Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
uando l'essere umano capisce di poter far qualcosa, finisce
per farla. C'è un equivalente aulico di questa affermazione: eccedere humanum
est, continere divinum. La legge sulle unioni civili, formulata in modo da
includere l'adozione del figlio del partner, appare proprio come il superamento
di un limite, un eccesso, una delle pietre miliari di una strada in discesa che
sta conducendo la nostra civiltà, figlia della Bibbia, della cultura
greco-romana, del cristianesimo e anche dell'Islam, prima che del Rinascimento
e dei Lumi, ad essere "altra".
Il principale strumento metapolitico, morale e legislativo adoperato per
sgomberare il campo da ogni contrarietà e opposizione alla direzione assunta è
da individuare nella predicazione dei diritti a 360 gradi, per lo più senza
adeguati bilanciamenti sul terreno dei doveri: diritti per la ricerca e la
tutela della felicità terrena. Vogliamo credere che le intenzioni siano
virtuose: la protezione dei più deboli, delle minoranze, dei meno
favoriti.
Di volta in volta, i politici, gli intellettuali e, in ultima istanza, i
legislatori, hanno rivolto lo sguardo a chi non sapeva, non poteva, non voleva,
ad esempio, mantenere in vita un matrimonio scosso dalle incomprensioni, dalle
passioni sopraggiunte, dalla fine dell'amore, in definitiva dai marosi della
vita; hanno prestato attenzione a chi non sapeva, non poteva, non voleva
portare a compimento una gravidanza indesiderata; ma anche, viceversa, hanno
considerato un diritto generare figli, a costo di ricorrere a pratiche d'ingegneria
genetica - alcune delle quali ancora vietate nel nostro paese - e così via,
fino ad invocare l'inserimento dell'eutanasia, già ipocritamente e
nascostamente praticata, nel nostro ordinamento, e cioè a non potere e
soprattutto a non volere continuare a vivere, sottraendosi a un destino di
sofferenza.
Tutti temi sensibili, che investono la sfera dei valori ben più di quella degli
interessi, che attengono alla coscienza più che all'ideologia e, in sintesi,
che derivano da una visione del mondo, in grado di determinare l'appartenenza
ad una comunità di vita e di pensiero - alla fine, ad una comunità politica -
piuttosto che a un'altra. Per inciso, è questo il motivo per cui non si può
essere d'accordo sul voto parlamentare svincolato dalla disciplina di partito e
confinato nella libertà di coscienza dei singoli. Se il mio partito decide, su
di una materia così importante, di votare come io non voterei, semplicemente le
nostre strade si dividono. Questo, almeno, in un quadro di convivenza civile e
politica in cui i partiti non siano solamente contenitori di interessi e
comitati elettorali.
Ma torniamo alle unioni civili ed all'ampliamento di orizzonti delle adozioni.
Qui ci interessano le linee di fondo; perciò tralasceremo le questioni
dettaglio, quali la querelle sul voto segreto e, ancor prima, la considerazione
che il PD ha preferito non limitare il provvedimento alla semplice disciplina
delle unioni civili - sulla quale probabilmente avrebbe riscosso un consenso
larghissimo e trasversale - ed ha evitato di trattare a parte la delicata
materia delle adozioni, anche di quelle "ordinarie", in chiave di
innovazione, rendendole meno macchinose e sempre salvaguardando in prima istanza
le esigenze del minore.
Si è parlato di due piazze, di due popoli, in occasione delle recenti
manifestazioni, rispettivamente a sostegno delle unioni civili ed a
favore della famiglia. In proposito, preso atto della spaccatura esistente sul
tema, in particolare in Italia, vanno tenute presenti alcune premesse. Intanto,
le unioni omosessuali di fatto sono una realtà, sia pure largamente
minoritaria, già esistente nella nostra società, e con esse anche le adozioni
da parte di coppie omogenitoriali, sia pure con artifici burocratici e/o con
sentenze frutto di forzature. In secondo luogo, non ha senso parlare di
rapporti "contro natura": infatti, tutto quello che esiste e muta in
natura è, per questo solo motivo, "secondo natura". Analogo errore
logico viene compiuto da coloro - spesso, ahimè, perfino da ecclesiastici - che
giustificano questi nuovi modelli di famiglia in forza dell'amore: così
facendo, si passa in secondo piano proprio l'aspetto contrattuale e legislativo
di cui si pretende l'estensione anche alle nuove aggregazioni; per di più, si
ignorano gli elementi costitutivi – antropologici - che per generazioni, fin dalla Bibbia, sono
state alla base della nascita e dell'educazione dei figli.
Senza contare che lo sganciamento della procreazione dalla sfera della
sessualità consegna gli esseri umani al "gabinetto del dott.
Caligaris" (e domani, chissà, a quello del dott. Mengele), alla
mercificazione degli ovuli e degli uteri in affitto e allo sfruttamento delle
donne (specialmente delle più deboli e sfavorite, come non hanno mancato di
notare criticamente non pochi illustri studiosi e opinionisti di matrice
marxista e femminista). Così, viene fatto passare per atto d'altruismo la
rinuncia della madre surrogata al portato del suo grembo, all'esserino
sconosciuto nutrito per mesi nel suo ventre e dal quale si dovrà separare appena
lo avrà messo alla luce, negandogli anche il conforto del latte materno.
Il vero problema del ddl Cirinna' allora non è tanto quello di dar luogo legale
a nuove forme di aggregazione familiare: in fondo, la famiglia cosiddetta
classica discende da un lato dalla natura, dall'altro dalla cultura e, sotto
quest'ultimo aspetto, nel corso della storia si sono registrate molteplici
modifiche e altrettante differenze si annoverano tuttora in aree geo-culturali
diverse dalla nostra (basti pensare alla diffusione della poligamia e perfino
alla persistenza, sia pure in remote plaghe, della poliandria).
Il fatto è che per la prima volta viene messa in discussione la stessa
distinzione tra maschio e femmina, e non solo nella prospettiva matrimoniale
(nuptiae sunt coniunctio maris et foeminae, recitavano i giuristi latini); se
in parallelo alla vicenda unioni civili si considera la lenta penetrazione
della cosiddetta cultura di gender, in virtù della quale le differenze di
genere sarebbero non già naturali, bensì dettate dai condizionamenti ambientali
e, appunto, culturali, si capisce appieno la portata del fenomeno. E la
circostanza invocata dalla grancassa mediatica, secondo la quale si tratterebbe
di adeguarsi alla modernità di quasi tutte le legislazioni dei paesi cosiddetti
avanzati, non fa che confermare la portata epocale di questi fenomeni.
Del resto, il vero obiettivo dei sostenitori di questo ddl non è tanto quello
conclamato di ampliare l'area dei diritti, bensì quello di accrescere il potere
pervasivo della Tecnica, a discapito del Sacro, lungo un plurisecolare processo
di desacralizzazione. Stiamo insomma assistendo alla rivincita di Prometeo, nel
nome del Pensiero Unico Planetario.
Purtroppo, i segnali che vengono da più parti non autorizzano alcun ottimismo:
la civiltà che abbiamo conosciuto fin qui è sul punto di soccombere, come fu
già per quelle rappresentate dagli imperi di Egizi ed Etruschi, Romani e
Bizantini e Mongoli e perfino Sovietici. Quanto alla Chiesa, se è giusto non
rifiutare il battesimo a nessun neonato, che ne sarà degli altri Sacramenti,
che presuppongono una partecipazione ed una capacità educativa convinta di
tutta la famiglia, genitori in primis? Le avvisaglie di cedimenti dottrinali
non mancano: mai come oggi ci sentiamo retroguardia, come Orlando a
Roncisvalle.
Non possiamo nn dirci conservatori, e allora attenti con la santificazione della tecnologia
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