Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Arrivati in laguna tra frotte di fanti, artiglieri e granatieri imberesinati, anche tra i cosacchi di Krasnoff prese consistenza l’idea di dilettare la cittadinanza veneziana, che perplessa si era trovata giocoforza ad ospitarli, con uno spettacolo che rammentasseuna magnifica festa d’Oriente. Un qualcosa da associare in splendore a quei cieli visti dai solitari asceti himalayani o alle quiete immensità dell’infinito cantate dal poeta d’un colle non così lungi dal medesimo mare che lambisce la laguna. Un turbine effimero che lasciasse però un bel ricordo di sé unito alle chiacchere nella favella veneziana pure quando fosse trascorso tanto tempo. Ma cosa inventare? La fantasia quando si sporge in bilico nel vuoto minaccia sempre di cadere nel nulla pur essendo il suo capo aureolato non tanto più pesante del suo fragile e lievissimo corpo…
Un sergente cosacco, allievo ufficiale nel genio, sapeva disegnare oltre gli uffici marziali del progetto di fortificazioni e sirammentò d’una gru inutile ma bella che si poteva elevare su di una zattera per stupire la cittadinanza. La quale, di primo mattino avvisata dai gondolieri increduli, avrebbe creduto opportuno fare un giretto tardo pomeridiano fino a palazzo ducale,onde vedere se davvero si trattava di cosa spettacolosa. E così, con legno, carpenterie varie, giunzioni navali e una cospicua dose di volontà fu imbastita la strana gru costruttivista, graziosa e totalmente inutile se non addirittura un completo spreco dilegna.
La si trainò non appena scendevano le ombre del magnifico crepuscolo lagunare installata su di uno zatterone rimorchiato davecchie lance a vapore, rigurgitate fuori dall’Arsenale, fino al bacino di San Marco e la si pose ormeggiata in qualche modoquasi a vegliare il superbo San Giorgio palladiano.
In sé, vista oggi, quella gru che senno avrebbe se non quello d’una gradevole e sprecata fatica destinata a durare non più di tanto, addirittura solo qualche giorno, per dover causare la fatica di poi nel riportarla entro l’Arsenale e di lì smontarla? È certo bella cosa cagionare un onda di stupefatta ammirazione ai bravi veneziani abituati ormai allo spettacolo della loro gemmasecolare, ma non era affatto sicuro che tale stupore sarebbe durato per più d’una qualche ora e piuttosto vi fu tra qualche avveduto cosacco chi disse che c’era da temere che i cittadini della tramontata Dominante si stufassero molto presto della magnifica carnevalata e indispettiti ne chiedessero l’abbattimento da parte dell’Autorità.
È descritto con indulgenza colui che fantastica come uno che “ha la testa fra le nuvole” ed infatti un esule accompagnatosi ai cosacchi nel loro viaggio, il quale una qualche velleità di poeta ancora la serbava, propose l’idea di non strafare troppo con la dismisura orientale ed esibita a gloria soltanto dell’invenzione russa. Un esempio di garbo sarebbe stato l’aggiungervi un omaggio alla città accogliente. Si domandò all’esule, non digiuno di vaste letture, se lui sapesse cosa, per l’appunto,accompagnare alla magnifica gru per dare forma all’omaggio che i bravi artieri dei servizi e del genio avrebbero provveduto in seguito a costruire.
È un compito non così immediato inventare quello di qualcosa… La testa fra le nuvole? Era stata il suo cruccio per una vita la testa svagata, pensava il povero esule nelle febbrili ore notturne. Ma d’un tratto gli balenò come uno spicchio di luna che si affacci radioso fra le nubi inargentate l’idea che avrebbe riscattato, almeno per poco, la sua lunga attesa d’una ormaiimpossibile gloria poetica…Appassionato di bei volumi rammentava d’aver letto che nell’arte della stampa Aldo Manuzioproprio a Venezia aveva conquistato fama imperitura imprimendo ai frontispizi delle sue stampe uno strano e grazioso delfino che si attorciglia, e di ciò non se ne comprende in fondo la ragione, ad un’ancora navale in sospeso sulla carta e non calata dalla sua sagola. Una sorta di trionfo senza sostanza e appigli eppure così bello…
E l’idea di genio fu questa: e venne proprio a lui, dalla sua testa fra le nuvole che ora mutuava la lievità delle bianche montagnedi vapore acqueo in perenne navigazione nei cieli. Si sarebbe potuta costruire un’àncora di legno e si sarebbe potuto sagomare,cucendo i teli di gomma abbandonati dell’Arsenale, un delfino irto di pinne e coda svettante da attorcigliare allo stelo dell’àncora e questa di poi sospenderla dalla gru a mezz’aria sul bacino di San Marco. Quale omaggio più bello al genio veneziano pur in gloria d’una strana gru russa?
Inutile a questo punto aggiungere che l’idea trovò la generale approvazione fra i cosacchi fra i quali alcuni stimavano il povero esule un peso in più aggiunto a quelli che già si dovevano sopportare.
Le lance a vapore rimorchiarono a ritroso la zattera con la gru entro le mura dell’Arsenale e vi fu tra i veneziani chi non nascose il suo sollievo per la fine della carnevalata d’Oriente, mentre i russi coadiuvati dagli esperti operai di marina veneziani, una volta stesi gli approssimativi disegni per un delfino da trasformare in cetaceo aereo, si davano a cucire, incollare, saldare alla fiamma i teli di gomma entro i quali con tecnica da dirigibile si sarebbe insufflata dell’aria compressa.
Trascorse qualche notte ed il delfino di gomma fu pronto. Si era studiato sulla sagoma ancora floscia al suolo se l’attorcigliamento del vigoroso mammifero di mare all’ancora poteva riuscire stanti le misure dell’otre modellato in gomma, quale in fondo era la creazione ideata su suggerimento dell’esule. La poco rispettosa definizione di “otre svuotato” e simili era corrente presso gli operai dell’Arsenale, inclini al bere e quindi alle burle.
Con qualche fatica, e alla luce di qualche faro discretamente oscurato la verifica dell’”attortigliabilità” dell’otre sorridente alla sua ancora dette esito favorevole e così cominciò l’operazione del gonfiaggio con aria compressa, cosa non da poco perché la si doveva eseguire ad àncora posta in verticale con alcuni fra operai e cosacchi piuttosto robusti e alti che in piedi su delle scalesorreggevano la coda in modo che non si afflosciasse su sé stessa impedendo all’aria il riempimento completo.
In breve, e pure con qualche “oh” “oh” di ammirazione da parte degli operai, che da principio reputavano, da scettici, la cosa come impossibile oltre che inutile, l’ancora con il suo bel delfino attortigliato fu pronta e la si issò con una cima al braccio della gru lasciandola in sospeso, come nell’intento del poeta. E di, nuovo, era notte inoltrata, attraccato lo zatterone alle lance a vapore, la gru così ravvivata riprendeva la breve rotta verso il bacino di San Giorgio.
Il mattino successivo la nuova si sparse per calli e canali e, vinta l’indolenza del giorno festivo, e soprattutto la scarsa propensione dei veneziani a dar troppa importanza a qualcosa che venga dal di fuori della loro villa lagunare, vi fu concorso di gente verso la piazzetta, da dove si poteva ammirare lo spettacolo di questa carnevalata d’Oriente. Commenti vi furono e, va detto, tutti positivi. I veneziani, pur lasciando trasparire dai loro complimenti qualche trepida riserva sul “quanto a lungo” si potrebbe venire ad ammirare la bella gru con il delfino e l’àncora, ne gloriavano l’invenzione, alludendo soprattutto al grazioso e sorridente mammifero marino…
Va da sé che i complimenti al delfino celavano una certa benevola irritazione, per non aver, loro, i veneziani, aver mai trovato il modo di usare l’animale in gloria dei loro volumi rinascimentali per stupire gli ospiti con un’idea simile, colta e ad un tempo comprensibile per la sua semplicità a chiunque…
Solo un pomeriggio e poi la sera durava lo spettacolo. Un supplemento era concesso il mattino seguente, quando degli aeronauti vollero scaldare l’aria del loro aerostato per compiere dei voli sul bacino d’acque. Di poi, gli ufficiali superiori cosacchi per nulla estranei a quei modi garbati e un poco freddi della vecchia corte zarista pensarono bene di ritirare la gru ed il suo corredo entro l’Arsenale e promettendo che l’avrebbero smontata è però tenuta in serbo nei depositi per disporla a future feste, la fecero sì smontare, ma tavole, giunzioni e altro furono tagliate. Per farne passerelle, piattaforme o altro. Trattamento simile fu riservato al delfino del quale si riutilizzarono le pezze di gomma. Mai superflue dove le case si levano come per miracolo dalle acque.
L’esule, in fondo, era il più soddisfatto del successo dell’invenzione: i bravi compatrioti avevano ora la prova del suo genio. Nemmeno era contrariato del fatto che lo spettacolo fosse durato molto poco. Poteva ora tornare, e con accresciuta stima di sé, ai trastulli letterari. Avendo avuto l’occasione di ammirare degli antichi volumi conservati nelle dimore veneziane, sulle pagine di uno di questi si era imbattuto, sia il caso o sia altro, in un’incisione con il delfino attortigliato all’àncora cui si accompagnava, questa volta, un cartiglio il cui motto recitava: PRINCEPS SVDDITARVM INCOLVMITATEM PROCVRANS, ovvero “il savio principe che si cura dell’incolumità dei suoi sudditi”. L’esplicazione dell’allegoria era data nel volume poco oltre: il buon principe come un delfino si cinge all’ancora e la guida nelle profondità onde trovare appiglio sicuro a che la nave dei suoi sudditi non resti in balìa delle onde, del vento e della tempesta ed incorra nel naufragio. Si rammentò della sua condizione di esule e convenne sulla giustezza della sentenza.
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