiamo bene, c’è studente e studente, non c’è dubbio. Ma vogliamo parlare anche della variegata fauna di noi prof ? 

E in questi ultimi anni, la sorpresa di una scuola, un liceo fiorentino ma di periferia,  con ragazzi  che fanno cose che nei licei più” blasonati” non si vedono spesso: come alzarsi in piedi e salutare l’insegnante che entra in classe, senza considerarlo – almeno prima che apra, o meglio che accenda, il registro – un nemico a prescindere. Un liceo dove un’altra grande avventura è partita trovandoci a dipingere le mura di una classe per rispondere in modo diverso al degrado  e di inciderci un verso di Dante che è poi divenuto, in fondo, il nostro motto: “ poca favilla gran fiamma seconda”. E quella fiamma è divampata davvero, anche attraverso due splendide capitali europee,  Parigi e Vienna, che abbiamo attraversato insieme lasciando allibiti portieri d’albergo per la grande correttezza che sapevano dimostrare dei ragazzi , italiani,  sino al gran botto finale …. E dove altre avventure partiranno, o stanno già partendo, all’insegna del volto barbuto del vecchio Leonardo ….

Insomma ragazzi: a ricordarvi tutti  - perlomeno, quelli che meritano di essere ricordati  e soprattutto quelli  a cui la cosa possa importare – ci vorrebbe un tomo che spaventerebbe più di un timido lettore.  E – noi lo sappiamo bene –  la scuola, in fondo, interessa ben poco, se non a politici in cerca di visibilità che purtroppo la scelgono come campo  di battaglia per  i loro disastri . Per questi  “signori”, l’istruzione  è  quel che erano certi atolli dimenticati  o certe remote profondità marine, dove far esplodere in silenzio certe micidiali armi atomiche per “testarne” gli effetti. Su chi ha fatto più danni, tra la buona scuola e il cattivo atomo, si pronunceranno i posteri …. 

Ma se oggi, in questo giorno, io mi rivolgo a voi, è perché sinceramente, non saprei bene a chi altro rivolgermi, se non a pochi altri  gruppi di persone che da tempo hanno preso coscienza  che … insomma, le cose non vanno proprio per il vero giusto

Vedete, non voglio fare come  Leopardi – personaggio che come ben sapete detesto di tutto cuore, nonostante i versi spesso sublimi -  ma veramente mi sto chiedendo che senso abbia, ancora, augurare “buon anno”.  Certo possiamo fare come il buon  Orazio, ritagliarci un nostro angulus e filtrare i vini e spiccare dal veloce e spietato flusso della vita qualche spicchio di attimo fuggente …. Ma sino a quando ci sarà concesso? E soprattutto, sarebbe davvero giusto?

Spingere lo sguardo troppo avanti nel futuro non è certo facile e finisce sovente per assumere connotati vagamente iettatori.  Lasciamo dunque ai gufi di professione profetizzare sciagure, stragi e  cataclismi: del resto, l’anno che ci lascia ne ha un buon fardello sulle spalle.

Ma se ripenso alla ore passate insieme, al tentativo di distillare qualche scintilla d’eternità cercandole tra i grandi del passato; alle nostre discussioni e a volte anche ai nostri dissensi, non fatico, in fondo, a immaginare una Italia diversa. Non quella del “tengo famiglia”, della raccomandazione, della scorciatoia che oggi è la copiatura di un compito o di un esame, domani è offrire o  accettare una tangente o “truccare” le carte di qualche concorso pubblico. Credo che crescendo insieme  abbiamo imparato soprattutto questo: che se il nostro paese oggi è quello che è, se abbiamo una casta politica tra le più sconce che si siano mai viste (e questo, purtroppo, a qualsiasi latitudine) non è per colpa della crudeltà del fato o delle corna di satanasso. La colpa è semplicemente nostra.

Non vostra, certo, ma delle generazioni che vi hanno preceduto e rischiano - aldilà, ovviamente, di singole benemerite eccezioni -  di consegnarvi un paese allo stremo: senza valori, senza tradizioni, senza identità. E dove il merito  è solo uno slogan, spesso  pure beffardo. Se mi rivolgo a voi – e a pochi altri – è perché so che tutto questo voi non lo accetterete, come già non lo avete accettato allora.

Non importa che siate di destra, di centro o di sinistra, dato ma non concesso che oggi come oggi queste distinzioni abbiano ancora un valore. Conta soprattutto il fatto che voi non siete individui, non siete massa: siete persone.  Le persone che sapranno – ne sono sicuro – almeno cercare di fermare lo sfacelo: nella cultura, nel lavoro, nello sport, nella vita professionale e familiare e nell’impegno civile e politico, se vorrete come spero un giorno dedicarvi anche a quello ricordando però che la prima cosa da fare è ricostruire un tessuto sociale meno disastrato, dove l’humanitas e una trascendenza tornino a imporsi sulla caos e sulla Torre di Babele; o in tono più  tolkieniano, sbarrare le porte all’oscuro signore. 

Buon anno dunque, ragazzi: ovunque voi siate e sarete,  quello che mi dà ancora forza di sperare non sono certo le vesciche d’aria dei politicanti e dei tromboni di fine anno, ancor più pestifere e nefaste dei botti, né le irritanti concioni dei demagoghi o delle solite pitonesse strapagate e pontificanti. Oltre alla fede in Dio, al non prevalebunt  che mi è stato trasmesso dai miei Padri, quello che mi fa credere che tutto non sia perduto è la luce che ho visto, in tanti anni, nei vostri occhi.

Possa essere la luce, un domani, del nostro paese. Buon anno ragazzi: avete un grave peso sulle spalle, ma c’è in voi quella leggerezza che può spostare una montagna. Non perdetela mai. 



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