Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Non posso nè vorrei svolgere i sezionamenti critici della lirica che qui di seguito trascrivo per il lettore nel suo testo tedesco originale. Quando l’abbia scritta il grande di Röcken non lo so di preciso, certo, scorrendo su di una qualche dettagliata biografia le stazioni continue dei viaggi di Nietzsche si scopre, a dir il vero con un poco di sorpresa, un soggiorno in quel di Recoaro, sulle Prealpi vicentine. Pare che detta località climatica, nota pure per le sue acque curative, non abbia entusiasmato troppo il filosofo tedesco. Ma da Recoaro a Venezia, anche lungo gli anni presumibili che vanno dal 1875 al 1889, nei quali Nietzsche fu a più riprese sotto il nostro cielo, il cammino non èimpervio. Si calava dall’Alpe alla palladiana Vicenza e di lì, in ferrovia, transitando per Padova si era a Venezia in un’ora e tre quarti o due ore al massimo. Già a quel tempo si scendeva press’a poco dove si scende oggi, in quel di Santa Lucia, dove ciò che cambia dovrebbe essere solo il fabbricato della stazione, eretto in stile razionale nel 1934, imitando quello ben più elegante della fiorentina Santa Maria Novella.
Nietzsche fu dunque a Venezia, come a lungo Wagner, come Goethe un secolo prima, come il poeta August von Platen. Del Wagner veneziano molto è divenuto leggenda, aiutato in ciò anche dalle descrizioni e soprattutto dallesuggestioni del Fuoco di D’Annunzio. Più nitidamente, con brevità classica e spesso pungente, di Goethe possiamo rammentare i gustosi epigrammi veneziani nei quali il poeta del Faust lamenta la superficialità lagunare – e come potrebbe essere altrimenti in una città che si specchia di continuo sulla „superficie“ delle acque?- i prezzi truffaldinidei caffettieri, la spocchia della dorata gioventù di eredi delle famiglie patrizie. Il tutto fa oggi sorridere consultando le date: di lì a poco, il turbine dell’Armata d’Italia, condotta, come racconta Stendhal nella „Certosa“, da un generale di ventisette anni rimette volenti nolenti tutti i veneziani, patrizi e gente comune, a posto, dichiarando decaduta la fatiscente repubblica marina. E affidandola poi, forse calcando un po‘ troppo la mano, all’Asburgo, sempre interessato ad accrescere i suoi provinciali domini…
Augusto von Platen scrisse invece, sia stato ciò nel soggiorno, o in ricordo di esso non saprei dire, un bel sonetto di perfetta forma classica su Venezia. Posso collocare, credo, sul suo esempio la lirica, invero ben più evocativa di quella del von Platen, che Federico Nietzsche compose standosene in comtemplazione su di un ponte lagunare. Èplausibile fosse quello di Rialto, ma escludere di getto anche tutti gli altri innumeri ponti e ponticelli della Serenissima è forse abusato. Identiche impressioni a quelle descritte nei versi del poeta filosofo si possono rivivere anche nella Venezia minore, accoccolati sulla balaustra di qualche ponte e cullando la propria vista sulle fiammelle delle luci dei fanali riflesse sulle ondicine che di continuo increspano lo specchio mai piatto delle acque. Non di rado può poi capitare di veder il lento transito sotto il ponte di una gondola, il cui rematore deve chinare la schiena per non battere il capo sull‘arcata e con maestria pinnare in acqua l’unico remo in modo di dirigere lo snello natante senza incocciare il dolfin metallico di prua su qualche muro di casa o su qualche altro navilio in sosta e coperto dai teli.
Mi era capitato, or non è molto, che proprio sotto d‘uno di questi ponticelli minori passasse una gondola. Deiforestieri vi erano seduti ammirati dalle architetture affacciate sulle calli. Il gondoliere, a me che osservavo, aveva fatto un qualche cenno divertito simulando di essere affaticato mentre in maglietta a righe chinava la sgobba sotto l’arco. Era appunto l’ora che avvicina al crepuscolo, quando dalle finestre aperte ai piani bassi delle calli non è raro udire lo sfrigolìo di qualche frittura sul fuoco o il tintinnare di cucchiai e forchette sui piatti. Quel che completava la scena, e mi aveva rammentato il poemetto di Nietzsche, era che sulla piattaforma di prua della gondola stava quello che immagino fosse un allievo del conservatorio, con aria attenuta perfettamente al ruolo, la camicia candida come se dovesse presenziare ad un invito elegante, e i baffi ed il pizzo alla ottocentesca. Cantava, questi, una romanza, manon di quelle usuali, forse l’arietta di un compositore minore, bella, non lacrimosa e non sentimentale, nemmenoestatica, semplice. Nell’andare delle note, non avendo io distinto il testo della canzone, vi era della effettiva poesia.
Tornato nella stamberga ho agguantato sulla mensola il mio volume con la storia della letteratura tedesca ma devo dire che la lirica in questione era tradotta in un modo che trovai retorico, troppo da letterati di cattedra o da esteti.Non mi è rimasto altro che voltarla da me, in un tentativo di raffigurarmi quali potessero essere state le vivide impressioni balzate alla fantasia geniale di quel sovrano maestro della propria lingua che fu Federico Nietzsche.Nelle linee che seguono il testo tedesco il mio tentativo, che spero non sia del tutto sgradito al benevolo lettore…
An der Brücke stand
jüngst ich in brauner Nacht.
Fernher kam Gesang:
goldener Tropfen quoll's
über die zitternde Fläche weg.
Gondeln, Lichter, Musik -
trunken schwamm's in die Dämmrung hinaus
Meine Seele, ein Saitenspiel,
sang sich, unsichtbar berührt,
heimlich ein Gondellied dazu,
zitternd vor bunter Seligkeit.
- Hörte jemand ihr zu? ...
Me ne stavo su quel ponte
in una notte scura,
del tempo che fu.
Di lontano giungeva un canto
e mirando lo specchio tremante delle acque
mi sembrava
che tante piccole gocce d’oro vi cadessero sopra .
Gondole, luci, musica -
scivolavano sulle onde
nel tardo crepuscolo
come lontani fantasmi uniti in un sogno.
La mia anima
divenne quasi una lira,
e come toccata da una mano invisibile,
si cantò in silenzio
un’arietta da gondolieri
un’arietta vibrante di dolce serenità.
-vi fu mai qualcuno che l’ascoltò? …
Poscritto
Devo in ogni caso anche un avvertimento: ho usato appunto il termine voltare per circoscrivere la mia versione del poemetto entro il perimetro dei suoi scostamenti dal testo originale. Avessi usato il termine di traduzione mi esponevo al giusto rimprovero di chi, scandagliando la scrittura tedesca, rilevasse le vistose deviazioni in cui sono incorso dallo stretto senso letterale. Ma è impossibile calare dalla magistrale esattezza, temprata allo studio dei classici, della lingua descrittiva di Nietzsche il nostro italiano con altrettanta brevità.
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