Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Tre editoriali di questi giorni sul “Corriere della Sera” destano interesse e meritano attenzione pur essendo in più passaggi discutibili.
Il primo, intitolato “I burocrati ed il passo che manca”, è dovuto ad una penna illustre, quella di Sabino Cassese. Sulle tanto esaltate, ma in effetti in vigore da anni, norme sui licenziamenti l’accreditato studioso denunzia nelle parole del “presidente del Consiglio” “una certa ambivalenza […] che [lo] spinge a usare il tema dell’antiburocrazia senza tuttavia andare in fondo”. Sulla nuova dirigenza – avverte poi Cassese – “si deve uscire dal vicolo cieco del patronato politico imboccato alla fine del secolo scorso [solo da allora?]” e qui ci potremmo anche fermare dal momento che Renzi ed i mille cerchi magici, che lo guidano e ne determinano le mosse, sono famelici, occupando “tutti i centri di potere” senza i quali, con il loro vuoto di idee non sarebbero che il nulla.
Nella parte conclusiva della nota Cassese non tanto indirettamente individua i difetti di fondo dell’esecutivo al potere, la superficialità, la verbosità esibizionistica, il pressapochismo, nel momento in cui segnala che “tra azione di governo e azione amministrativa vi è ancora scollamento, continue difficoltà, scarso dialogo”.
Il secondo editoriale reca la firma di Francesco Verderami ed è dedicato alle due ipotesi possibili dopo lo svolgimento in autunno del referendum. In seguito all’esito della consultazione la maggioranza (non certo l’uomo sul palcoscenico) emersa in questi giorni, dai contorni politici equivoci, dovrà decidere se chiudere o proseguire. Anche in questo caso Verderami individua gli stessi difetti di fondo del gruppo di potere, privo di una visione operativa larga e lunga ed incapace di decisioni inequivocabili e solide.
Le battute, recitate nei diversi copioni delle farse a livello europeo, infatti sono appariscenti e non reali, miranti ad ottenere concessioni, deroghe, varchi, su cui impostare e basare provvedimenti solo elettoralistici senza mai giungere alle riforme vere universalmente attese, come la revisione del sistema di tassazione.
“Qui si parrà la tua nobilitate” potrebbe rammentare il povero Dante, deluso del defenestramento dal trono di toscano più illustre nella storia.
Massimo Franco, invece, rileva il dramma morale di tanti cattolici, che, di fronte alle vergognose perversioni del ddl Cirinnà, sono stati costretti dai silenzi del pontefice e delle conferenze episcopali e dalle moine riservate ogni giorno al “premier” dal quotidiano dei vescovi, a promuovere una manifestazione di piazza con adesioni di livelli incredibili.
Papa Francesco e le gerarchie sono stati quindi costretti a “seguire”, ad essere “trainati”. Il pontefice argentino si è reso conto che “una delle ragioni per le quali la Chiesa avrebbe perso credibilità è stata un’eccessiva contiguità col potere” negli anni – aggiungiamo noi – di Giovanni XXIII e di Paolo VI. Inimmaginabile più incredibile la sua rinunzia ad una tutela, più che una difesa, ai valori irrinunciabili e caratterizzanti della famiglia.
“La famiglia – fortezza – secondo l’interpretazione del giornalista – prometterebbe di trasformarsi nel baluardo della difesa dei valori cristiani anche contro gli immigrati; e dunque di contribuire ad una lettura “autarchica”, blindata e potenzialmente xenofoba del cattolicesimo”. Ma si è sicuri che la linea seguita sull’immigrazione con lo sradicamento dalle proprie terre e con il faticoso, problematico inserimento nelle nazioni straniere sia la migliore e più efficace per la “salus animarum” e non sia invece devastante e perdente per una Chiesa, come la cattolica, desolatamente isolata nel compito assunto? E non potrebbe anche sembrare una solenne quanto immeritata bocciatura del commovente lavoro compiuto da secoli dalle missionarie e dai missionari, primi fra tutti i gesuiti?
Inserito da Francesca coppola il 31/01/2023 23:50:51
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