Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
n questi anni si è usato spesso a sproposito l’aggettivo “storico”, per definire eventi registrati dalle cronache; ebbene, all’esito del referendum che ha sancito la volontà del popolo britannico di uscire dall’Unione Europea può essere abbinato questo aggettivo, senza timore di scivolare nella retorica. A partire dal 23 giugno 2016, infatti, assisteremo ad una serie di eventi innescati proprio da quel referendum e che, con ogni probabilità, muteranno profondamente non solo l’assetto istituzionale del Continente, ma le stesse abitudini di vita dei suoi abitanti.
Nei giorni scorsi è tornato in libreria, grazie all’editore Lucarini che lo ha inserito nella collana “I libri del Borghese”, un vecchio saggio di Alain de Benoist – Democrazia, il problema – che ne ha aggiornato la sua prefazione; questo testo dimostra una volta di più che le analisi dei più avveduti osservatori della politica posseggono una capacità di antivedere il futuro, che poi si traduce in capacità di restare valide nella sostanza, a dispetto del tempo che passa.
In quelle pagine, de Benoist coglieva i primi segnali di crisi della democrazia rappresentativa, a suo parere votata alla formazione di classi dirigenti riluttanti ad agevolare la paretiana circolazione delle élites e dunque destinata a provocare progressivamente il distacco di questi “delegati” senza obbligo di rendiconto, dalla sensibilità e dalla volontà del popolo delegante. Fra i rimedi possibili, venivano indicate forme di democrazia diretta che, in quella formulazione e guardandole oggi, possono essere assimilate ai movimenti referendari e al populismo montante.
Alla base di una simile visione c’è l’idea che i diritti dei popoli debbano prevalere su quelli dei singoli; c’è una visione organicistica, che inserisce il cittadino nelle varie comunità alle quali appartiene, sia per nascita, sia per scelta, per il tramite di corpi intermedi; una visione che si contrappone a quella liberale, secondo la quale i cittadini sono atomi inseriti in un sistema di regole decise da terzi, a dispetto delle enfatiche enunciazioni sulla “sovranità popolare”.
L’esito del “Brexit” ci fornisce una lezione importante proprio su questa linea. Il voto britannico rappresenta infatti la manifestazione della volontà di un popolo che ha tolto la fiducia alle sue classi dirigenti, sia politiche, sia economiche, sia mediatiche, ed è questa la chiave di lettura più gravida di futuro, al di là delle specificità britanniche. Tutti noi abbiamo assistito, da mesi, ad una campagna orchestrata su tutti i mass media, sui pericoli, sulle conseguenze letali di un’eventuale uscita dall’Unione, fino alla sera prima del voto, quando sulle nostre reti una schiera di opinionisti, incasellabili nelle più disparate collocazioni partitiche, pontificava sulla necessità e la bontà del “remain”, e gongolava alle prime proiezioni, favorevoli a quest’ultima opzione. Ovviamente, facevano eccezione gli esponenti della Lega, invitati, si aveva l’impressione, un po’ in funzione di foglia di fico, un po’ per offrirli in pasto al pubblico col mucchietto di cenere da spargersi sul capo, magari continuando le lamentazioni per il cattivo esito delle nostre recenti consultazioni amministrative.
Il risveglio, per questi cantori dell’Europa dei burocrati e dei banchieri, è stato amaro e imbarazzato: i quotidiani cartacei titolavano ancora all’insegna dell’incertezza, ma le trasmissioni televisive esibivano conduttori, corrispondenti ed “esperti” con l’aria delle prefiche, pronti a registrare i primi, prevedibilissimi, disastri delle borse mondiali, all’insegna del “ve l’avevamo detto”…
Il fatto è che la storia non ha il respiro corto e nevrotico dei mercati e che il compito dei politici dovrebbe essere quello di rispettare le decisioni popolari, predisponendo al meglio le risorse, gli strumenti, i tempi per tradurle in pratica. Da noi, troppo spesso la volontà popolare - manifestata attraverso i referendum che più di una volta hanno rimescolato le vecchie carte dei partiti - è stata disattesa, con la promulgazione di leggi atte a vanificare quegli esiti popolari; questo, in Gran Bretagna – e, chissà, in Europa - oggi non sarà possibile.
Ancora una volta, poi, il voto è stato trasversale, superando parole d’ordine e residuali gabbie ideologiche dei partiti in campo; semmai, ha dato luogo a nuovi schieramenti, almeno nelle prime analisi a sfondo sociologico: da un lato – per il “leave” - le ragioni delle classi meno abbienti, provinciali, meno acculturate e aperte, più anziane; dall’altro – per il “remain” – i ceti abbienti, colti, metropolitani, giovani. Un caso a parte, rientrante nelle specificità a cui accennavamo, è quello della Scozia, non rassegnata al vecchio referendum fallito sull’uscita dal Regno Unito e che dall’Unione Europea si aspettava e si aspetta un’utile sponda.
Qualche parola va spesa anche sulle delusioni e le aspettative della cosiddetta “generazione Erasmus”, che dalla “brexit” verrà in qualche modo penalizzata. Che i giovani coltivino ideali europei è da considerare positivamente; che la loro mente – e anche le loro prospettive di lavoro, ma non solo… - si aprano al di là dei confini nazionali, non può che far bene ai singoli e ai rispettivi paesi di provenienza, a patto però che da un lato si mantengano l’orgoglio e la consapevolezza delle proprie origini (a partire dalla lingua e dalla storia), dall’altro che ci si possa inserire nel più ampio contesto europeo, in grado di valorizzare le autentiche e profonde radici comuni, da contrapporre, senza ostilità, alle specificità degli altri popoli in movimento sulla scena mondiale.
Il cosiddetto populismo, di cui oggi si paventano o, a seconda dei casi, si celebrano i fasti, è esattamente questo risveglio dello spirito comunitario nazionale, questo orgoglio per una sovranità usurpata da oligarchie senza una piena legittimazione democratica, questa speranza per un’Europa dei popoli. Se le nostre guide politiche, in Italia e nel Continente, sapranno cogliere gli aspetti positivi e fecondi di questo risultato, se ne gioveranno non soltanto la rinnovata partecipazione alla vita pubblica di un numero crescente di cittadini (come appunto si è verificato oggi in Gran Bretagna), ma anche le prospettive di futuro. Perciò, viva la Gran Bretagna, viva l’Europa – quella “vera”! – e viva l’Italia, se saprà risvegliarsi.
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