Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Chi non conosce la terra d'Afghanistan forse non può capire, ma chi l'ha vissuta, ha vissuto la sua storia, le sue bellezze, ama le sue genti, qualunque sia l'etnia e le singole storie, guarda con occhi diversi le sue vicende tutte, vicende che da tanto, troppo, si sono fatte drammaticamente tragiche. Così, guardando con occhi diversi, s'avvede dei perché più profondi, quelli nascosti, quelli segreti e i perché segreti, nascosti, profondi, spesso si evidenziano nelle leggende, leggende che appartengono all'animo di una terra, di un popolo uno, benché sfaccettato, benché troppo usato quale strumento di disgregazione di se stesso da parte dello straniero, da sempre. Così, mentre azioni di guerra e guerriglia, innescate anch'esse da sempre, continuano a ferire il corpo di questa terra, a disperdere il suo sangue, mentre l'ipocrisia continua ad abbattersi su di essa sotto mentite spoglie di aiuti e protezione, anche l'Hindu Kush, sua spina dorsale, scuote le proprie viscere e fa tremare la terra provocando altre ferite ed altro sangue, e allora noi, lasciando ad altra pagina l'analisi quotidiana, lasciando i suoi protagonisti, ormai personaggi d'una scena, da Kerry a Ghani ed oltre, raccontiamo una leggenda, una leggenda di tanto, tanto tempo fa, perché le leggende, così come le fiabe, nella visione metaforica della vita parlano sempre una verità.
"La ferita di Zamr Gabrè.
A qualche anno dalla morte di Mohammad, ma prima che l'Afghanistan abbracciasse, se pur in parte, la fede dell'Islam, nella città di Gardez, che sta a significare cavallo alpestre, regnava un sovrano buono e saggio, conosciuto per la sua imponente statura e la sua forza straordinaria, un gigante di nome Zamr Gabrè. Come l'intero suo popolo, Zamr Gabrè era zoroastriano, il suo pensiero si muoveva per calli celesti ben ampi, ricchi di quelle cosmiche visioni che rendevano anche la sua saggezza sempre più ampia.
Avvenne che un giorno
gli chiedessero udienza due stranieri fattisi annunciare quali nipoti di
Mohammad. Siamo venuti a Gardez per convertire te e la tua gente, dichiararono.
Nell'udire queste parole, il saggio e pacifico Zamr, mosso da un impulso
estraneo alla propria natura, si avventò sui due. Li avrebbe senz'altro
sopraffatti, ma i due usarono arti magiche e il re leale ebbe la peggio, subì
gravi ferite. I due stranieri si impossessarono del regno e Zamr fu costretto,
con pochi fidati, a riparare a nord di Gardez, nel Nuristan. Leggenda vuole che
viva ancora lì, nella selvaggia terra di montagna abitata dai Kafir, infedeli,
che si proclamavano discendenti di Alessandro Magno, ma che a nostro avviso
sono diretti discendenti degli Arii. In quest'aspra affascinante regione
dell'Hindu Kush tra Afghanistan e Pakistan, i suoi compagni lo curarono e lo
curano, sì, perché pare che ogni primavera, quando la pioggia scroscia
violenta, il tuono squassa le montagne e saette solcano i cieli, Zamr Gabrè
s'appressi a raggiungere il suo popolo. Ma ogni qualvolta questo sta per
avverarsi, le ferite si riaprono e il sangue esce a fiotti e a nulla valgono i
tamponi dei suoi fidi compagni.
Zamr Gabrè forse non potrà più tornare nella sua terra perché il tuono è la
voce di Alì, padre dei due stranieri e quarto califfo dell'Islam, e il fulmine
la sua frusta che riapre e riaprirà le ferite di Zamr Gabrè. In eterno"
Così narra la leggenda e noi l'ascoltiamo
,Inserito da Meertaire il 21/11/2024 21:34:58
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