Editoriale

Bruxelles. E se tornassimo impugnare la croce per difendere l'Occidente sconfitto?

Ci siamo arresi per onorare le leggi del mercato (armi e petrolio). Lo scontro di civiltà è una sciocchezza se ciascuno crede fermamente nella forza e nella bontà della propria al punto da volerla difendere ( e non occorrono armi)

Domenico Del Nero

di Domenico Del Nero

n nuovo, efferato bagno di sangue.  Gli attentati di Bruxelles pongono di nuovo l’Occidente di fronte alla sua debolezza e vulnerabilità. Le reazioni, scomposte, vanno dallo sgomento alla collera più cieca, dai ruggiti di tastiere che vogliono appendere al palo chiunque sia anche vagamente in odore di islamismo a chi invece pensa di risolvere il problema a forza di gessetti, accoglienze a tutto spiano e proliferazioni di moschee.

Difficile dire quale delle due reazioni sia più assurda. La prima, se può trovare una giustificazione “emotiva”, dimentica non solo che l’equazione che fa di qualsiasi  islamico , per il solo fatto d’esser tale, un terrorista è priva di ogni fondamento;  ma le origini stesse del fondamentalismo e del terrorismo  islamico, a suo tempo  coccolato e foraggiato da Usa e satelliti per i loro piani egemonici. Quanto accaduto a suo tempo in Iraq, in Libia e quanto sta succedendo oggi in Siria sembra non insegnare nulla a nessuno.  Non per nulla, già nel 2013 il presidente siriano Assad, bestia nera delle potenze occidentali, vero bersaglio attualmente nel mirino e bastione di quel poco di stabilità che ancora rimane nel Medio e Vicino Oriente, aveva avvertito: “ il terrorismo non si fermerà, verrà esportato in Europa attraverso l’immigrazione illegale”. E anche adesso, in occasione dei tragici fatti della capitale belga, il presidente siriano, che la ben poco astuta intelligence francese aveva definito nel 2014 “un morto che cammina” ha ricordato come i terroristi dell’Isis trovino tra i profughi un terreni di mimetizzazione perfetto.

E questo ci porta al secondo punto. Le tonnellate di buonismo, nauseabondo e dolciastro, di cui ancora una volta Papa Francesco dà fra i primi  un pessimo esempio, sono senz’altro  ancora più folli e sconsiderate. Ma si pone e impone qui un’altra considerazione: come mai a nessuno di questi grandi “amici dei profughi “ viene in mente di chiedere la cosa più elementare e basilare, ovvero che ci si dia veramente da fare per pacificare le zone calde e spazzare via una buona volta il sedicente “stato islamico”? Spegnere il focolaio d’infezione dovrebbe essere il primo obiettivo e l’interesse primario  non solo d’Europa, ma di tutto il mondo civile. Il fatto che invece si insista su questo tema della “accoglienza”, che tra l’altro come è noto è anche un grosso business, qualche sospetto e qualche domandina dovrebbe suscitarla.  Sembra che non  possa darsi altra alternativa tra il muro e l’invasione; quest’ultima  peraltro, sempre a parere di papa Bergoglio, sarebbe comunque “positiva”, anche se Sua Santità non ne ha specificato bene i motivi. Forse per costringerlo a tornarsene di corsa nella pampas, ma per quanto la cosa sia allettante il prezzo da pagare sarebbe un po’ eccessivo.

 Non sarebbe male ricordare un remoto precedente storico: certo, si tratta di contesti totalmente differenti, ma  con qualche impressionante analogia.  Anche l’Impero Romano credette, nella seconda metà del IV  secolo, di poter gestire la “emergenza” dei Visigoti  schiacciati dall’avanzata degli Unni.  Ma la situazione gli sfuggì totalmente di mano  - tra l’altro,  in quel caso, in parte per episodi di efferata crudeltà e sfruttamento da parte dei Romani  - e si arrivò così alla battaglia di Adrianopoli del 378, che fu il principio della fine.

Situazioni diversi,contesti diversi, anche perché tra l’altro i “barbari” sempre cristiani erano, anche se in buona parte ariani.  Ma nel nostro caso, il problema è  creato spesso dagli oceanici abissi di ipocrita stupidità del “politicamente corretto” di cui la sinistra nostrana (ma anche quella a varie altre latitudini)  è maestra: il togliere dalle scuole e dagli  edifici pubblici i simboli della religione cristiana per non “offendere la suscettibilità” dei musulmani, la preoccupazione dei “menù multietnici”; e se persino l’arcivescovo di Bologna si preoccupa delle “festività islamiche nelle scuole”, due preti pistoiesi arrivano a proporre la “moschiesa” , ovvero una chiesa che possa diventare luogo di preghiera anche per i musulmani che si propongono di ospitare. In questo caso dunque la “semplice” accoglienza non basta e c’è da chiedersi se proprio i due zelanti sacerdoti non potevano destinare qualche altro spazio per le devozioni dei loro nuovi “ospiti”. Per fortuna il vescovo di Pistoia sembra non aver affatto gradito la cosa.

La sensazione – in questi casi – è che il problema non siano solo  e neppure tanto gli islamici, ma il cristianesimo e soprattutto il cattolicesimo. Sembra di vedere in atto infatti una vera e propria campagna “anticattolica”, intenta a cancellare il più possibile ciò che resta di duemila anni di  civiltà, servendosi dei musulmani come “cavallo di Troia” e senza neppure porsi il problema, tra l’altro, che questo possa poi rivelarsi una terribile arma a doppio taglio. Ma la cosa più grottesca è una Chiesa che collabora a tutto ciò, dimenticando proprio quello in cui invece gli islamici sono ben  tenaci e radicati: l’importanza della propria identità e delle proprie tradizioni. Se un islamico si sente “offeso” dalla presenza di un crocifisso che nessuno certo gli impone di venerare, può anche tornarsene da dove è venuto; ma è facile che a sentirsi  “offesi” dai crocifissi siano soprattutto le Boldrini della situazione, buona parte dell’apparato di quel PD che, non dimentichiamolo, ha pur sempre le sue radici nel comunismo; ma anche buona parte di una sedicente “destra” per cui quello che conta è sempre e solo  il mercato e a chiese e basiliche preferisce piuttosto logge e loggette.

Ancora una volta, la reazione a fatti come quelli di Bruxelles oggi e Parigi ieri non dovrebbe essere né gessetti e Je suis, né sbruffonate e bellicismi da tastiera, surrogato ormai di osterie, bar fuoriporta e dopolavori vari.  Dovrebbe essere quella di impugnare la croce, ma  non solo per brandirla contro il nemico esterno, ma soprattutto contro coloro che ci hanno portato a questa situazione: contro chi ha sconvolto i paesi del  Medio e Vicino Oriente, contro chi ha deliberatamente innescato una polveriera che adesso sta esplodendo a varie riprese. Senza certo omettere di regolare i conti con l’Isis e usando il pugno di ferro con chi, anche larvatamente, ne approva le disgustose gesta, che sia un Imam o uno  studentello idiota come il marocchino di Cremona che esultava pubblicamente per i recenti attentati : in questo caso una sospensione da scuola non basta, l’espulsione per lui e famiglia sarebbe il minimo sindacale.  Ma se il problema non viene risolto alla radice, se oltre ai “mostri” non ci si decide a colpire chi li crea e se ne serve,  distrutta una Isis ce ne sarà un’altra: e il cuore del problema non sta nelle moschee, ma in certi “sacri” palazzi del potere, di vetro, bianchi, ed altri meno noti ma non meno esiziali.

Certo, fa una impressione penosa vedere che il papa, due giorni dopo l’attentato di Bruxelles, non sappia trovare di meglio che… lavare i piedi ad alcuni musulmani. Già tutta l’attenzione che Bergoglio ha dato sin dall’inizio del suo pontificato alla “lavanda dei piedi” del giovedì santo, che costituisce certo un momento importante ma non è quello fondamentale,  ha quasi del grottesco e fa sospettare che secondo lui Cristo facesse a tempo perso il pedicure: prima l’ha estesa alla donne (non per mancare di rispetto al gentil sesso, ma secondo il Vangelo Gesù limitò questa operazione ai suoi discepoli) poi, malgrado la regola da lui stesso sottoscritta che vuole che quanto meno i partecipanti siano cristiani, ci include pure persone di fede islamica, con il rischio sin troppo evidente di far pensare a una sorta di atto di sottomissione. Tra l’altro, il giovedì santo dovrebbe ricordare soprattutto l’istituzione dell’Eucarestia e del sacerdozio, ma per questo papa evidentemente i piedi, fedeli o infedeli che siano, contano più dei sacramenti. Come stupirsi se poi  molti cristiani sono i primi che sotto i piedi ci mettono la fede?

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