Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
È per la cosiddetta Westkultur, i Germani in senso lato, che Oswald Spengler definisce con insuperato ingegno plastico la dualità interna di Sassoni e Prussiani quale agente creativo di stati nell’Europa del tempo che si era succeduto alla caduta dell’Impero Romano conseguente alle invasioni barbariche. A qualità precipua del loro carattere, avrebbero avuto, questi Germani, l’impeto di Faust, la cui sostanza è lo Streben, un impeto, un’ambizione, una dedizione alla conquista, ad un arrivo illimitato.
Non è il caso di inoltrarsi nella precisazione di queste premesse le quali già Julius Evola ha a più riprese, in margine alla versione italiana del “Tramonto dell’Occidente”, valutato nella loro direzione ultima, non senza, infine, aver espresso su di esse delle cospicue riserve. Evola ne rilevava una certa distanza dall’ideale classico ed olimpico quale fu espresso, da un Augusto imperatore. A questa figura paradigmatica della storia romana fu, anche per le esplicite qualità del carattere individuale, estraneo l’impeto faustiano, lo Streben posto dallo Spengler a moto primo di quell’animo germanico che egli è andato a indagare. Ben più visibile, in Augusto, fu il distacco sovrano dalle cose, l’atteggiamento olimpico, la tensione consapevole ad un ideale quale ritroviamo espresso, in forme senza dubbio calcate ma sincere, nel famoso passo virgiliano del parcere subiectis et debellare superbos.
Nelle premesse, a volte nelle deduzioni ultime ch’egli trae, mi pare si possa ascrivere allo Spengler una certa nebulosità: una critica, questa che vuol essere in ogni caso rispettosa dell’eccezionale lavoro svolto da questo eminente scrittore, munito di impareggiabile erudizione: oltre ad esser versato nelle dottrine religiose, nelle architetture del pensiero di tutte le civiltà, Spengler era dottissimo nelle arti e nelle matematiche, un vero ingegno universale. Ed è nello svolgersi degli argomenti che si deve riconoscere al professore tedesco una serrata discussione, una fierezza d’ingegno, uno stile letterario, e delle intuizioni che ne giustificano ampiamente la fama planetaria ch’egli ha raggiunto.
Nelle brevi linee che qui seguono si vuole far rilevare come l’affresco storico dottrinale dello Spengler riguardo alla dualità Sassoni e Prussiani, oltre ad essere estremamente suggestivo per la sua bellezza, che permette al lettore dell’opera ch’egli ha dedicato al tema, Preuβentum und Sozialismus, di abbracciare in un vasto sguardo unitario il saeculum germanicum, si presta inoltre ad una comparazione con la dualità sovrana di Mitra e Varuna non priva pur essa d’una certa quale forza suggestiva. Tale comparazione si distacca in ogni caso dalle dotte disquisizioni che hanno luogo sull’opera del professore tedesco, la si svolge unicamente in virtù d’una semplice suggestione estetica.
Preuβentum und Sozialismus, era, ciò va rammentato, una sorta di approfondimento ulteriore di alcuni argomenti discussi nel famoso “Tramonto dell’Occidente”.
Lo Spengler associa i Sassoni ai Vichinghi, due stirpi antico germaniche che si sono trovate ad essere prossime di luogo nel settentrione tedesco orlato dal mare del Nord, e di poi, con gli Angli uniti in una conquista dell’isola oltre la Manica, hanno dato origine alla civilizzazione inglese. Questa costituisce l’espressione compiuta del loro agire storico.
A queste stirpi, Sassoni, Vichinghi e Angli, che vengono inglobati nel termine forse più riassuntivo di Sassoni ascrive lo Spengler un culto dell’individualismo estremo, nel comportamento in guerra l’arbitrio assoluto, uno scarso senso del legame statale sostituito dalla fierezza di appartenere alla gentry, la nobiltà, piuttosto indipendente e critica verso ogni potere centrale.
Ad essi è propria la navigazione, con il suo corollario, dati i tempi della rapina, sublimata poi in una sorta di imperio.
Dall’orgoglio di stirpe Spengler fa discendere in politica l’atteggiamento dei Tories, i conservatori inglesi.
Dalla rapina ardita e propiziata dalla sorpresa Spengler fa derivare, nella successiva politica inglese, il senso del valore etico che ha il denaro, nonché la norma del commercio astuto: in breve alcune delle qualità che a suo giudizio si ritroverebbero nello schieramento dei Whig, gli avversari – ma con juicio direbbe il bravo governatore spagnolo del Manzoni – dei Tories entro la società britannica.
La storia ha dimostrato come i due schieramenti si contrastino duramente all’interno del loro perimetro di dominio ma abbiano in sostanza molto in comune riguardo alla dottrina dell’agire all’esterno.
Lo Spengler, da buon professore formatosi nel tempo guglielmino, ascrive ai Prussiani l’aver dato forma a ciò che nel continente europeo era l’ eredità germanica. Proprio dei Prussiani è stato il fondare degli ordini cavallereschi, imitazione in ogni caso di ciò che si era visto in epoca medievale, e l’aver elevato a dovere il senso della collettività.
Può essere che lo Spengler si faccia trasportare su delle onde ideali, e chiaro è che la sua ammirazione per il prussianesimo è sincera: ad esso ascrive la norma del saper domandare e del saper obbedire, imperativi intesi il primo come formulazione nitida dei compiti da eseguire, i quali si suppongono o razionali o razionali in un senso più alto, il secondo come obbedienza onesta, se necessario portata all’estremo, come nel caso dei soldati cui si addita l’esempio di Leonida e dei suoi trecento Spartani. La monarchia prussiana ha trovato nei suoi estimatori più volte chi la elevasse in parallelo alla divina Sparta. E ciò con ragioni che, almeno fino al tempo di Federico il Grande non erano prive di fondamento.
Lo Spengler sostiene, e si deve dire in modo ardito, l’argomento che sarebbe la monarchia prussiana che con Federico Guglielmo inaugura o persino diviene “socialismo”: questo da intendersi in un senso che va molto entro delle ragioni ideali e molto meno si addentra nelle regioni politiche. L’asserto del professore tedesco è fondato con evidenza se si rammenta la disciplina di caserma ed il senso di devoluzione alla collettività del soldato e dell’ufficiale prussiani: non di rado si è sollevato il confronto anche con Sparta e la Roma prisca, invocando la scabra condotta, l’assenza di vanità individuale – un carattere ateniese si potrebbe dire - che diviene connaturata a tutti gli strati della collettività prussiana come ciò era stato per Sparta e Roma essendosi irradiata dalla casta militare. Doti che contribuiscono a formare una certa forma mentis che possiamo vedere – ma per il vero un po’ alla lontana – come costitutive del socialismo.
Qui vi può essere chi lamenti la categoria d’una preminenza squilibrata del fattore militare, il quale a lungo andare nuoce a tutta la compagine sociale. La critica è accettabile in senso dinamico, ovvero se questo fattore militare diviene fine a se stesso e non cede al moto di evoluzione sociale che non può che essere ritmico. Non lo è se pretende di giudicare con il senno di poi questioni che la contingenza di un tempo vedeva risolte, in modo erroneo o meno, dalle armi: bisognerebbe essersi trovati sul luogo e nel tempo: la facoltà di previsione razionale del futuro non è data con univocità, i fattori imponderabili difficilmente si lasciano dominare.
Dove le pagine spengleriane si fanno oltremodo interessanti è quando si affronta il senso religioso dei due termini della dualità: per i Sassoni con Vichinghi e Angli, non ha troppo luogo la riflessione mistica, vi è la fede sicura nel proprio destino e in un Dio che se è cristiano pure è più il Padre imperscrutabile, che si manifesta in modi resi evidenti dalla vittoria, che non il Figlio sofferente e Redentore. Portata alle durezze estreme discende di qui l’assenza di scrupoli nella guerra e nella rapina di questi Germani: al Dio imperscrutabile si affida la legittimazione di questo comportamento.
Non poteva che fiorire presso i Prussiani il senso pietista e mistico della religione cristiana. Lo Spengler evoca nelle sue pagine la ricchezza interiore di anime quali furono quelle di sovrani e nobili e condottieri della Marca, né disgiunge dalle sue considerazioni pure la fertilità di tale forma religiosa, che ha potuto informare di sé pure i caratteri femminili: e donne vi furono in Prussia la cui ricchezza interiore ed il cui coraggio sono rimasti memorabili. Qual sia la caratteristica che li differenzia dunque dai Sassoni si può così riassumere: interiorità coltivata alla luce del senso del dovere e di dedizione alla collettività. Non per nulla fu il prussiano Kant ad isolare, ma senza snaturare in empirismo relativo, il senso d’ogni morale con l’imperativo categorico, cui corrispondeva in ideale confronto il lume delle stelle nella volta notturna.
Dunque un cristianesimo inclinato alla mistica, all’interiorità, estraneo pure al fulgore in ogni caso estremamente suggestivo della cerimonia cattolica e del quale si riconosce la bellezza: se Federico il Grande era indifferente alle cose religiose, in virtù della sua mistica del dovere, egli permise e incoraggiò le colonie cattoliche con le loro scuole in quel di Berlino. Ed è plausibile non essere estraneo a tale atteggiamento, in apparenza pragmatico, un senso dell’”estetica religiosa”, alla quale alcuni decenni di poi se non profondità di dottrina, di certo un esempio di magistero d’arte dava lo Chateaubriand con il suo “Génie du Christianisme”.
Più labile è nei Prussiani il senso della gentry, in quanto dato naturalistico. Consistente è piuttosto il senso dell’appartenenza ad un rango: dell’ufficialità, dei funzionari, dei dotti. E che si riverbera persino negli strati subalterni: l’artigiano, l’agricoltore sono fieri del rango da loro occupato nell’economia della collettività. Un fatto questo di cui porta traccia l’uso che in Prussia, ma pure negli altri paesi tedeschi, è invalso e consiste nel premettere l’appellativo garbato di Herr, signore, nel medioevo della Manessische Handschrift distintivo dei nobili, al nominativo e vocativo di un’arte: Herr Schumacher, il signor calzolaio, o Herr Wagner, il signor carraro. Il senso dell’appartenenza al rango si rafforza, come è intuibile, proprio in virtù del senso del dovere inteso come “imperativo categorico”, o, e ciò è più plausibile, l’aver avuto il grande Kant dinanzi al suo sguardo ben acuto, l’agire dei Prussiani di ogni ceto, l’aver notato il senso diffuso dell’appartenenza ad un rango con la conseguente assunzione innata dei relativi doveri, tutto questo deve aver mosso la sua eccezionale capacità speculativa trasfusasi poi nella famosa precisa formula dell’imperativo categorico.
Alla sete di conquista, alla inesausta esplorazione di continenti e mari che hanno formato il carattere Vichingo e di poi Inglese, nel senso di Anglosassone, lo Spengler contrappone quale parallelo quid specificum prussiano la fondazione di città, questa avvenuta con le campagne militari dell’Ordine Teutonico nelle regioni baltiche, abitate da genti baltoslave, e la conseguente centuriazione delle campagne in un senso che forse può rammentare l’uso antico romano. Alla navigazione per mari anglosassone corrispondeva quindi la navigazione continentale prussiana, agita da treni militari di carri cavalli e truppe.
Quanto esposto è un breve riassunto di quelli che potevano parere alcuni dei punti più salienti della abbozzata dualità germanica quale trovasi ricostruita e descritta con gran stile nell’opera Preuβentum und Sozialismus.
Quale può essere ora il ricondurre questa dualità ai due prototipi divini della sovranità incarnati nella coppia Mitra e Varuna?
Si procede qui in via semplice e, per così dire, sperimentale. Mi pare chiaro che tutto l’agire del termine Sassone, si assimili piuttosto all’oscuro e indomabile Varuna. L’individualismo estremo, il senso della gentry svincolato da immediati criteri morali, quasi quello d’un’elezione attuata dal Fato, la concezione d’un Dio che pure cristiano non è tanto quello della Redenzione quanto quello dell’Imperscrutabilità, rammentano l’oscurità inquietante di Varuna, il dio sovrano e mago, occulto conoscitore e reggitore ad arbitrio assoluto. il Nume che come riporta con la consueta precisione il professor Dumézil è certo l’eletto ma soprattutto è l’elettore dall’”ari”, della ristretta cerchia dei pochi, della nobiltà più spregiudicata.
Per contro ai Prussiani si può assimilare in seno alla dualità sovrana Mitra, il dio più benevolo, ma soprattutto il custode della norma codificata, della regola precisa. Per ricorrere alle formule duméziliane, egli è il sovrano giurista, il custode dunque del diritto, il fondatore di esso. Il nume oltretutto più comprensibile alla massa dei devoti, lo “jana”. E proprio il carattere di prossimità allo “jana” concorda in modo quasi sorprendente, e ciò accresce pure le suggestioni estetiche della costruzione spengleriana, con la derivazione che il professore tedesco fa del Sozialismus dalle specificità del Preuβentum.
D’altra parte la norma codificata e minuziosa fino all’inverosimile, e l’osservanza di essa – a volte con atteggiamento ottuso – , proverbiali nei Prussiani, sembrano porre il risalto una tendenza che avvicina più al nume Mitra che all’imprendibile Varuna.
Se è alquanto difficile immaginare il dio Varuna costretto entro le mura d’una caserma, - universal caserma fu a suo tempo definita con stile piuttosto calcato la Prussia -, sottoposto a regole che devono essere scrupolosamente seguite, ciò è invece possibile per Mitra. Per rinforzare quella che può parere una facile fantasia vale di rammentare che Mitra si giova del seguito d’una coppia di numi assai indicativi: Aryaman, e Bhaga. Il primo quale custode delle strade – e non della navigazione! – e procuratore di matrimoni, - questi ultimi necessari più che mai in una nazione militare -, il secondo, nume della suddivisione, della distribuzione delle ricchezze, - sottoposte quindi ad una sia pur labile parvenza di regola e non di arbitrio! -. Ora questi due numi di contorno a Mitra si accordano perfettamente con il carattere d’uno spengleriano e prussiano Sozialismus, e, il che va da sé, di vita ordinata e regolare. Appunto da universal caserma si potrebbe aggiungere con una vaga ironia.
Alcune considerazioni ulteriori si impongono. Sassoni e Prussiani si assimilano in prima istanza ognuno al termine prevalente nella loro costituzione specifica. A Varuna i primi, a Mitra i secondi. La sovranità è tuttavia inscindibile, si può dire indivisibile ricorrendo al gergo matematico, e i due termini appaiono certo in antagonismo e però sono complementari.
La gentry e pure la rapina od il commercio astuto in tutta evidenza non possono reggersi senza delle regole, ovvero senza un diritto, allo stesso modo il diritto che regge una collettività non può ridursi alla minuziosa enunciazione di tutti i paragrafi della casuistica. I Sassoni necessitano pur essi di Mitra, e i Prussiani di Varuna.
Dove rintracciare il carattere del nume sovrano rimasto in ombra in entrambi i termini della spengleriana dualità?
Di nuovo si procede per tentativo. Quando prevale a quid specificum che fonda il collettivo ciò che ha dell’occulto, dell’imperscrutabile legatore e slegato Varuna è in altri campi che deve ritirarsi Mitra: si può ipotizzare che esso si manifesti nelle buone regole – rigorosamente non scritte ed altrettanto rigorosamente qualificanti – della società prima Sassone, Vichinga e Anglia, poi Inglese. Può ascriversi a questo apparire inusitato di Mitra pure il culto di un certo stile nella condotta, persino nell’abito, che va ad unirsi ad un garbo di modi assimilato dal mondo latino, e incontrato dagli Inglesi in Francia. Può ascriversi a Mitra la regola del buon gioco inglese, necessario come un portamento di condotta da associare sempre ad un abito appropriato, per accedere ai Clubs esclusivi: la caccia, il bridge, gli hobbyes, tutti aspetti della vita interna britannica rigorosamente codificati. Si potrebbe far dell’ironia: poco scrupolo nelle regole del commercio esterno e meno ancora nella guerra – comportamento spesso imputato agli Inglesi da Francesi e da Tedeschi soprattutto per la condotta della guerra – ma rigore per le norme dei giochi e degli abiti e delle maniere…
Se Mitra prevale come quid specificum che fonda l’endiade spengleriana di Preuβentum und Sozialismus, dove rintracciare entro il Prussianesimo il volto di Varuna? Plausibile l’ipotesi che il nume si sia attuato nell’atteggiamento mistico, nel pietismo che lo Spengler rinviene come fonte della ricchezza interiore delle grandi figure della storia prussiana. Nei recessi più oscuri, più in ombra d’un animo temprato e forte e capace tanto di dar ordini quanto di obbedire, appare al fondo il notturno Varuna, il legatore, l’imprendibile. La ragione ultima oltre ogni soglia di comprensione ed attuabile solo nella mistica. Un Varuna dunque tacito, invisibile, occulto, patrimonio dell’individuo e meno della collettività, - cui sovrintende bene Mitra -,e non facilmente elevabile a nume ordinatore della stessa come avvenuto presso l’altro termine della dualità: i Sassoni.
Quanto detto può suscitare certo sorpresa se non pure ironia per la troppa facilità delle deduzioni e delle assimilazioni che si conducono lungo questo breve scritto, tuttavia certe concordanze si affacciano e le suggestioni estetiche, soggettive in ogni caso e ciò lo si ammette senza dubbio, permangono.
Poscritto
L’opera Preuβentum und Sozialismus in Italia è tradotta e pubblicata presso le Edizioni di Ar.
Violetta Valéry ritorna nel suo tempo: una Traviata ottocentesca per il Maggio Musicale
Firenze: una Butterfly d'eccezione per il centenario pucciniano
Madama Butterfly tra Oriente e Occidente: Daniele Gatti legge il capolavoro di Puccini
Una favola che seduce e incanta: Cenerentola di Rossini trionfa al Maggio
Un lampo, un sogno, un gioco: Gioacchino Rossini, Manu Lalli e l'incanto di Cenerentola