Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Benito Mussolini ha avuto spesso l’intuizione di creare importanti e buone innovazioni nella società italiana del primo Novecento. Innegabile tale fatto ormai anche da parte dei detrattori. Il Duce spesso si è circondato di alcune persone di grandi capacità in molti e svariati ambiti, basti pensare che senza una Margerita Sarfatti a consigliarlo non avremmo avuto una così gran messe di straordinari artisti e pittori e – purtroppo invece - a volte ne ha trascurate altre (basti bensare a Julius Evola e a Guido de Giorgio, a Sergio Panunzio, ad Armando Brasini, tanto per dirne alcuni) per varie ragioni.
Proprio per questo sentire affermare con tanta sicumera che Benito sia stato “il più grande urbanista d'Italia” mi è parso discutibile, semplicemente perché stilare classifiche e graduatori nel campo è sempre abbastanza rischioso oltre ad essere privo di senso. Desidero perciò ricordare a chi, magari per distrazione o per entusiasmo elettorale lo avesse dimenticato, che i migliori progetti e realizzazioni nel settore della progettazione di una città sono di molto anteriori al Fascismo, diciamo di quattro o cinquecento anni. Pensate a “città ideali” come Pienza, a Urbino, alla città disegnata dal Filarete: Sforzinda. Ponete a mente i progetti leonardeschi per Milano e a moltissimi altri reali ed eccelsi architetti - e urbanisti - che hanno fatto la grandezza dell’Italia rinascimentale; pensate alle città di Ferrara e di Sabbioneta, siti dell’anima e della Bellezza. Tutti luoghi, progetti e soprattutto realizzazioni, basati sui principi del Bello e dell’Armonia. Benito Mussolini aveva ben compreso l’importanza dell’edificare una città secondo tali criteri, e quale altra sarebbe potuta essere migliore di Roma per tale scopo, ma prima di lui sono venuti geni del calibro di Luciano Laurana e Leon Battista Alberti e Domenico Fontana proprio a Roma, tanto per limitarsi a soli tre nomi di un elenco che sarebbe forse troppo lungo, perciò la definizione di “più grande urbanista d’Italia” avventurosamente lanciata da Alfio Marchini, parrebbe leggermente azzardata anche se comprensibile come captatio benevolentiae davanti ad una platea di sodali elettorali di destra. Ciò senza comunque nulla togliere a un uomo – Mussolini - che aveva intuito la necessità che ha il cittadino, in quanto essere umano, di vivere in un luogo costruito per lui e non il contrario.
Sfortunatamente geni indiscutibili come Sant’Elia per ciò che riguarda l’architettura futurista e Brasini per lo stile eclettico hanno avuto poco seguito, il primo per la sua scomparsa e il secondo per troppo e e diverse ragioni che hanno poi portato il Duce a preferire la linea di Piacentini.
Quel che è certo è che dopo, caduto il Fascismo e con lui l’ultimo “coerente” stile architettonico e urbanistico del nostro paese – per quanto poi vario e variegato esso fosse in realtà, perché non tutto e solo è di Piacentini – è avvenuta la catastrofe, il caos e l’anarchia che hanno generato, e generano ancora adesso, orribili mostruosità. Insomma, con la Repubblica, anche urbanisticamente, è stato tutto peggio.
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