Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Le nostre eroiche ragazze vincitrici nei 100 m a Rio
Hanno conquistato 39 medaglie, piazzandosi al 9° posto nel medagliere internazionale, sono gli atleti che un fastidioso eufemismo linguistico definisce “diversamente abili” per non dire disabili, e ovviamente per bandire il termine handicappati. Ma quei 39 atleti premiati (forse meno perché qualcuno, come Zanardi, ha conquistato più di una medaglia) e tutti gli altri che hanno gareggiato senza vincere, non possono essere definiti diversamente abili, semmai se proprio vogliamo usare un termine che non inquieti chi ama la demagogia e l’apparenza linguistica allora chiamiamoli “abilissimi” o “super-abili”!
Già, perché un conto è correre con due gambe, altro è farlo con una sola! Per vincere un’olimpiade ma anche una semplice competizione, non si tratta di mettersi una protesi all’arto mancante e sgambettare un po’ meno elegantemente che con le gambe vere! La vittoria, diciamocelo chiaramente, è il meno se non la si considera il premio per un impegno che un normodotato non può neppure immaginare.
Mettere la protesi ad un arto mancante provoca dolori lancinanti, pensate a quanto vi fanno male le scarpe se sono un po’ strette e riflettete sul fatto che esse sono indossate dai piedi che fino dall’inizio della vita sono stati forzati e allenati a sorreggere il peso del corpo e la costrizione delle calzature. Una gamba (o un braccio o una mano) amputata no, ovunque sia l’amputazione inserire una protesi e appoggiarsi ad essa con tutto il peso del corpo richiede una forza di volontà e una capacità di ignorare il dolore che nessuno di noi può neppure lontanamente immaginare, esercitare su di essa lo sforzo di una corsa è il risultato di massacranti allenamenti e non credo sia possibile trovare le parole per descriverlo.
Gli atleti delle paralipiadi di Rio compiono ogni giorno un miracolo di coraggio e di forza di volontà, ma soprattutto hanno grinta e pietas (già, proprio loro), sono generosi. Alex Zanardi cui mancano entrambe le gambe, dopo la vittoria della medaglia d’oro nella hand-bike ha rivolto un pensiero affettuoso all’atleta “normodotato” Tamberi, campione di salto in alto, che si è rotto una gamba prima dell’inizio delle olimpiadi di Rio dovendo rinunciare a parteciparvi. Lui che le gambe le ha perse per sempre si è commosso per uno che una gamba se la era solo rotta! Per provare sentimenti del genere occorre essere persone eccezionali.
Vogliamo parlare delle medaglie nei 100 m? Due ragazze italiane hanno preso l’oro, Martina Caironi, e il bronzo, Monica Contraffatto. A parte il fatto che con una gamba di meno corrono più veloce della maggioranza di noi; prendete il caso della Contraffatto, 4 anni fa era un bersagliere di stanza in Afghanistan, rimase ferita dall’esplosione di un ordigno e le amputarono una gamba, oggi è esplosa la sua grinta e la sua forza di volontà, in quattro anni questa giovane donna ha raggiunto un risultato frutto di sacrifici e di un coraggio esemplare. Chapeau!
Viene da chiedersi perché gli italiani siano così bravi quando si tratta di soffrire veramente, quando è in gioco qualcosa di diverso dal praticare uno sport ricco, che porti guadagni stellari (anche nelle olimpiadi per normodotati gli italiani eccellono soprattutto negli sport “poveri”). Ma la domanda ha forse una risposta semplice sulla quale chi ci governa (in senso lato) dovrebbe riflettere.
Quegli atleti che gareggiano con handicap terribili, che soffrono il triplo degli altri, e che non hanno la possibilità di diventare ricchi di soldi con lo sport, sono la metafora dell’anima vera e migliore degli italiani. Essi rappresentano l’eroismo quotidiano di un popolo che manda avanti un paese a dispetto di chi lo governa (che si chiami Europa o presidenza del consiglio o parlamento ecc ecc), facendo sacrifici quotidiani, sopportando le continue ingiustizie e vessazioni di un sistema iniquo, accettando il dolore di non potersi curare perché l’apparato privilegia l’economia finanziaria alla dignità dell’individuo e taglia, taglia, taglia per raggiungere un pareggio di bilancio che ci chiede un sistema barbaro dove la sanità di una banca conta più della salute di un essere umano.
Gli atleti “super-abili” che hanno partecipato alle paralimpiadi dovrebbero far riflettere, non lo fanno per soldi ma per affermare la propria dignità, superano la menomazione e sono grandissimi perché non li muove il successo economico, che vogliono insegnarci come unico valore della modernità, non li spinge la cultura dell’apparire “bellissimi” di una bellezza patinata e vuota che quotidianamente miete vittime fra ragazzini cui si è insegnato che apparire è più importante che essere.
E allora impariamo da loro, torniamo ai nostri valori, che loro mostrano su un palcoscenico internazionale, ma che, nel profondo, ancora ci appartengono come rivela il fatto che questo paese incredibilmente continua ad andare avanti nonostante le menomazioni inflitteci!
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