Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Theresa May al n° 10 di Downing Street, seconda donna nella storia britannica a conquistare l’incarico di primo ministro. Prima di lei Margareth Thatcher, entrata (nel bene e nel male, secondo i punti di vista) nel mito della storia politica del Regno Unito. A dare uno sguardo alla situazione europea sembrerebbe una ulteriore pedina positiva per le donne nel gioco del potere. Angela Merkel guida la Germania; in Spagna hanno fatto notizia due donne insediatesi alla guida di importanti comuni grazie alla vittoria di Podemos poco meno di un anno fa; in Italia il movimento 5Stelle ha portato la Raggi in Campidoglio e la Appendino al comune di Torino (due prime volte); Renzi dal canto suo ha dato in mano al cosiddetto gentil sesso ministeri importanti (Riforme e Pubblica amministrazione) promuovendo Boschi e Madia anche dal punto di vista mediatico.
Dunque tutto bene, finalmente anche il vecchio continente più restio di tutti a considerare la qualità politica dell’individuo a prescindere dal sesso, si è adeguato a quanto succede nel resto del mondo, dove sembra che la questione di genere sia stata superata da tempo. Si pensi all’India, dove certo la condizione femminile è tutt’altro che invidiabile, che ha avuto già nel secolo scorso una leadership forte con Indira Gandhi e che ancora vede la nuora, Sonia, di origine italiana e perciò impossibilitata a conquistare il potere istituzionale, in una posizione politicamente significativa. Si pensi a Golda Meir alla guida di Israele; e poi nel nuovo millennio all’Argentina della Kirchner, al Bangladesh della Hasina, al Brasile della Roussef, al Cile della Bachelet, per non dire di altri casi meno noti in luoghi dove i diritti delle donne non sono certo al primo posto, come nella Repubblica Centro Africana, la Jamaica, la Liberia il Sud Korea dove il potere si declina al femminile con naturalezza.
A dire il vero l’Europa ha potuto contare sul potere femminile anche in Svizzera, in Polonia e in Norvegia, ma si stratta di paesi nei quali la storia politica ha seguito un andamento meno catastrofico (come d’altra parte appunto l’Inghilterra) del resto del vecchio continente, e soprattutto è stata meno soggetta alla differenza di genere.
Viceversa l’improvviso ingresso delle donne nelle stanze dei bottoni in paesi che, come l’Italia e la Spagna, avevano sempre considerato il potere faccenda da uomini, sembra sia legato al fallimento di 70 anni di politica post bellica. E allora si sarebbe tentati di dire: ecco finalmente ci si affida alle donne per risollevare le sorti disastrose di paesi devastati dalla mala-politica (soprattutto in Italia sappiamo bene di cosa stiamo parlando), dalla corruzione, dall’incapacità, dalla disonestà personale e istituzionale, dall’arroganza del potere ecc. ecc.
Si sarebbe tentati, se un pensiero affatto confortante non ci attraversasse la mente, anzi due. Prima di tutto la politica (come qualunque altra attività che non sia la maternità) non può essere valutata sul genere ma sulle capacità. Non ci piaceva la renziana rottamazione su base anagrafica e non ci piace puntare su una donna solo perché essa è tale.
Secondo. Questa faccenda di affidare il potere alle donne quando tutto va male e non solo male, ma è stato condotto dissennatamente alla rovina, ad un punto di criticità assai prossimo (ad esser ottimisti) a quello del non ritorno, sa tanto di un’ennesima fregatura che il mondo maschile rifila a quello femminile.
Ovvero per 70 anni gli uomini (maschi) hanno gestito la cosa pubblica fino a giungere all’attuale disaffezione (per usare un eufemismo, ma si dovrebbe dire ribrezzo) della società civile, ovvero dell’elettorato, nei confronti della politica portata ad essere considerata la sentina di tutti i mali che ci affliggono. Adesso che tutto va a rotoli e non si vede soluzione ecco che improvvisamente si punta sulle donne. I maschi fanno un passo indietro, ma non per giusta e necessaria coscienza autocritica, o perché effettivamente mostrino di credere nella migliore qualità delle colleghe femmine, ma piuttosto perché (questo è l’orrendo sospetto che assomiglia ad una certezza) sembra siano animati dall’intenzione di mandare le donne a sbattere contro il muro del fallimento.
Cosa potrà fare la Raggi a Roma? Qualcuno ha detto che se ad amministrare la Capitale fosse chiamato Dominedio, questi avrebbe bisogno di almeno 10 anni per rimediare a quanto è stato (s)fatto fino ad ora; la M5S non è sicuramente Dio e neppure la Madonna, quindi il risultato, a prescindere dalle capacità che non sappiamo se possegga o meno, è praticamente scontato: fallimento. E la Appendino a Torino, dove la crisi morde più di quanto i torinesi possano sopportare? Forse si potrebbe dire che in Spagna non se la cavano meglio e che, Manuela Carmena alla guida di Madrid e Ada Colau a Barcellona rischiano nello stesso modo. Appunto Spagna e Italia sono due paesi nei quali meno si è investito nelle capacità femminili.
Così alla fine la cronaca registrerà che le donne al potere sono un fallimento, e gli uomini se lo riprenderanno per fare altri danni!
Inserito da Cosma il 14/07/2016 09:06:19
"... fallimento di 70 anni di politica post bellica". Finalmente si inizia a capire che l'antifascismo è stato un fallimento?!! Altra domanda: se anche le donne saranno succubi degli interessi degli USA, dove sarà la differenza rispetto al potere degli uomini? Il femminismo, e le sue metastasi, sono solo un'arma di distrazione di massa per non far comprendere i problemi reali.
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