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È morto Piero Buscaroli, seppe trasformare la nostalgia del bello del buono e del giusto in testimonianza di eccellenza

Grande inviato sui fronti di guerra negli anni '60, direttore del Roma di Napoli, e contemporaneamente musicologo di ineccepibile valore

di Simonetta  Bartolini

È morto Piero Buscaroli, seppe trasformare la nostalgia del bello del buono e del giusto in testimonianza di eccellenza

Piero Buscaroli nello studio della sua casa bolognese

Piero Buscaroli è morto ieri 15 febbraio, nel pomeriggio, questa mattina solo due quotidiani, Il Giornale e Il Giorno ne davano notizia dedicando a un intellettuale complesso e dai tanti talenti (nasce come giornalista e si afferma come straordinario musicologo, solo per citare i due poli di una personalità intellettuale poliedrica e mai banale) due ritratti a tutta pagina. Per il resto silenzio.

Vogliamo credere che si tratti di un difetto di comunicazione, che la notizia sia arrivata in ritardo nelle redazioni e che domani si porrà rimedio.

Piero Buscaroli era nato nell’agosto del 1930 e aveva fatto in tempo raggiungere l’età della consapevolezza per assistere addolorato al disastro dell’Italia dopo il ’43, e quel dolore non se lo era tolto più di dosso, lo ha accompagnato fino a ieri, spesso acutizzandosi in maniera quasi insopportabile al punto da trasformarlo in un personaggio talvolta ruvido, mai condiscendente ai tralignamenti che la contemporaneità cercava di imporre, sempre fedele ad un principio etico dell’esistere nel mondo (politico, culturale e civile) che gli ha valso un’emarginazione che egli aveva monumentalizzato.

Fascista? Può darsi, ma nella misura in cui la definizione significa aver creduto indefettibilmente nella possibilità di un riscatto dell’identità italiana sotterrato il 25 aprile del ’45. Che senso ha altrimenti definire fascista chi al tempo della seduta del Gran Consiglio del 25 luglio del ’43 aveva 13 anni? Eppure quell’etichetta, a lui e a molti altri della sua generazione, è stata appiccicata addosso come la cifra di una responsabilità che lui e altri non potevano avere, e lui e gli altri se ne erano fatti carico affinché almeno rimanesse la testimonianza che esistevano ancora degli italiani che credevano, perché vi avevano creduto, nella possibilità della restaurazione di una grandezza antica. Per Buscaroli il fascismo era stato questo, un momento in cui un’intera nazione aveva creduto in se stessa e aveva cercato di tornare grande, di riacchiappare le fila di una civiltà dove le arti, la letteratura, la cultura in genere fosse rivivificata di un fuoco antico. Poi certo le cose andarono come sappiamo, furono compiuti errori imperdonabili, scelte detestabili e disastrose, ma la generazione dei giovani nati fra la fine degli anni venti e i primi del decennio successivo aveva potuto annusare qualcosa che lasciò loro una nostalgia alla quale essi opposero la qualità di un lavoro che – destinato alla marginalità rispetto al successo decretato dalla società del politicamente corretto e accettabile,  per l’etichetta si portava cucita addosso – rimanesse testimonianza  dell’onesta eccellenza di valori estetici, etici, civili.

Quei giovani, divenuti adulti in un mondo che non li voleva accettare e riconoscere non furono dei nostalgici del fascismo, ma erano oppressi da una nostalgia del bello, del buono, del giusto che per un po’ il fascismo era sembrato potesse riportare in onore e soprattutto che il secondo dopoguerra si affrettò a seppellire sotto la voce ignominia.

Essi avevano assunto come maestri i più bei nomi della cultura italiana che per primi nel fascismo avevano creduto (talvolta anche ritraendosi delusi, ma rifiutando il comodo voltafaccia, in nome della consapevolezza che nella storia lo scarto fra teoria e prassi può portare a disastri immani) e a loro volta erano diventati maestri per le generazioni successive di giovani che, oltre ogni ragionevole adattamento alla contemporaneità, volevano ancora credere il qualcosa di grande che si legasse al nome dell’Italia.

Non fu velleitarismo arrogante o dissennato, neppure idealismo di sognatori squinternati e fuori dal mondo, perché quegli intellettuali, artisti, scrittori che erano stati giovani nell’età in cui un mondo si chiudeva e un altro se ne apriva scelsero la via della testimonianza dei valori nei quali credevano attraverso la dedizione al lavoro intellettuale producendo un’eccellenza di fronte alla quale solo il tempo obbligherà a inchinarsi rispettosi.

Con Buscaroli se ne è andato uno degli ultimi sopravvissuti a quel duro compito che si erano imposti. Rimane il suo lavoro, le sue opere che al pari di quelle dei suoi sodali già avviati verso lidi più confortevoli ne perpetueranno la memoria.

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    2 commenti per questo articolo

  • Inserito da ghorio il 16/02/2016 19:27:00

    Condivido e sottoscrivo il ricordo che Simonetta Bartolini, direttore di questo bellissimo magazine online, ha dedicato alla scomparsa di Piero Buscaroli, giornalista e scrittore di vaglia. Ho sempre ammirato Piero Buscaroli per la sua scrittura e per la sua competenza, senza entrare nel merito delle sue convinzioni politiche. Da ragazzino ho iniziato a leggere "Il Borghese", diretto da Mario Tedeschi, e gli scritti di Buscaroli avevano attirato la mia attenzione, come quelli di Giuseppe Prezzolini, di Gianna Preda e Corrado Pecci, pseudonimo, lo seppi dopo, di Giovanni Artieri e di tanti altri. Ricordo la sua competenza in politica estera con la sua polemica con Ricciardetto, alias Augusto Guerriero, grande editorialista del Corriere proprio di politica estera. L'ho seguito poi nella sua attività giornalistica come inviato di guerra , per esempio il Vietnam, le cui corrispondenze erano davvero controcorrente. Lo stesso dicasi della sua attività di critico musicale su"Il Giornale", tanto che ero rimasto male , quando si era ritirato, magari "irato ai patri numi", per dedicarsi alla biografia su Beethoven, rammaricandomi di non poter leggere le sue critiche musicali e i suoi scritti di storia controcorrente. Come spesso succede , non è che nell'area di centrodestra gli siano stati offerti grandi spazi, dopo il suo ritiro, forse per il suo carattere. Del resto in quest'area si registrano queste situazioni con giornalisti e scrittori di vaglia, anche nel ricordo dei vari anniversari. Per esempio, lo scorso anno i vent'anni della scomparsa di Artieri non sono stati ricordati nei giornali dove aveva scritto per tanti anni, dalla Stampa, al Messaggero, al Tempo,al Giornale e al Mattino.Sulla scomparsa di Buscaroli nella giornata di oggi, oltre al ricordo del Giornale e del Giorno, c'è stato anche quello della Stampa,a firma di Sandro Cappelletto, un spazio contenuto, ma corretto nell'evidenziare le doti non comuni e controcorrente dello scrittore scomparso. Per quanto mi riguarda spero che Buscaroli non venga dimenticato perché per il suo modo di scrivere deve essere considerato un Maestro. Giovanni Attinà

  • Inserito da Domenico del Nero il 16/02/2016 15:14:45

    Ricordo di averlo conosciuto a un convegno tanti anni fa; personaggio "difficile", ma con meriti straordinari, non ultimo quello di aver messo finalmente in discussione, in modo netto e deciso, la "dittatura" verdiana nella melodramma italiano dell'800. Era una voce di straordinaria autorevolezza di cui si sentirà la mancanza, specie al giorno d'oggi: la critica musicale è ormai merce rara in estinzione. Grazie al nostro direttore per questo bel ricordo.

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