Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Rainer Maria Rilke
Non conoscevo Rainer Maria Rilke se non per alcuni tratti curiosi della sua tormentata biografia. Era il nipote per partematerna del comandante austriaco della piazzaforte di Brescia installatosi dopo che la rivolta delle dieci giornate era stata sedata a colpi di cannone dallo spietato Haynau. Si era reputato a Vienna che un ufficiale d’indole meno manesca avrebbe potuto con i Bresciani, se non il miracolo di far obliare l’assedio, almeno il medio scopo di far tollerare un’autorità per nulla benvoluta, e anzi odiata, in una quieta attesa del compiersi del destino.
È davvero strana questa temperie nei fatti: a Trento, a poca distanza, dalla villa lombarda mai vi fu rivolta contro l’Asburgo. Complice sicuramente una consuetudine storica che si era rivelata vantaggiosa o almeno di minor danno, essendo sempre stata Trento sotto l’Impero. Verona, rivoltatasi sanguinosamente contro Napoleone lungo le famose Pasque mai si è rivoltata contro Vienna, e qui si può giustificare il fatto, ma non del tutto, con il dire che nelle caserme scaligere stazionavano ventimila soldati imperiali in armi a fronte di circa quarantacinquemila Veronesi. Più concreto pare il fatto annonario: con un presidio di tal genere forniture dalla campagna, e poi lavori edili, tessili e manifatture varie davano alla villa scaligera un impulso commerciale e produttivo quale forse nemmeno sotto la Serenissima si era avuto. A parte Vicenza, e Venezia, centri effettivi delle rivolte del ‘48 in Veneto, Verona e poi Padova, Treviso e Mantova poco devono aver sentito il giogo viennese. E forse non è detto che dopo il ’66 non lo abbiano comparato con la nuova autorità unitaria traendone più d’una impressione a favore. Per uno strano volgersi delle circostanze mentre a Brescia ci si rivoltava sanguinosamente, nelle limitrofe Verona, Trento, Mantova, gli abitanti attendevano tranquillamente ai loro uffici…
Ma quella che precede è solo la una delle solite divagazioni che qui arresto. Il poeta austriaco mi colpiva anche per la suaentusiastica infatuazione russa: andò persino a far visita allo Zeus di Guerra e Pace, il grigio Tolstoj acquietato, vegetariano e cultore anche di Schopenhauer, e imparò il russo che però, a detta di alcuni, mai dominò come ci si sarebbe atteso dal suo genio. Addirittura ho udito, or non è molto, un professore di letteratura di Mosca che mi raccontava con aria di leggero compatimento di certi tentativi poetici di Rilke nella lingua di Guerra e Pace. Pare in ogni caso che l’austriaco, nelle case che abitava sempre abbia creato un angolo arredato alla russa. Che vi sia stato un samovar per il tè lo posso immaginare, oggetti come il kowsch, il mestolo di cui ho raccontato in un capitolo passato, è pure possibile vi fossero, stante l’utilità che essi hanno. Mi incuriosirebbe sapere di più eventualmente cosa abbia apprezzato Rilke della cucina russa e se qualcosa di questo gusto sia rimasto pure dopo che la sua direzione mutava verso ville e paesi a noi più comuni: come Parigi o la Svizzera.
Di poi avevo sentito celebrare da una brava poetessa, con un entusiasmo che mi pareva pure infatuazione, le elegie duinesi che i volumi di storia di letteratura classificano con rigore quali appartenenti alla stagione simbolico-decadente.
Senza avere particolari motivi di avvicinarmi a queste elegie ma solo in omaggio all’avviso datomi dalla poetessa che mi aveva recitato l’inizio della prima, con l’immagine invero molto suggestiva del grido all’angelo, ho voluto leggerlo nella sua scrittura tedesca. Nella versione che qui faccio seguire al testo originale do, per così dire, il saggio d’un mio tentativo di comprensione di questa lirica, per la quale non posso più sostenere che l’entusiasmo della poetessa sia riconducibile a sola “infatuazione”…
Die erste Elegie
Wer, wenn ich schriee, hörte mich denn aus der Engel
Ordnungen? und gesetzt selbst, es nähme
einer mich plötzlich ans Herz: ich verginge von seinem
stärkeren Dasein. Denn das Schöne ist nichts
als des Schrecklichen Anfang, den wir noch grade ertragen,
und wir bewundern es so, weil es gelassen verschmäht,
uns zu zerstören. Ein jeder Engel ist schrecklich.
Und so verhalt ich mich denn und verschlucke den Lockruf
dunkelen Schluchzens. Ach, wen vermögen
wir denn zu brauchen? Engel nicht, Menschen nicht,
und die findigen Tiere merken es schon,
daß wir nichtsehr verläßlich zu Haus sind
in der gedeuteten Welt. Es bleibt uns vielleicht
irgend ein Baum an dem Abhang, daß wir ihn täglich
wiedersähen; es bleibt uns die Straße von gestern
und das verzogene Treusein einer Gewohnheit,
der es bei uns gefiel, und so blieb sie und ging nicht.
O und die Nacht, die Nacht, wenn der Wind voller Weltraum
uns am Angesicht zehrt –, wem bliebe sie nicht, die ersehnte,
sanft enttäuschende, welche dem einzelnen Herzen
mühsam bevorsteht. Ist sie den Liebenden leichter?
Ach, sie verdecken sich nur mit einander ihr Los.
Weißt du's noch nicht? Wirf aus den Armen die Leere
zu den Räumen hinzu, die wir atmen; vielleicht daß die Vögel
die erweiterte Luft fühlen mit innigerm Flug
…
La prima elegia
E chi, quando gridavo, mi ascoltava all’infuori degli angioli a schiera?
Ma dato per caso
che uno di loro
mi stringesse al suo cuore
schianterei pel suo enorme vigore,
perché in effetti il “bello”
altro non cela che uno spaventoso Principio
che si fa sopportare da noi
e noi lo ammiriamo perciò
poiché questi sdegna pietoso
di poterci distruggere.
E ogni angiolo
è
spaventoso.
Così anch’io mi astengo e re-inghiotto
il grido d’aiuto
con oscuro singhiozzo.
E allora chi è che possiamo chiamare in aiuto?
Se gli angioli no, chi come noi nemmeno,
e le bestie che sono intuitive
sanno bene
che noi in questo mondo
di casa proprio
non siamo.
Ci resta forse
quell’albero al clivio, -ogni dì si fa rivedere;
ci resta la strada di ieri
e il modesto durare d’un’abitudine
che ci era piaciuta e quindi rimase
e non se ne andò.
Oh, e la notte?
Già, la notte.
Quando il vento che ha vagato per ogni cielo
al viso ci arriva e ce lo corrode-,
e a chi non piace quest’attesa,
dolce
e ben deludente,
che con garbo viene incontro
al cuore in affanno?
Che sia più piacente
agl’innamorati?
Ma ahi! Questi solo si coprono l’un l’altro il proprio destino.
Non lo sapevi ancora?
E rigetta allora
dalle braccia
il vuoto allo spazio
che respiriamo
in modo che possano sentire
gli uccelli
che l’aria si è fatta più estesa
e solcarla possano pure
di volo interiore.
…