Taci Imbecille

Carlo Lottieri «il Giornale» 22 giugno 2016

L a politica si tinge di rosa. Questo avviene certamente oltre Atlantico, dove vi sono buone probabilità che Hillary Clinton venga eletta alla presidenza degli Stati Uniti, ma ormai anche in Italia, che da domenica si trova ad avere due sindaci donne sia a Roma sia a Torino, entrambe espressione, e forse non è un caso, di un movimento venuto dal basso: composto da candidati-cittadini fino a poco fa del tutto ignoti al pubblico. Da dove viene questo trend? La risposta più immediata può essere quella che riconduce tale rinnovamento al femminismo oppure, meglio ancora, alla crescita di ruolo e potere delle donne all’interno della società contemporanea. Lo sviluppo del lavoro intellettuale su quello manuale (che ha ridimensionato il peso delle differenze fisiche tra maschio e femmina), insieme all’imporsi della dignità di ogni individuo (quali che siano razza, genere, religione, ecc.) ha permesso alle donne di ascendere a posizioni di più alto livello. Questo è avvenuto in vari ambiti, ma nel caso della politica forse c’è anche qualcosa d’altro. Se tante donne sono così presenti nella vita politica questo si deve pure a fattori specifici: sia all’imporsi del «politicamente corretto» – che suggerisce che si privilegino le donne, quali che siano le loro qualità – sia alle politiche di «azione positiva», che realizzano una specie di discriminazione alla rovescia. Le quote rosa, insomma, enfatizzano un processo che già era reale nel momento in cui apparve chiaro a molti leader di partito quanto era efficace, sul piano dell’immagine, dare uno spazio crescente alla candidatura di donne. C’è poi un ultimo fattore, perché la femminilizzazione della politica è anche espressione di un cambiamento di peso e di ruolo di quanti vivono «di politica» e «per la politica»: per ricordare le celebri formule di Max Weber. In un’epoca di progressivo scollamento tra le istituzioni e i cittadini quale è la nostra, che non a caso vede trionfare i candidati del movimento inventato da Beppe Grillo, l’estendersi del potere statale non necessariamente si accompagna con una crescita di peso, reddito e prestigio della professione politica. In fondo, chi decide di consacrare molte giornate a un movimento politico compie – sul piano di un puro calcolo di opportunità – una scommessa assai rischiosa: deve mettere a disposizione tanto tempo senza alcuna garanzia di veder rientrare gli investimenti compiuti. Lo farà se il suo tempo costa e vale poco, e se non ha alternative particolarmente attraenti. La «femminilizzazione» della politica è quindi l’effetto di tanti fattori, ma tra questi non va sottovalutato il fatto che in un’epoca di meet-up e populismo rampante quanti sono in grado di ottenere alti redditi e posizioni di prestigio sono meno disposti a calarsi a capo fitto nel movimentismo e nella protesta. Un tempo vivere «di politica» poteva essere un progetto razionale, mentre ora è un azzardo, che è più interessante per quanti non hanno grandi opportunità. E poiché società odierna – permane ancora una differenza di redditi e status tra maschi e femmine, non è sorprendente che la protesta contro il regime veda emergere tanti signori Nessuno e che tra di loro vi siano pure parecchie donne. In una società che resta prevalentemente maschile e che vede il sistema dei partiti mutare in profondità, questa ascesa della politica al femminile è un segno dei tempi. Perché è certamente vero che Margaret Thatcher era una donna, ma se per imporsi nella politica britannica del tempo avesse dovuto seguire la strada compiuta da Virginia Raggi e Chiara Appendino, probabilmente si sarebbe occupata d’altro

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