Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Ora, adesso come ieri, prima e forse poi, l'impulso che si ripete nel prendere la penna e segnare quel che continua ad accadere interessando tragicamente i mondi d'oriente e d'occidente, è tacere. Seguire le parole segnate da K. Kraus nel suo Gli ultimi giorni dell'umanità: "Chi ha qualcosa da dire si faccia avanti e taccia" . Tacere.
Tacere per riprendere fiato, pensare, riflettere. Per non voler essere nel coro, per valutare, cercare le parole, trovare le parole.
Tacere per illudersi che qualcosa possa accadere nell'animo umano sì da cambiare corso alla costruzione di questa nostra storia ogni giorno più cruenta, ché, proseguendo il nostro passo accelerato a coprire la menzogna a cui segue armamento a cui segue terrore a cui segue distruzione e morte, la storia della nostra Civiltà potrebbe giungere alla fine.
Tacere perché ogni parola, anche la più amorevole, la più rispettosa, non può non arrecare offesa alla sofferenza, al dolore, alla memoria di migliaia e migliaia di persone, corpi, anime che affollano l'esodo di questi nostri giorni da oriente ad occidente.
Ed è la gente di Siria che va presa ad emblema di tutto questo, perché la gente di Siria, viveva una vita di civiltà e cultura e modernità e progresso rispetto ad aree limitrofe, ben arretrate, e in relazione al passato. La gente di Siria va presa ad emblema perché nella drammatica quanto tragica esistenza, nella sofferenza, nel dolore, data la copiosità numerica, e non solo, racchiude ogni sofferenza, ogni dolore di ogni gente in esodo, ora, adesso, mentre scrivo, quando leggerete.
Ma ancor prima che la sua gente, è la Siria a doversi prendere ad emblema, intendendo per Siria l'intera area, l'antica Siria, la terra della Mezza Luna, Fertile, un tempo, ivi incluso l'odierno Iraq.
Essa non è oriente e non è occidente, né mai lo è stata, essendo entrambi da sempre. Ancor più per questo emblema anche del visibile e dell'invisibile, di quel che tange e quel che in esso sottilmente muove e si muove.
E proprio il suo essere luogo d'origine del nucleo vitale evolutivo da cui il futuro del pianeta e dell'umanità, il suo essere stata custode di molti segreti dell'universo, sede di antiche rivelazioni misteriche confluite in quella terra da tutta l'Asia, allora ritenuta cielo inferiore a cui si riconosceva la presenza di esseri divini con cui venire a contatto, proprio il suo possedere le antiche sottili forze di creazione della Civiltà, secondo una logica esoterica ma perversa, ha fatto sì che fosse scelta perché vi prendesse corpo la distruzione della stessa Civiltà.
Tranciare l'antico impulso evolutivo sopravvissuto all'usura del tempo nei popoli che abitano quei luoghi ed ancor più frantumare le testimonianze storiche ascritte in antichi reperti e da essi rappresentate in quegli stessi luoghi, di cui tanto in queste pagine si è già parlato, equivale a tranciare la possibilità di evoluzione umana, o comunque provare ad intaccarla o rallentarla nell'economia dell'universo.
Eppure, malgrado il processo involutivo che vede l'occidente
contro una parte dell'umanità che ha resa nemica, sia stato innescato, una luce
potrebbe ancora illuminare la tenebra, motivo per cui si sta segnando questa
pagina in parte ripetitiva di un già segnato.
Alla Siria, dall'economia dell'universo, potrebbe essere stato affidato un
gravoso, ma di grande utilità storico-evolutiva, compito: la rinascita
dell'occidente. La Siria con il sacrificio di sé, il dolore della sua
gente, il dolore di migliaia e migliaia di sue anime bambine a cui è
stata strappata l'infanzia oltre che la loro storia, questo tutto così
incredibilmente evidente, così manifesto al mondo, per motivi e movimenti che
sfuggono all'umana misera ragione, potrebbe riordinare la storia. Il sacrificio
della Siria potrebbe essere quell'illusione, quel qualcosa che accade nell'animo
umano ad arrestare il corso dell'occidente nella discesa "agli
inferi".
Avremmo potuto fermarci prima, dovuto, non l'abbiamo fatto.
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