Parla un maestro

Maurizio Colasanti: la musica è sfinita, ma un grande musicista non si arrende mai.

Progetti e considerazioni di una bacchetta doc.

di Domenico Del Nero

Maurizio Colasanti: la musica è sfinita, ma un grande musicista non si arrende mai.

Il maestro Maurizio Colasanti

Utopia e patriottismo:  temi affascinanti e molto frequentati in letteratura, ma che toccano anche il campo musicale, soprattutto dell’opera lirica, dove versi e note creano un incanto veramente unico e straordinario.  Il maestro Maurizio Colasanti,  direttore d’orchestra di grande talento e notevole spessore, culturale, molto apprezzato sia in Italia che soprattutto (come accade ai nostri artisti migliori) all’estero, sta per dirigere una Messa da Requiem a Chicago  e un Frate Innamorato di  Pergolesi  come opera studio   in collaborazione con Susanna Rigacci. Ma oltre a questo, il maestro lavora a  due percorsi “a tema”:  il primo dal Titolo L'Utopia e il non luogo nell'opera lirica,  il secondo : Musica Patria, Intrepido il tuo dover adempi: La musica delle radici, L'opera lirica nella società mondiale, tra identità e disuguaglianze, tra sovranità e condizionamenti. Due idee di grande interesse, a cui Colasanti lavora con il regista  Gabriele Cazzola (regista di molte produzioni video di Riccardo Muti), che hanno tra l’altro il merito, nel senso caso, di proporre titoli del tutto sconosciuti al grande pubblico ma di grande impatto musicale e di mostrare che il tema “patriottico” non è certo solo Verdi.  E non cìè certo solo questo, l’agenda di Colasanti è quella di un vero e proprio “ambasciatore della cultura”: gli  appuntamenti  del 2016  registrano a maggio  la Butterfly di G. Puccini al  Brasil Opera Festival, a Giugno Hindemith monografico a Valencia,  a luglio Pergolesi Lo frate 'nnamorato e Kurt Weil a Pescara in   agosto: a Settembre esecuzioni di  Sibelius  in Finlandia sua patria, al Festival di Hailuoto e Helsinky Summer Season ; poi  Trovatore a Busan (Corea), in Ottobre e  negli Stati Uniti la Messa da Requiem Verdi  in varie città.  E a Novembre un Viaggio a Reims di Rossini a Odessa (Russia) ; e molto altro.

Maestro, prima di tutto qualche notizia sui suoi prossimi appuntamenti, il Requiem e Pergolesi

Verdi e Pergolesi rappresentano due simboli di una grande tradizione musicale e di un profondo rigore culturale. Entrambi, con le loro opere, hanno contribuito a rendere il nostro paese protagonista della cultura mondiale. Verdi è più conosciuto dal grande pubblico e di lui si può dire che si sa tutto, Pergolesi, meno noto, è un simbolo leggendario della storia musicale dell'occidente soprattutto per gli addetti ai lavori: musicista geniale e precoce, egli mutò il paradigma musicale del tempo e la sua vita, breve e infelice è nettamente in contrasto con la gloria postuma. Quanto ai programmi che andrò a fare, diciamo subito che sono quanto di più lontano e antitetico si possa immaginare. Si sa che Verdi fu accusato di aver composto la Messa da Requiem come musica più da teatro che da chiesa. La spiritualità di quest'opera però traspare con evidenza lacerante. L'inquietudine che la pervade ne fa un manifesto assoluto sul mistero della morte. Nel Requiem si avverte una trascendenza angosciata, tesa costantemente verso la ricerca dell'assoluto, ricerca che rivela un senso di doloroso abbandono, oserei dire senza speranza, ricerca che porta verso un pessimismo consapevole sul vuoto che ci attende. Insomma un opera ciclopica per profondità e articolazione, che rivela il dramma spirituale dell’uomo al cospetto di Dio Onnipotente, dell’uomo che non può eludere l’eterno interrogativo sulla propria esistenza.
Lo frate 'nnamorato di Pergolesi nell'ambito di GO Opera Festival sarà invece una produzione allestita come opera studio. Insieme alla bravissima Susanna Rigacci si è pensato di puntare quest'anno ad un titolo che potesse permettere ai giovani di affinare sul palcoscenico sia le proprie doti canore che quelle della recitazione. Come si sa la commedia per musica ha il pregio e l'onere di prevedere cantanti-attori, mentre all'epoca vi erano artisti specializzati, nel tempo questa caratteristica si è persa perché si è voluto dare spazio prevalentemente all'aspetto canoro. Ultimamente questo aspetto teatrale sta tornando in auge, e noi con questo titolo  abbiamo voluto offrire questa opportunità scegliendo questo titolo. L'opera è un capolavoro di leggerezza in cui l'elemento costitutivo, oltre che dato dalle situazioni esilaranti della scena, è determinato dalla rapida brevità dell’immagine musicale: Pergolesi disegna i suoi personaggi con nitidezza sempre delicata, egli pur nella semplicità, adotta e riassume con acume penetrante ogni situazione, rendendo l'ascolto attraente e interessante.

 

Come nasce l’idea di questi due percorsi? Come intendete svilupparli?

I concetti di meraviglioso, di straordinario, di utopistico hanno sempre accompagnato la produzione operistica fin dal 700, e a questi temi , durante il risorgimento se ne sono aggiunti degli altri; onore, libertà, inclusione, Dio, gloria, appartenenza, spesso indipendentemente dai veri propositi degli autori.             Ai giorni nostri, io e Gabriele Cazzola  abbiamo voluto chiederci che cosa  è rimasto di queste parole d'ordine? L'opera , il melodramma rappresentano ancora veicoli attraverso cui diffondere temi come  identità e disuguaglianze, sovranità e libertà, utopia e oggettività.
Con questi due percorsi : L'Utopia e il non luogo nell'opera lirica e Musica Patria, Insieme a Cazzola, che è anche uno dei pochi registi di oggi che parte dal presupposto che prima di tutto occorre studiare con rispetto la musica, prima di poter progettare una regia sensata, coerente e rispettosa dell'autore (il che non significa per forza "tradizionale"), abbiamo voluto compiere un passo breve per spostarci dalla prospettiva vagamente consolatoria, disimpegnata, falsamente mitologica del teatro lirico dei nostri giorni, verso una lettura che modernamente definiamo appunto visionaria. Per ogni tematica abbiamo scelto due titoli  (poco noti anche se di grandi autori) e ne progettiamo l'allestimento scenico; a questi si aggiunge poi un concerto finale, con brani di vari autori che riportano ognuno a suo modo al tema proposto: Il tutto deve svolgersi nell'arco di pochi giorni e può essere realizzato anche in coproduzione tra vari teatri. Ora non voglio svelare di più, ma dato che sono certo della validità del progetto, sono curioso di vedere quanto i direttori artistici saranno solleticati da questa idea e come la vorranno attuare. Non è poi superfluo dire che coinvolgeremo cast giovani di grande talento (coinvolgeremo realmente, non con i soliti proclami) e l'impianto scenico sarà specificatamente ideato per una facilità di trasporto e montaggio, per poterlo esportare con semplicità, tutto a costi ragionevoli. Questo secondo me e Gabriele Cazzola è uno dei modi per rinnovare nei fatti il teatro italiano e valorizzare risorse, talenti, repertorio, evitando l'eterno ritorno dell'uguale in attesa di un Godot che non arriva.

C’è interesse oggi, da parte dei teatri e del pubblico, per eventi di questo tipo?
Ogni volta che mi viene rivolta questa domanda penso che l' Italia è un paese alquanto eccentrico. Come accade per il recupero e la valorizzazione dei nostri beni architettonici e museali (non dimentichiamo che l' Italia possiede credo il 70% dei beni artistici di tutto il mondo), così è per la nostra musica. Ci ricordiamo di averla solo quando c'è da fare un discorso nelle occasioni ufficiali. Ma soprattutto, se andiamo a guardare il cartellone d'opera dei vari teatri nel corso degli anni, sembra che il repertorio italiano sia fatto più o meno da venti opere che si ripetono all'infinito. Pochi, a parte il Maestro Muti e alcuni direttori "barocchisti", fanno una vera opera di riscoperta, ultimamente ci sono stati Teatri che hanno intrapreso questa strada, ma concedetemi di dire che è ancora poco. Noi vogliamo farlo bene e lo stiamo facendo nei fatti, non come fanno in tanti pescando dal passato qualche titolo in maniera estemporanea, ma costruendo un percorso che in potenza potrebbe essere esteso ad intere stagioni operistiche, se fosse così ne vedremmo delle belle, e i teatri tornerebbero sicuramente protagonisti della contemporaneità.

 

 

Ancora una volta, l’ampliamento del repertorio: quanto è stato fatto a suo giudizio, e  cosa di dovrebbe fare, per ricuperare l’immenso patrimonio “sommerso” dell’opera italiana?

A questa domanda ho in parte già risposto sopra, e fra qualche mese con l'uscita di un mio libro dal titolo La musica è sfinita, risponderò articolando con maggiore profondità e spazio. Semplicemente potrei replicare che per recuperare l'immenso patrimonio sommerso non dovremmo fare altro che offrirlo al pubblico, renderlo fruibile investendo su questo uomini e risorse. I nostri musei, le nostre biblioteche e perché no i nostri teatri sono spesso depositi mal tenuti di materiale in attesa di una nuova epifania,bisognerebbe capire che il bambinello è altrove e anche i re magi sono già andati via. Per rispondere meglio alla sua domanda, mi permetta una piccola divagazione. In questi giorni ho letto il primo romanzo di Houellebecq (L'estensione del dominio della lotta).
Il libro racconta di un trentenne depresso che incarna l'emblema della non-vita, dell’indifferenza, della disaffezione, della noia. Il protagonista si rende perfettamente conto di quanto il dominio della lotta si stia impossessando della società, ampliando lo scontro ad ogni ambito umano. Solo che non gliene frega niente. Lui non  è interessato, non  perché gli manchi la speranza, a lui manca semplicemente uno scopo che è, chiaramente, presupposto e cardine della lotta stessa. I teatri italiani spesso vivono la stessa situazione. A questo li ha portati da un lato una politica che preferisce la sostanza del concreto all'evanescenza dell'arte, e dall'altro un politburo di mandarini  giurassici, di un potere ancestrale ereditato per diritto divino dalla notte dei tempi. Aggiungiamoci poi che qualche secolo fa i  mecenati aspiravano all'immortalità, per questo commissionavano opere straordinarie, mentre ai nostri giorni si desidera solo la mortadella e la diagnosi può essere fatta. Tra le altre cose viviamo in un paese che non riesce a condividere la propria memoria, figuriamoci il suo futuro e con esso il futuro del teatro lirico. Il totem imposto poi ai teatri italiani è il mercato e il suo habitat naturale, l'obbiettivo sono le regole di bilancio, il pareggio dei conti, ciò ha fatto perdere di vista  la natura e la missione di chi deve fare cultura. Qui non dico che si dovrebbe sperperare, è logico che no, ma l'orizzonte di una impresa culturale quale è un Teatro lirico o una orchestra Sinfonica non è nella missione capitalistica ma nel favorire i germogli e nell'alimentare il terreno fertile che possa permettere la crescita dei frutti dell'arte e della bellezza.

 

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