Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Giugno 1990. Genova. Mondiali. “Legge secca” ovvero non si dà da bere alcolici a nessuno durante le giornate delle partite. Nel Tigullio hanno trasferito gli Scozzesi che fan casino e son simpatici, per cui gli i baristi onde guadagnare e aggirare la l’ordinanza locale “chiudono” l’esercizio con dentro gli Scoti che provvedono ad approvvigionare debitamente di qualsiasi tipo d’alcol o di bevanda fermentata esistente. L’importante è incassare e in fin dei conti questi simpatici ragazzoni con il gonnellino sono venuti sin lì dal remoto Nord.
A Genova no. A Genova non ti danno un cazzo da bere tranne acqua, cocacola, spuma.
Ma tutto questo per il nostro racconto è soltanto di contorno.
È estate e ho ventisette anni. Una vita davanti.
Un amico – oggi è un’altra cosa – accompagna a Genova un tour turistico di americani ( po’relli, a me stanno pure simpatici ) in visita alla città. In effetti a vedere Genova, soprattutto durante i Mondiali del ’90 con il loro orribile pupazzo, soltanto degli yankee ci potevano andare.
Andiamo a recuperare il mio amico, che chiameremo M, al luogo convenuto, saliamo sul bus, ci accolgono festanti. So’ ‘mericani.
Sbolognato il gruppone in albergo, fa molto caldo nel pomeriggio in una città semideserta, M vuole bere. M non beve alcolici ( io sì e tanto, allora come oggi ) quindi la “legge secca” non lo tange.
Entriamo in uno di quei bar tutti uguali, monotonamente standard di Viale Brigate Partigiane il cui esercente, incazzato nero per i mancati introiti, non vede l’ora di chiudere.
M ha sete, ma M non beve cocacola, spuma o tè freddo, sono cose da deviati, non da veri uomini, uomini duri che si fanno la barba a secco e la doccia con l’acqua fredda pure in inverno. Entrati nel piccolo locale M ordina una spremuta d’arance. Servito.
Ha ancora sete, Ne ordina un’altra, noi ci accontentiamo di un tè freddo, siamo decadenti, ma M ha ancora sete ordina una terza spremuta, poi una quarta, una quinta, una sesta e va avanti a oltranza – fa caldo – sinchè il barista soddisfatto gli dice:
«Con due clienti come lei ogni giorno, potrei chiudere in attivo a metà giornata!» forse esagera, ma il concetto è quello.
Dissetato, liberatosi del pecorume turistico, M vuole andare a cena. M non beve alcolici ed è rigorosamente vegetariano perché ha passato del tempo in India a studiarne la tradizione e fa meditazione trascendentale, paracadutismo, subacquea, parapendio e naturismo con scuole di sopravvivenza postnucleare che allora erano di moda. M è un vero uomo, mica un decadente occidentale come noi.
Intanto ci sommerge di raffiche di barzellette sconce alle quali ridi per non offenderlo nell’orgoglio machista. Un paio sono anche divertenti, ma dopo una trentina rompi pure i coglioni, detto sinceramente.
Si trova una pizzeria, deserta, c’è la partita. Anche il cuoco e i camerieri vorrebbero andarsene a casa ma ci sono alcuni idioti che vogliono mangiare. Gli idioti siamo noi.
Ordiniamo. Ognuno di noi ordina secondo i propri gusti. Nulla di particolare tranne M.
M è rigorosissimamente vegetariano oltre a non toccare alcol, ti guarda pure male se lo fai, ha un’aria di sufficienza mista a malcelata tolleranza che nasconde disprezzo per chi – come me – è un mangiatore di cadaveri, quindi è il suo turno ordinare:
Vorrebbe una pizza alla marinara ma senza le acciughe. Niente acciughe, sono cibo di origine animale vietato dalla tradizione vedica. M non è un Hindu ma lui non lo sa.
Il cameriere infine serve a tavola anche la sua pizza alla marinara senza le acciughe. Da bere acqua.
Non so , non ricordo il resto della serata. Non ricordo la partita, il suo esito.
Ricordo una persona triste, malata, affetta da una psicopatolgia che allora non compresi. Oggi sì. Ma oggi non me ne importa più nulla perché ho scoperto che dietro quella psicosi non c’è una persona malata.
Le malattie non giustificano l’egoismo e il menefreghismo.
Poi anche i Mondiali del ’90 con il loro orrendo pupazzetto tricolore passarono portandosi via per sempre i miei giorni.
Andati via come quelle arance.