Curiosità

Mophatère Le Clezeq, il magistrato belga che scrive poesie

di Piccolo da Chioggia

Mophatère Le Clezeq, il magistrato belga che scrive poesie

Sotto lo pseudonimo dal suono vagamente bretone di “Mophatère Le Clezeq” si cela in realtà un distinto signore del Belgio fiammingo che ha svolto per molti anni il severo ufficio di magistrato della corte del lavoro in Bruxelles. Il signore in questione risiede ora in Anversa,-  il cui porto sullo sbocco della Schelda riporta d’un tratto allo schizzo a lapis di Albrecht Dürer con lo scaricatore curvo, oberato dalla sporta in un teatro di navi, vele, tetti a cuspide -, e ha sempre coltivato nel tempo, ciò forse per compensare la serietà necessaria all’ufficio, le arti, tanto quelle poetiche quanto le figurative.

Mi aveva scritto una lettera, or non è molto, con la quale, dopo l’ennesimo invio di immagini fotografiche dei suoi assemblaggi in legno, e di certi bizzarri schizzi ad inchiostro che vorrebbero essere impressioni e visioni astratte, ricevevo due fogli da una rivistina letteraria belga su cui erano state stampate delle sue poesie.

Per gli assemblaggi gli esprimevo, in una risposta altrettanto corredata da miei scarabocchi astratti, gli oramai reiterati complimenti: le sue sono vere sculture polimateriche che per fantasia e ingegnosità inventiva e garbo estetico avrebbero senz’altro catturato l’attenzione ed il plauso dei futuristi. Mi aprivo pure in qualche educata critica pei suoi schizzi astratti, incomprensibili e per ciò pure inutili in vista d’una decorazione di qualche opera letteraria delle sue, apparse nel tempo sotto le varie forme di racconto, studio estetico, manifesto per una nuova corrente artistica etc.

Per le poesie non potevo che complimentarmi di nuovo. Soprattutto la curiosa filastrocca che qui di seguito voglio proporre al lettore, - calcata su ricordi di quelle che immagino siano state le villeggiature spensierate d’un tempo lontano -, mi aveva davvero fatto sorridere per la grazia narrativa e la bellezza della lingua, non costretta da alcuna metrica ma dosata con effetto sicuro nel ritmo.

Alla primissima lettura del poemetto si disegnano immediate nella mente le vicende d’un gruppo di giovinetti, poco più che fanciulli, i quali, possiamo credere per un attimo in quiete dopo passeggiate, giochi, litigi e tiri più vari, si danno, con intermesse le parole ai bocconi d’una merenda fatta di baguette et camembert, ad una sorta di elezioni molto serie.

Segue al testo d’origine, cui non ho mancato, - come il solito -, di innestare una coppia di variazioni davvero minuscole, la versione italiana.

 

AU VILLAGE D’ONQUES-ONCOURT
 
                 (Noise Inférieure)
 
il y a bien des années
on avait coutume d’élire
successivement
le gamin au torse le mieux fait
aux lèvres les mieux dessinées
à la peau la plus lisse
aux poignets les plus fins
et pour ne pas faire de jaloux
dépassant l’esthétique
on mesurait aussi
la force
l’adresse
les aptitudes
de la partie en cause
on couronnait alors
l’abdomen le plus ferme
l’oreille la plus sensible
les bras les plus enveloppants
l’articulation la plus discrète
et pour ne pas en rester là
on s’était mis à comparer
les gestes
les paroles
les écrits
ainsi étais-je devenu
tour à tour
le plus élégant des rattacheurs de lacet
l’auteur de la lettre la plus anonyme
le plus musical
des prononceurs du mot
hippopotami;
j’oubliais d’ajouter
que les filles
après mûre réflexion
on les avait exclues
du Tournoi Permanent
exception faite
d’une seule épreuve
où l’on jugeait
toutes chambres réunies
la sournoiserie de leurs regards.
 
In villeggiatura ad Onques-Oncourt
(dipartimento della Noise inferiore)
 
È un bel po’di anni
che si aveva il costume d’eleggere,
in successione:
il maschio dal torso più ben fatto,
le labbra meglio disegnate,
la pelle più liscia,
dai polsi più fini;
e per non suscitar gelosie,
lasciando da parte l’estetica,
si misuravano pure:
forza,
destrezza,
le attitudini
d’una parte in causa,
e s’incoronavano così:
l’addome più resistente,
l’orecchio più sensibile,
il più avvolgente dei bracci,
l’articolazione più discreta;
e per non fissarsi su questo poco
ci si era messi a confrontare:
i gesti,
le parole,
gli scritti,
e così io ero a mia volta
divenuto:
il più elegante nell’allacciarsi le stringhe,
l’autore della lettera più anonima,
il più musicale
dei dicitori la parola:
“ippopotamo”.
Dimenticavo di dire
che le femmine,
dopo maturo consiglio,
le si era escluse
da questo torneare permanente,
eccezion fatta
d’una sola prova,
dove si giudicava
a camere tutte riunite:

il più sornione dei loro sguardi…

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