Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Per una volta, non serve essere guru per dire chi ha vinto e chi ha perso a questa tornata elettorale: il segnale è chiarissimo, il PD sta arretrando alla grande e non solo nei grandi centri, dove ha tenuto Milano e Bologna perdendo però Roma e soprattutto, più inaspettata, Torino; ma ha subito anche una serie di sconfitte in vari centri minori ma comunque significativi, in particolar modo in quella Toscana purtroppo feudo rosso da tempo immemorabile: Grosseto dopo 10 anni passa al centro destra, capitola Cascina, storica roccaforte rossa, in favore di una giovane candidata leghista, Susanna Ceccardi. Sconfitta delle sinistre anche a Montevarchi e Sansepolcro. Un dato certo “minore” rispetto ad altri ma comunque significativo, tanto che il governatore della Toscana Enrico Rossi dichiara: “risultato negativo, serve riflessione seria.”.
Una “riflessione seria” per la verità servirebbe soprattutto a chi si riconosce in quell’area politica che si definisce di “destra” e dovrebbe caratterizzarsi, prima di tutto, per determinati principi e valori “non negoziabili”, come il senso della comunità e della tradizione, l’identità locale e nazionale, la famiglia come punto di riferimento indispensabile per la società: dovrebbe essere inutile elencarli. E allora, sembra logico chiedersi: ha veramente un senso esultare per la vittoria di un movimento come i 5 stelle, che poco o nulla hanno a che spartire con simili principi? Certo, rimane la soddisfazione, indubitabile, della sconfitta del PD e soprattutto di Renzi, ma se la destra è ridotta soltanto a questo vuol dire che siamo per davvero non alla frutta, ma all’ammazzacaffè. Si dovrebbe ormai aver compreso che anche in elezioni “locali” (soprattutto poi in centri di una certa importanza) non è sufficiente “amministrare bene:” dato poi ma tutt’altro che concesso che i cinque stelle siano capaci di farlo, perché sino a questo momento, nei comuni in cui già governano, non è che abbiano dato segno di grande capacità e competenza. Forse di onestà? Si spera ma è troppo presto per dirlo. L’atteggiamento di persone di destra che esultano per questo ricorda quello dei romani del tramonto della Pars Occidentis dell’impero, i quali esultavano per l’affermarsi di una tribù “barbara” sull’altra nell’illusione che questo avrebbe portato loro un vantaggio.
Se c’è poi una cosa che gli avvenimenti di Milano dimostrano, è che il partito di Grillo non ha nessuna intenzione di “ricambiare il favore” di eventuali appoggi in altre città. Ed è bene e giusto che sia così. Perseguono i loro scopi con la loro strada, senza quei tatticismi che troppo spesso, soprattutto negli ultimi tempi,hanno contraddistinto l’azione di un centro destra di cui più che mai vengono alla luce lacerazioni e incongruenze; e queste non si possono “scaricare” solo su personaggi quali Alfano e Verdini, i quali hanno sicuramente le loro enormi responsabilità, ma che non sono in fondo che il simbolo di quello che il centrodestra è stato quasi sempre (“quasi” per eufemismo”) nei suoi anni di governo, locale e nazionale: gestione del potere fine a se stesso, e neppure di buona qualità. Ovvio che, se l’asse del potere si sposta, si spostino anche personaggi il cui senso di etica e di politica nel senso nobile del termine è equivalente a quello della proverbiale cozza stitica. Significativa a proposito la notizia di Bondi e Repetti che, nuovamente folgorati sulla via di Damasco dal primo vero autentico fiasco renziano, hanno lasciato il raggruppamento di Verdini per confluire nel gruppo misto. Va dove ti porta il vento … e come è noto, certi elementi “galleggiano” sempre e comunque.[1]
Milano e Roma, sia pure in modo diverso, dovrebbero essere due esempi talmente “da manuale” da far venire il legittimo sospetto di sconfitte annunciate e cercate. A Roma la divisione e la mancanza assoluta di candidati veramente di spessore : viene persino il dubbio che per Giorgia Meloni sia stato meglio non arrivare al ballottaggio, così se non altro può aureolarsi di un venti e rotti per cento sicuramente superiore al peso specifico suo e soprattutto ai meriti del suo partito. A Milano, Stefano Parisi è apparso prono e succube al più trito “politically correct” al punto di prendersela con il militante di Lealtà Azione, Stefano Pavesi, candidato della Lega Nord, che ha invece conseguito un brillantissimo risultato personale. Per Parisi evidentemente l’approvazione dei centri sociali era più importante di quella di un elettorato identitario, presente ed efficace sul territorio e veramente desideroso di un cambiamento. Benissimo, ha raccolto ciò che si meritava ma a giudicare dalla sue prime dichiarazioni ha capito ben poco, visto che considera la sua “ricetta politica” esportabile addirittura a livello nazionale. Complimenti, ha inventato la sconfitta d’ esportazione ….
Non è certo facile, in un contesto del genere, avere la formula “che mondi possa aprirti”. Ma sempre proseguendo con la metafora montaliana, si potrebbe almeno dire ciò che non siamo, ciò che non vogliamo. Si dovrebbe finirla una buona volta con tatticismi, inciuci, squallidi e laidi personaggi che tra l’altro non portano da nessuna parte. Il caso Toscana dimostra tra l’altro che dove c’è un lavoro serio sul territorio si possono raccogliere frutti anche nel deserto. Spetta in questo momento soprattutto alla Lega (non a caso, il movimento politico più odiato dal regime renziano e paracomunista in cui viviamo) diventare il punto di riferimento di un movimento forte e “identitario”, che non si limiti alle ruspe ma passi anche a dimostrare una cultura di governo. Questo nell’attesa che a Destra sorga veramente un movimento disponibile a rompere in modo inequivocabile con il recente passato e con personaggi che nella migliore delle ipotesi sono solo falliti patentati e si attesti su quei valori e quei principi che rendono una Destra degna di essere tale: comunità, identità, tradizione. Senza barriere e filo spinato, ma anche senza la minima disponibilità a cedere un solo metro del proprio patrimonio storico e culturale. Prima che sia troppo tardi.
[1] Fonte: http://www.liberoquotidiano.it/news/politica/11921257/sandro-bondi-manuela-repetti-fuga-ala-verdini-gruppo-misto-senato-.html
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