Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
n questi giorni di risvegli moralistici, mi è tornata alla mente un battuta di mio nonno: un omino di Siracusa, minuto e nervoso, pieno di tendini e muscoli che - una volta andato in pensione (con tanto di cavalierato, nonostante una disavventura nel dopoguerra perché dirigente pubblico fedele al regime) - si ritirò in buon ordine e in solitudine in una modestissima casetta di campagna a coltivare un fazzoletto di terra, acquistato con la liquidazione e i risparmi di una vita.
Dunque, mio nonno diceva: “la coscienza è come le mutande, nessuno sa chi le porta e, qual ora le portasse, se esse sono pulite o meno”.
Credo che mio nonno intendesse dire: la coscienza è una questione che attiene alla sfera più che personale, privata e che - tanto per non sbagliare e per non essere giudicati - è meglio astenersi dal giudizio su qualcun altro, soprattutto intorno a temi che riguardavano la mera coscienza, appunto.
Ecco, per quanto mi riguarda la questione della paternità di Nicola Vendola, detto Nichi, di professione politico, io non ho giudizio. O meglio, un giudizio lo ho, ma nonostante tutto credo che la libertà di questo individuo (così lontano da me in ogni suo pensiero e in ogni sua manifestazione) sia più importante del mio stesso giudizio. E non sono un liberale, aspiro - piuttosto - ad essere libero.
Così no, io non ci casco: voglio continuare a credere che, per esempio, tutti coloro i quali nel tempo, non pensandola come loro, mi hanno dato del fascista - senza neanche lontanamente pensare quanto sia fascista dare del fascista (scusate il bisticcio) ad uno nato più di vent’anni dopo la fine di quel regime - siano degli idioti patentati, dei minus habens insomma.
Mi tiro allora fuori dal gioco, troppo facile, dell’insulto, del dileggio, del giudizio morale su una questione che attiene soprattutto alla sua coscienza.
Difendere la libertà di Nicola Vendola detto Nichi di professione politico, sia detto chiaramente e senza ipocrisia, è quanto meno un modo di preservare la mia libertà. Un modo per avere la coscienza pulita (a proposito: io sovente non porto mutande) e per incazzarmi, ogni qual volta qualcuno intende limitare la mia sacrosanta libertà. Anche quella di non portare mutande!
Il surrogato che di Nicola Vendola, detto Nichi di professione politico, mi fa letteralmente rabbrividire è quello che ne ha fatto del suo essere un politico, appunto. Egli oggi è ancor di più, un autentico cialtrone, un parolaio barocco (anzi rococò), un moralista (lui sì) insulso e vuoto. Un politico ipocrita, dunque, un comunista da salotto di provincia con i più biechi sogni borghesi; uno che, ne sono certo, semmai ci parlassi, dopo pochi minuti, mi darebbe del fascista.
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