Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
«Morì nella sua casa di Milano il 19 febbraio 2016 alle ore 22,30»; si legge così nella voce, Umberto Eco, di Wilipedia, prontamente aggiornata come d’altra parte era doveroso nei confronto di uno studioso che con l’enciclopedia on line aveva fatto i conti non solo teorici ma anche pratici dichiarando, in una delle sue Bustine di Minerva pubblicate sull’Espresso, di avervi collaborato. Non stupisce dunque che a proposito di alcuni passi del suo ultimo romanzo, Numero zero, si siano fatte notare imprudenti somiglianze con alcune delle voci di Wikipedia.
In linea generale sarebbe stata un’accusa di plagio da distruggere anche la più onorata carriera (ammesso che in Italia il plagio distrugga le carriere, di solito come si è visto ultimamente agevola l’accesso alla cattedra di professore ordinario) di scrittore se non si fosse trattato di chi, come Eco, con la citazione ci ha giocato con estrema arguzia fino dal libro che nel 1980 lo lanciò nell’iperuranio della fama letteraria internazionale, Il nome della rosa. La citazione si sa è un’arte, può essere diretta fra le virgolette che indicano come inizia e dove finisce la parte di testo tratta dall’opera altrui, o indiretta ovvero una sorta di sintesi di quanti altri ha scritto e pensato. In entrambi i casi la regola vuole che la fonte ovvero il testo da cui si è tratta la citazione venga dichiarata, altrimenti è plagio.
Eco rivoluzionò l’arte della citazione criptandola, esaltandola, confondendo le acque al povero interprete della sua opera che, privo dello sterminato armamentario di conoscenze, sulla letteratura medioevale (nel caso del Nome della rosa) si trovava inerme di fronte al una tessitura narrativa nella quale Eco aveva inserito un ordito di richiami alle fonti più varie e semisconosciute dell’epoca in cui il romanzo di Guglielmo di Baskerville era stato ambientato.
Una grande scrittrice come Marguerite Yourcenar, intervistata da Giovanni Minoli aveva dichiarato di non apprezzare affatto il romanzo di esordio di Eco, l’autrice delle Memorie di Adriano non poteva accettare di che il gioco, colto, raffinato, al limite del funambolismo enciclopedico diventasse la cifra estetica e ideologica del romanzo, e si può ben comprendere se si leggono i libri che Eco scrisse in seguito (dal più apprezzato Pendolo di Foucault, al deludente Baudino, alla Misteriosa fiamma della regina Loana, al buon Il cimitero di Praga) nessuno dei quali ha raggiunto non solo la fama ma neppure l’originalità strutturale del Nome della rosa.
D’altra parte Eco con il romanzo aveva fatto i conti fino dai primi anni ’60 con il famoso saggio Opera aperta, che in qualche modo aveva aperto la strada al Gruppo ’63, e alla vera e propria crisi del romanzo in Italia (un genere che nel nostro paese che non se l’è mai passata particolarmente bene), si potrebbe semplicisticamente riassumere con “distruggere e rifondare” se di fatto la narrativa di Eco avesse costituito un magistero con un qualche seguito. Non è stato così, essendo la sua cifra di romanziere adesiva alla sua personalità di studioso e non fondante un canone che potesse fungere da modello.
Senza dubbio Eco ha avuto lo straordinario merito di costringere lo studioso accademico a confrontarsi con i nuovi strumenti del sapere e della divulgazione, e in questo senso l’epiteto di genio Eco se lo è guadagnato senza riserve.
Ps. Ai lettori di questo giornale on line risparmiamo la biografia di Eco, rimandando, come è doveroso nel suo caso, alla voce a lui dedicata da Wikipedia
Inserito da Giovanni F. Accolla il 21/02/2016 18:12:38
Umberto Eco é stato un grande intellettuale. Un intellettuale molto italiano. Una specie (mi si perdoni il paragone, ma per certi versi calza) di Borges nostrano. Solo che, laddove l'autore dell'Aleph nelle cattedrali intellettuali che andava costruendo, inseriva grandi dosi di umanità , Eco nelle sue ci metteva vagoni di ideologia. Quel l'ideologia che, per definizione, divide. A me questo tratto dell'intellighenzia italica (fin dai tempi della polemica Vittorini/Togliatti) non piace affatto. Di Umberto Eco ho letto ciò che per me (per i miei studi e il mio lavoro) andava letto: in particolare i suoi studi (non banali) di semiologia. Non una riga dei suoi romanzi, magari qualche "bustina di Minerva" in sala d'attesa dal dentista. Non cambierò il mio giudizio ora che è morto, anche se mi dispiace e non solo umanamente.
Inserito da bea il 20/02/2016 15:20:10
Il migliore articolo letto finora, grazie Simonetta!
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