L’anniversario: William Shakespeare

Quattrocento anni di gloria eterna

Il 23 aprile 1616 scompariva uno dei più grandi drammaturghi di tutti i tempi.

di Domenico Del Nero

Quattrocento anni di gloria eterna

Quattro secoli di immortalità. Per il Romanticismo fu, insieme a Omero e Dante, uno dei più grandi autori di tutti i tempi ed esattamente come loro, è uno di quei personaggi di cui sappiamo poco, tanto che come per il sommo poeta greco, si è persino messa in dubbio la sua esistenza, o meglio che sia il vero "autore" delle opere che vanno sotto il suo nome.  Si tratta, ovviamente, del bardo di Stratford  upon Avon, William Shakespeare, di cui ricorre oggi il quattrocentesimo anniversario della scomparsa.   I giudizi superlativi sul suo conto sono giustamente innumerevoli, così come gli autori che si sono ispirati a lui : T. S. Eliot diceva che Dante e  Shakespeare si sono divisi il mondo senza  lasciare spazio a un terzo, mentre – ovviamente esagerando – Harold Bloom mette in prima posizione il cantore britannico e in seconda il vate italiano. Per Arrigo Boito, che da Otello e Falstaff ricavò i libretti per gli ultimi, immortali capolavori verdiani (in cui il testo , contrariamente a quanto accade di solito nel melodramma, gioca un ruolo non inferiore alla musica) ne fu profondamente innamorato sin dalla giovinezza e in un suo articolo lo definì con il curioso appellativo di “sferico”, anche questo condiviso con l’altrettanto venerato Dante.

E l’elenco potrebbe continuare all’infinito, anche perché le opere del sommo poeta inglese non hanno mai smesso di occupare i palcoscenici, anche se a volte, soprattutto negli ultimi tempi, straziate da regie impossibili che pretendono di “attualizzare” o “rivisitare” ciò che è eterno di suo.

Oggi  Stratford festeggia in grande stile, con cortei storici e manifestazioni di vario genere, il suo più illustre concittadino che, del resto, le procura circa 5 milioni di visite all’anno.  Qui il sommo drammaturgo nacque in un non precisato giorno d’aprile del 1564 e morì il 23 aprile del 1616, dopo essere ritornato nel paese natale dal 1611, come testimonia un documento in cui il suo nome era elencato nella lista dei contribuenti tenuti a pagare un’imposta per il mantenimento delle strade reali. Oggi non abbiamo nessuno, purtroppo, all’altezza della sua fama e del suo talento, ma sarebbe davvero curioso se i nostri posteri venissero a conoscenza di qualche sparuta notizia di un genio di oggi attraverso qualche cartella di Equitalia. E purtroppo, anche con Shakespeare le testimonianze sono davvero poche. Si sa che preparò il suo testamento a fine marzo del 1616, dichiarando di essere in perfetta salute, ma si ignora per quale motivo sia morto meno un mese dopo. Ovviamente potrebbe trattarsi di una formula di rito, oppure potrebbe esserci qualcosa di vero nella maligna diceria messa in giro però circa mezzo secolo la sua morte, ovvero che essa seguita a un febbrone dovuto a una colossale e solenne bevuta. Sarebbe in fondo abbastanza “in tono” con un uomo di teatro e con un artista che senza dubbio ebbe il dono della “ebbrezza” dionisiaca.

Ma anche se certo, come sempre nel caso delle grandi personalità, ci piacerebbe sapere qualcosa di più di lui, soprattutto sulla sua giovinezza e sulla sua formazione (un po’ meglio siamo messi per i periodi successivi, sappiamo che oltre che grande artista fu anche un discreto uomo d’affari e che seppe amministrare abilmente la sua fortuna), quello che conta e lo rende veramente immortale è la sua opera. E del resto non tardò a suscitare invidie e rivalità feroci, se  come è probabile si riferisce a lui questa invettiva del 1592 del drammaturgo Robert Greene:

“ Un corvo parvenu, abbellito dalle nostre piume, che con la sua Arte di tigre nascosta da un corpo d’attore ritiene d’essere capace quanto il migliore di voi di tuonare in pentametri giambici; ed essendo un faccendiere assai affaccendato, è secondo il suo giudizio l’unico ‘Scuoti-scene’ del paese.”

Trentasette testi teatrali tra tragedie, drammi storici  e commedie, 154 sonetti tra cui alcuni dei più belli della letteratura inglese, più poemi e scritti vari formano il corpus letterario di questo genio davvero singolare, che rivoluzionò il teatro con drammi che ignoravano la tirannia delle cosiddette “unità aristoteliche”, riscrivevano la storia  (a volte, come nel Riccardo III, anche in modo alquanto parziale e arbitrario, probabilmente per compiacere la dinastia Tudor al potere) ma soprattutto scandagliavano gli abissi più insondabili dell’animo umano.   Sempre Eliot diceva che nell’arte è più facile immedesimarsi nell’Inferno, nelle passioni della carne e nelle contraddizioni dell’animo, che nella bontà.  L’Amleto, ad esempio  è una tragedia che  mette a nudo tutti gli stadi dell’essere. Si parte da una situazione tutto sommato tradizionale,  il desiderio  di vendetta di un principe per l’assassinio del padre, per giungere a scandagliare come in un incubo  temi quali il potere, l’incesto, l’amore, la follia, il sovrannaturale.  Shakespeare è stato davvero ombra e luce,  passando da tragedie sanguinose ed oscure come Amleto o Tito Andronico a commedie luminose ed equilibrate come il Sogno di una notte di mezza estate.  E il segreto della sua intramontabile attualità è proprio qui:  nella sua magistrale capacità di narrare i sentimenti più  profondi dell’animo umano, dall’amore passionale avvelenato dalla gelosia di Otello, alla libido del potere in Macbeth, alla sensualità di Romeo e Giulietta: personaggi che non sono vivi solo sulla scena, ma anche e soprattutto nel nostro  immaginario e nella nostra cultura.

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