amministrative 2016

Roma città depressa intristita e sfiduciata, a chi toccherà guidarla?

Sempre più forte il sospetto che i candidati abbiano fatto la campagna elettorale per dovere di firma, ma che nessuno veramente voglia prendersi la responsabilità di mettere le mani nel caos capitolino

di Giuseppe del Ninno

Roma città depressa intristita e sfiduciata, a chi toccherà guidarla?

Nessun commentatore politico può esimersi dall’esternare le sue considerazioni, in vista delle imminenti elezioni amministrative, e qui intendiamo assolvere il nostro compito soffermandoci in particolare sulla tornata romana che, esclusa l’ipotesi di vittoria al primo turno di uno dei candidati, porterà al ballottaggio i due più votati.

Il periodo che stanno vivendo i cittadini della Capitale è forse il più depresso e deprimente dal dopoguerra in poi; del resto, con l’eccezione degli anni immediatamente precedenti e immediatamente successivi alle Olimpiadi del 1960, la Città Eterna non ha vissuto spesso momenti felici: basti pensare alla lunga epoca del brigatismo e, tanto per limitarci all’angolazione istituzionale che qui ci interessa, alle sindacature, tra il grigio e il nero, di Signorello e Carraro, fino ai disastri di Alemanno e Marino, a riprova che il nodo del problema non era e non è di schieramenti.

E allora? Chi si ostina a ricacciare nei confini della “buona amministrazione” la questione dei sindaci – e di quello di Roma in primo luogo – mostra di non avere compreso la natura dei problemi sul tappeto. Certo, il Sindaco – tutti i Sindaci, tutti gli amministratori, tutti i politici, tutti i cittadini investiti di responsabilità - dev’essere onesto: c’è qualcuno pronto a confutare questa categoria pre-politica? Certo, dev’essere capace, e meglio se tale capacità sia riuscito a dimostrarla ricoprendo importanti incarichi pubblici; ma tutto questo basta? E siamo sicuri che i cittadini romani si accontenterebbero di un “manager” in grado di far funzionare il trasporto pubblico e la raccolta dei rifiuti, di ridurre insieme l’enorme debito del Comune e la schiacciante pressione fiscale, di garantire – per quanto di competenza – sicurezza e ripresa economica sul territorio?

Sarebbe già molto, anzi moltissimo, direte; ma qualcuno potrebbe dire che non basterebbe. Roma è la Capitale sfiduciata di un Paese che non sembra aver più fiducia nelle sue guide politiche, economiche, culturali e che per di più queste guide avverte come delegittimate, soverchiate da poteri sovranazionali e avvilite da modesti profili personali. Far funzionare e riempire le buche può essere un buon inizio, a patto che simili iniziative rientrino in una visione d’insieme e di prospettiva in grado di dare una scossa a tutto il corpo sociale, dalle periferie abbandonate ai quartieri centrali sfregiati da bancarelle e scritte murali e ingorgati, malgrado la Zona a Traffico Limitato, da torpedoni turistici e da fiumane di veicoli privati. A proposito di poteri effettivi, poi, mentre resta confinata nel divenire una riforma organica di quelli spettanti ad una Capitale – sul modello del Washington D.C., per intenderci – siamo curiosi di vedere come riuscirà a debellare, il futuro Sindaco, quelli saldamente nelle mani di sindacati e corporazioni forti burocrati locali, che fino ad oggi hanno concorso pesantemente al degrado della città, e come riuscirà a riportare in auge un senso civico che pare irreversibilmente svanito.

Roma non sembra avere più l’orgoglio dell’identità, un sentimento del resto residuale anche in altre parti della nostra Italia, forse perfino nei confronti della Nazionale di calcio, che rispecchia questo periodo “di bassa”, di mediocrità irredimibile. Oggi l’orgoglio della cittadinanza viene condannato dal discorso pubblico come fattore d’intolleranza verso l’Altro, di paura irrazionale del Nuovo, di premessa di conflitti sociali, economici e politici, per tacere dell’ambito religioso, dove prevale un embrassons-nous universale che viene percepito spesso come resa alle ragioni dell’Altro e abbandono delle motivazioni più alte del sacro, alimentando, nel migliore dei casi, indifferenza e abulia.

Tornando al Sindaco di Roma, possiamo già dire che verrà eletto da una minoranza dei cittadini aventi diritto: tutti sanno infatti che la percentuale delle astensioni sarà elevata, e qualcuno spaccerà il fenomeno, ancora una volta, come segno di maturità democratica… In realtà, la scarsa affluenza alle urne può significare gradimento della situazione presente e fiducia che tutti i contendenti, chiunque esca vincitore dalle urne, sapranno assicurare un futuro prospero e dignitoso alla cittadinanza; ma può anche significare il contrario, come la perdita di ogni speranza di cambiamento positivo e il disconoscimento di qualsiasi credibilità nei candidati. E il caso di Roma ricade, con tutta evidenza, in questa seconda ipotesi.

D’altro canto, le stesse vicende che hanno portato alla selezione degli attuali candidati dimostrano che nel ceto politico si annida una tale sfiducia in se stesso e nelle possibilità di riequilibrare la situazione della Capitale, che nessuno degli schieramenti sembra aver voluto davvero vincere: non il Movimento 5 Stelle, che ha scelto una figura di secondo piano, non il Partito Democratico, dilaniato al suo interno e scosso dall’affaire “mafia Capitale”, e non parliamo del centrodestra, deciso a suicidarsi, pur di difendere/conquistare una supremazia “interna” (leggi: una successione a Berlusconi), rinunciando a una vittoria che i numeri e i ragionamenti politici darebbero per probabile, e soprattutto infischiandosene degli interessi e delle aspettative dei cittadini.

Piazze vuote, urne vuote, dunque: questo il probabile scenario del 5 giugno prossimo venturo, nella Roma dei Cesari e dei Papi, dove non è stata scelta né la via milanese del “city manager”, che dovrebbe calamitare i consensi dei “moderati” (al riguardo mi sono già espresso in un precedente articolo), né la via non solo di grandi Capitali straniere (la Parigi di Chirac, la New York di Rudolph Giuliani, la Londra di Boris Johnson), ma della stessa Roma di Veltroni, uno che almeno una visione del mondo e dell’Urbe la proponeva.

Davanti a noi elettori, allora, solamente soluzioni di minima: per chi proprio non ce la facesse a disertare le urne, la scelta sarà per il “meno peggio”; una scelta che suona campana a morto per la partecipazione democratica, messa ulteriormente in pericolo dalle riforme istituzionali varate da questo governo. Ma questo è un altro capitolo, che avremo modo di sviluppare prossimamente.

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    1 commenti per questo articolo

  • Inserito da Barbarigo.67 il 03/06/2016 12:16:23

    Se l'impresa più eroica - alla Ciro Scianna, per intenderci - che i cittadini riescano a compiere è quella di astenersi dal voto, è normale che la cancrena continuerà ad avanzare.

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