Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Bullismo che uccide: una ragazzina di 12 anni si butta dal secondo piano per non dover andare a scuola, non si tratta del gesto estremo di una studentessa pigra, ma della disperazione di una ragazza forse timida, senz’altro intimidita; forse fragile, senz’altro indifesa.
Da tempo era vittima del bullismo dei compagni di scuola: la prendevano in giro, forse dicevano di lei cose umilianti, pare che l’abbiano anche esortata a togliersi la vita. E lei ha tentato di farlo e si è buttata giù dalla finestra di camera, per fortuna la serranda abbassata, ma aperta verso l’esterno del piano di sotto, ha rallentato la sua caduta e la morte ha rinunciato, questa volta.
Ha lasciato due lettere, una per i genitori con le scuse e le spiegazioni e una per i suoi compagni di scuola dove fra le altre cose chiede se ora saranno contenti.
Il bullismo in età adolescenziale è purtroppo sempre esistito, e la scuola è il suo brodo di coltura rappresentando l’universo concentrazionario (nel senso di concentrazione, riunione di tanti individui in un solo luogo) di questi giovani “mostri”, che tali sono gli adolescenti –età ingrata per chi la vive e per chi la subisce o la deve gestire dall’esterno (genitori insegnanti, ma anche coetanei)– prova vivente della fase evolutiva individuale nella quale si mostra (da qui il termine mostri usato per questi ragazzi) che l’uomo non è affatto il buon selvaggio utopizzato da Rousseau, ma un essere tendenzialmente cattivo, con un fondo di crudeltà che nell’infanzia viene tenuta a bada dalla relativamente bassa capacità di far danni e in seguito dovrebbe essere tenuta sotto controllo dall’educazione cui si unisce la razionalità nell’età adulta.
Negli ultimi tempi il processo che aveva funzionato da tempi immemorabili ha fatto cortocircuito, gli adolescenti sembrano schegge impazzite, prive di controllo, e fornite di mezzi dei quali hanno un eccezionale controllo funzionale, ma dei quali ignorano la forza effettiva.
Chiunque di noi ha forse subito ai tempi del liceo, o comunque delle scuole superiori, la vigliacca cattiveria del gruppo che mette all’indice qualcuno, di solito per invidia (frequente fra le ragazze), o perché il reprobo/a non accetta le regole del gruppo, o ha una personalità poco adattabile alla mediocritas comune, oppure è semplicemente timido, magari gentile, dichiaratamente indifeso.
Così si scatena quello che oggi chiamiamo bullismo, piccole o grandi cattiverie, dicerie messe in giro sul conto del malcapitato che subisce un ostracismo sottile, subdolo, ecc. ecc. Lo abbiamo detto è sempre successo e siamo sopravvissuti con un po’ di dolore, ma senza traumi.
Cosa è cambiato oggi? Due cose: 1° i suddetti bulli hanno, grazie ai telefonini, la possibilità di far diventare l’espressione e le forme della cattiveria social, pervasiva, impossibile a essere ignorata, fino a diventare un cappio che stringe alla gola e non lascia respirare chi ne sia fatto oggetto.
2° le famiglie, anzi, diciamolo chiaramente, i genitori. I genitori del terzo millennio, ma il fenomeno già era cominciato alla fine del II, si stanno rivelando il vero anello debole della catena sociale, ovvero della capacità della società di autocostituirsi in organismo civile rispettoso delle regole ecc. ecc.
I genitori accompagnano i figli a scuola lasciandoli con la macchina sulla porta dell’istituto, e poiché l’orario di entrata è unico immaginate cosa succede (anzi lo sapete se vi capita di passare davanti ad una scuola nell’orario di entrata e di uscita) così insegnano ai figli a fregarsene del prossimo creando ingorghi nel traffico, a facilitare ogni gesto anche quello di andare a scuola. Basterebbe lasciare la macchina un po’ lontana e fare due passi con il figlio fino alla porta della scuola, già, ma costa fatica, tempo, e poi perché se si può fare in altro modo?
Se il figlio torno a casa con un brutto voto, la colpa è ovviamente della maestra prima e del professore poi, se il ragazzino non ha voglia di studiare, significa che non gli sanno insegnare, non lo appassionano, non lo fanno divertire abbastanza nel processo di apprendimento e dunque è ancora colpa della maestra o del professore. Se poi si dimostra che il rampollo in questione è un piccolo delinquente incapace di provare pietas, o semplicemente di comportarsi in maniera civile se non si può dare la colpa a qualcuno, semplicemente si minimizza la portata del danno provocato: “Ma sono ragazzate!”, e soprattutto non si accetta che ci sia l’adeguata e necessaria reazione che si chiama legittima e necessaria punizione.
Già perché questi genitori non puniscono mai i loro figli, magari gli danno un sonoro schiaffone o fanno una violenta litigata sull’onda della rabbia, mai però con intento educativo.
Ecco, il problema è questo, le famiglie non educano più e la scuola non può farlo, pena la reazione scomposta fino alla denuncia legale.
E qui arriviamo all’ultimo gradino di questa scala infernale: educare è un processo che in una piccola parte ammette e chiede un esercizio di violenza, perché anche un brutto voto è sicuramente un’azione violenta intesa a provocare in chi lo riceve una riflessione dolorosa sul perché di quel fallimento, oltre a rappresentare la valutazione del suo operato. Ma ormai abbiamo bandito ogni violenza dalla nostra società, un genitore che dia un sano scapaccione educativo al proprio figlio rischia l’intervento della forza pubblica! Un insegnate che dia troppi brutti voti rischia il licenziamento.
Si cresce attraverso il dolore o la sua minaccia, se si offre ad una giovane vita un’autostrada di velluto artificiale la natura cattiva che sta in noi non ha la possibilità di essere conculcata e prima o poi viene fuori e una ragazzina si butta dalla finestra della propria cameretta per non dover ancora affrontare la cattiveria in libera uscita.
Ps. Si faranno indagini, si troveranno i bulli, si chiameranno i loro genitori, che li difenderanno a spada tratta, e non ci sarà un solo genitore di quei piccoli delinquenti che sentirà il bisogno e il dovere di andare da quella ragazzina e dai suoi genitori per scusarsi. Già perché questo è un altro elemento della non educazione dei nostri tempi, nessuno ha più il coraggio di assumersi la responsabilità dei propri atti e di quelli dei figli, neppure morale.
Inserito da GIADA il 19/01/2016 20:22:28
mi dispiace per questa ragazza e la devono smettere con il bullismo e proprio una cosa che porta a gravi conseguenze
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