Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
È strano, molto strano il caso di Ingroia, l’ex magistrato passato per la politica senza successo, ora divenuto avvocato penalista e balzato nuovamente agli onori della cronaca come difensore del giornalista siciliano Maniaci raggiunto da un’accusa di estorsione legata proprio al suo lavoro nel campo della denuncia mediatica del malaffare mafioso.
Ingroia lo abbiamo tutti conosciuto come una toga dura e pura, di quelli che prima sbattono in carcere il sospettato poi, se è il caso, gli spiegano perché e per come e comunque lo ritengono colpevole fino a quanto non gli sia possibile dimostrare la propria estraneità ai fatti contestati. Insomma Ingroia non si è mai segnalato come un garantista, anche i giudici possono, anzi dovrebbero, esserlo nel senso di garantire il diritto civile alla difesa, la presunzione d’innocenza e tutto quanto sulla carta renderebbe il nostro sistema giuridico civile e giusto; il tutto in nome della Giustizia di chi dovrebbero essere i servitori fedeli a prescindere.
Dopo Mani Pulite si sa che una parte della magistratura si è sentita investita (e non a torto) del compito di dare una sacrosanta ripulita al sistema-paese nel campo della questione morale (quella invocata da Berlinguer e che riguarda non tanto l’etica individuale quanto la compromissione della politica con le istituzioni – conflitti di interesse, speculazioni, intromissioni pesanti ecc), poi le cose sono degenerate e siamo arrivati ad un fastidioso contropotere che si oppone a quello della politica inalberando il diritto-dovere di moralizzare la vita pubblica con qualche non trascurabile confusione fra diritto penale e giudizio morale che ha portato un componente del Csm, Morosini, a dichiarare che Renzi deve “essere fermato”. Per dovere di cronaca va detto che il giudice ha smentito e che parte della magistratura lo ha aspramente criticato, resta però il segnale, non confortante, di una opposizione di poteri, politico e giudiziario, che non rende solidissima la nostra democrazia.
Dunque Ingroia dicevamo è diventato avvocato penalista – ovvero è passato nei ranghi di coloro che per mestiere e dovere difendono chi incappi, a torto a ragione, nelle maglie della giustizia– e fedele al suo nuovo mandato si sta impegnando nella difesa di Maniaci invocando, giustamente, un garantismo altrettanto duro e puro di quel forcaiolismo che lo aveva contraddistinto nel precedente lavoro.
Intendiamoci, non si può che esserne felici, perché il garantismo è un valore, una giusta e necessaria tutela del cittadino e soprattutto non significa lassismo morale ed etico, non significa che chi sia veramente inchiodato alle proprie responsabilità penali non debba essere giudicato e punito, significa solamente l’applicazione di quel principio fondamentale in ogni società, che voglia dirsi civile, per cui si è innocenti fino a quando l’accusa non provi, senza ombra di dubbio, la colpevolezza; significa aver diritto ad un giusto processo nel quale le due parti in campo dispongano delle stesse armi per difendere e accusare, significa che l’onere della prova spetta all’accusa e che la prova è una cosa seria incontrovertibile e inequivocabile.
Significa altresì che si dovrebbe tutelare la figura di chi viene sospettato di qualcosa fino a quando l’accusa non possa dimostrare il coinvolgimento effettivo dell’imputato nei fatti contestati.
Quindi non si può che applaudire al nuovo corso di Ingroia, al quale però vorremo fare una domanda: come la mettiamo con la sua vita precedente?
Si può certo, anzi si dovrebbe, migliorare con il passare del tempo, ma allora sarebbe simpatico sentire dal neo avvocato Ingroia una palinodia dell’ex magistrato.
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