Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Filippo Caleri (per il «Tempo»)
Se c’è chi ha una corsia privilegiata per il rinnovo del contratto di lavoro, qualcuno, circa 3 milioni di persone, attende un aumento salariale dal 2009. Sono gli statali italiani, vituperati e maltrattati, considerati nell’immaginario collettivo nullafacenti (e le inchieste della magistratura spesso lo certificano) ma comunque lavoratori con il pieno diritto ad avere almeno un tavolo di discussione con il datore di lavoro (Stato ed enti locali) per discutere di salario. Niente da fare. Da oltre sette anni per loro non c’è nulla. Ma gli impiegati pubblici non sono i soli a non parlare di «pecunia» per le loro prestazioni.
I contratti collettivi di lavoro complessivamente in attesa di rinnovo sono 46 e sono relativi a circa 7,8 milioni di dipendenti. Lo ha rilevato l’Istat lo scorso marzo. In particolare nel pubblico impiego ci sono 15 contratti scaduti per circa 3 milioni di lavoratori a causa del blocco della contrattazione. La quota dei dipendenti in attesa di rinnovo è del 60,5% nel totale dell’economia e del 49% nel settore privato. L’attesa per i lavoratori con il con-
tratto scaduto è in media di 38,1 mesi per l’insieme dell’economia, in diminuzio-ne rispetto allo stesso mese del 2015 (38,3), e di 16,7 mesi per quelli del settore privato.
Secondo la Cisl negli ultimi 10 anni la politica ha fatto di tutto per frenare il cambiamento nella Pa. Gli addetti sono scesi di 222mila unità, si sono congelati contratti e carriere, in molte amministrazioni si è messo a rischio il salario accessorio. Così, dal 2011, i mancati rinnovi hanno portato nelle casse dello stato 8,7 mi- liardi di euro di risparmi, ma la spesa pubblica è cresciuta di 27 miliardi. Insomma quella di far gravare l’austerity solo sui dipendenti pubblici è una strategia che, secondo il sindacato guidato dalla Furlan, è fallimentare. E la beffa rischia di continuare. Le risorse per avviare le trattative messe nella legge di Stabilità sono pari a circa 300 milioni di euro. Una cifra che consente all’Aran (l’Agenzia pubblica) di avviare le contrattazioni con i sindacati ed eseguire, in questo modo, quanto disposto dalla sentenza della Corte costituzionale che ha dichiarato illegittimo il blocco degli stipendi del pubblico impiego.
La sentenza 178/2015 emessa nello scorso giugno infatti, da una parte «salvava» i conti pubblici ren- dendo la pronuncia non retroattiva, dall’altra obbligava contestualmente il governo a riaprire la partita dei contratti.
Da allora gli statali hanno iniziato a sperare. Ma dividendo il gruzzolo per tutti quelli che dovrebbero avere un aumento la cifra che spetta a ognuno è di circa 8 euro lordi al mese, sei netti.
Non solo. Secondo le ultime indiscrezioni l’aumento della parte fissa dello stipendio non ci sarà per tutti gli impiegati pubblici. L’incremento spetterebbe solo ai redditi più bassi. Non è però ancora chiaro se già nella diret-tiva all’Aran sarà indicata una soglia al di sotto della quale concedere l’aumento, oppure se l’individuazione del tetto sarà lasciato alla contrattazione con i sindacati. L’obiettivo è evitare microaumenti e destinare le poche risorse ai chi gudagna meno. Intanto il personale della scuola, della sanità, delle forze armate e di polizia e degli altri enti pubblici statali e locali so- no i lavoratori che hanno pagato il conto della crisi perdendo 600 euro nella busta paga per ciascun anno, dai 34.900 euro lordi ai 34.350, considerando solo le retribuzioni dal 2011 al 2014. La realtà è variegata. Non ci hanno rimesso i magi-
strati, i cui stipendi, nel periodo di riferimento, sono aumentati da 131 mila euro a 142.
Sempre in diminuzione, invece, gli stipendi del personale docente e Ata della scuola passati dai 30.338 euro del 2011, ai 29.548 del 2012, ai 29.468 del 2013 fino ai 29.130 del 2014, con una diminuzione che sfiora il 4 per cento totale. Anche i
corpi di polizia, invece, hanno ne è stata dell’1,46 per cento.
Molto più ragguardevole è la perdita di stipendio dei dipendenti delle forze armate: nel 2011 guadagnavano mediamente 39.667 euro, nel 2014 sono scesi a 38.236 euro, ovvero 1.431 euro in meno, pari al -3,60 per cento. Circa quattro- cento euro in meno anche per i dipendenti della sanità, passati dai 38.918 ai 38.573 euro all’anno. Oltre ai magistrati, hanno guadagnato i dipendenti delle autorità indipendenti, passati dai 76.702 del 2011 agli 83.984 euro del 2014 e gli impiegati delle agenzie fiscali che hanno guadagnato circa mille euro. In sofferenza anche i corpi di polizia hanno perduto oltre 500 euro, passando dai 38.493 euro del 2011 ai 37.930 euro del 2014: la flessione è stata
dell’1,46 per cento
Alberto Di Majo (per il«Tempo»)
Benché il referendum sulle riforme sarà votato soltanto a ottobre, in Parlamento Pd e company stanno già lavorando alacremente a una normativa comune che prevede di uniformare compiti e stipendi dei dipendenti di Camera e Senato dopo che saranno approvate le modifiche alla Carta. In vista, soprattutto, dell’eventuale addio a Palazzo Madama (dove siederanno cento rappresentanti tra sindaci e consiglieri regionali), la maggioranza ha stabilito, infatti, di rivedere i contratti di commessi e funzionari, prevedendo, così dice l’articolo 40, il «ruolo unico».
In questi giorni il Comitato Affari del Personale vorrebbe approvare le nuove regole secondo cui saranno aumentate (e blindate) le indennità di funzione, cioè quelle voci retribtive che dovrebbero essere previste per i dipendenti che svolgono particolari incarichi e che invece vengono distribui- te a tutti (con soltanto qualche eccezione).Gli aumenti saranno rilevanti. Il segretario generale (il grado più alto dell’amministrazione) avrà 2.200 euro netti al mese in più, un capo servizio quasi 1.200 euro, un coordinatore di unità operativa di V livello 441 euro, un interprete-traduttore 378 euro.
Otterranno meno gli addetti alle segreterie del presidente, dei membri dell’ufficio di presidenza e del segretario generale: l’incremento dell’in- dennità di funzione sarà quasi 160 euro netti al mese.
E pensare che gli stipendi dei dipendenti di Camera e Senato sono rimasti piuttosto elevati per la media dei lavoratori italiani. Con venti anni di servizio un documentarista ottiene più di 150 mila euro all’anno, un collaboratore tec- nico oltre 100 mila.
Con dieci anni di anzianità i compensi vanno dai 50 ai 144 mila euro lordi all’anno. Se- condo il MoVimento 5 Stelle, che ha denunciato l’aumento, con la riforma il Parlamento pagherà 3 milioni di euro in più ogni anno proprio a causa delle indennità di funzione.
«Ma Renzi continua a dire - precisa il deputato Riccardo Fraccaro, membro anche dell’ufficio di presidenza di Montecitorio - che le riforme faranno risparmiare agli italia- ni molti soldi». Non è tutto. Il testo in discus-
sione prevede anche che ogni modifica al nuovo «contratto» dovrà essere decisa non più come è previsto oggi soltanto dalla Camera o dal Senato, ma da entrambi contemporaneamente. «Quindi - ragiona Fraccaro - se dovesse passare la riforma, anche con la vittoriael M5S alle elezioni che certamente ci sarà, non potremo tagliare gli stipendi dei dipendenti della Camera perché dovremo ottenere il consenso anche del Senato, dove siederanno consiglieri regionali magari indagati, con il vitalizio, che oggi sono a maggioranza Pd.
Così i privilegi verranno blindati e non saranno più toccati».
Resta pure un’altra questione: ma perché approvare ora questo provvedimento se è possibile che le riforme possano saltare con il referendum di ottobre? Non sarebbe più logico, come peraltro avrebbero notato anche dal governo, approvare le modifiche agli stipendi dei dipendenti di Camera e Senato dopo aver avuto il via libera alla consultazione popolare di autunno? Fraccaro non ha dubbi: «Temono la bocciatura delle riforme ad ottobre e dunque vogliono approvare subito il ruolo unico. Abbiamo inviato una richiesta formale al presidente Grasso e alla presidente Boldrini: non si rendano complici di Renzi, sarebbe gravissimo procedere con il nuovo statuto dei superburocrati e le relative retribuzioni d’oro prima ancora dello svolgimento del referendum.
Abbiamo il dovere di attendere l’esito della consultazione, gli italiani devono poter dire di no a queste "schiforme", riforme che taglieranno la democrazia e aumenteranno i costi della politica
Inserito da ghorio il 17/05/2016 12:46:11
Ai dipendenti del Parlamento la retribuzione dovrebbe essere ridotta di due terzi, altro che aumenti!
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