Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
“Nonostante i suoi difetti, deve considerarsi come il punto culminante del progresso fatto dall’opera italiana nel primo quarto del secolo XIX”
Così Giuseppe Radiciotti, autore di una monumentale biografia di Rossini, si esprimeva su Semiramide, l’opera che nel 1823 concluse a Venezia il periodo “italiano” della carriera di Gioachino Rossini, ormai in procinto di trasferirsi in Francia. Ed è proprio questo titolo “monumentale” e non proprio consueto che l’Opera di Firenze ha scelto per inaugurare la stagione autunnale del 2017: felicissima almeno quanto al titolo, perché si tratta di uno di quei lavori di cui si avverte davvero la mancanza sulla scena. Si parte Martedì 27 dicembre alle 0re 20 teatro dell’Opera, repliche giovedì 29, domenica 2 (ore 15,30) e martedì 4 ottobre.
Scritta per le scene veneziani su libretto di Gaetano Rossi, che dieci anni prima aveva già ridotto per le scene un soggetto tratto da Voltaire, il Tancredi (forse il primo capolavoro del Rossini “serio”), l’argomento richiamava per certi aspetti la tragedia greca:” l’imperadrice di molte favelle” come la definì Dante che la assunse come paradigma della lussuria antica è senz’altro un personaggio molto più leggendario che storico, e non si può dire che abbia goduto di una buona stampa. Le nostre fonti su Semiramide risalgono all’antichità greca; se ne occupò Ctesia di Cnido ( 440? – dopo il 397 a.c.)le cui storie persiane sono purtroppo perdute ma furono utilizzate da Diodoro Siculo; la vicenda trovò successive elaborazioni in Agostino e Orosio, fino a fornire materia a tragediografi moderni come Muzio Manfredi (1593) e Berlingero Gessi; per arrivare a Voltaire che nel 1748 fa rappresentare alla Comédie Francaise e poi davanti alla corte, la suaTragédie de Sémiramis. Voltaire non insiste su uno dei temi fondamentali della tradizione di Semiramide, quello dell’incesto involontario, uno dei temi più “scottanti” della tragedia antica (Sofocle Edipo re) insieme a quello del matricidio vendicatore (Coefore/Elettra).
Per la verità, nel racconto di Diodoro c’è ben poco della “imperadrice di molte favelle” rotta a vizio di lussuria di dantesca memoria. Diodoro (o meglio Ctesia) la ricorda come una donna straordinaria, grande condottiero militare e formidabile sovrana: le mura ciclopiche e i giardini pensili di Babilonia, oltre che a ingegnose opere idrauliche sarebbero stati il retaggio di una regina che del resto di diceva figlia nientemeno che di una dea: Derketo, la Venere di Ascalona in Siria. E l’elenco dei suoi ammiratori è davvero lungo e impressionante: Plutarco, Curzio Rufo, Pomponio Mela; persino quel maligno di Properzio, tanto ingiusto e calunniatore su Cleopatra quanto galante e ammiratore della regina assira.
Ma …. Perché allora questa fama di donna lussuriosa per eccellenza, giunta fino al nostro Altissimo Poeta? Diodoro ci informa che Ctesia, se per certi aspetti ammirava la regina, non si era neppure sottratto al fascino del … gossip d’amtiquariato: riportava infatti la voce che più che figlia di dea sarebbe stata una … “professionista” di lusso, la cui fortuna era dovuta alla sua straordinaria bellezza. Non solo; ma una volta divenuta regina, avrebbe fatto costruire nella Media un posticino delizioso e discreto in cui si abbandonava ai più sfrenati piaceri erotici con i migliori guerrieri ( non tanto o almeno non solo in senso militare), salvo poi eliminare il “giocattolo” di una notte. Una descrizione che sa moltissimo di “cliché” già per quei tempi. Nella tradizione letterario romana poi, a parte Properzio, Semiramide viene sovente accoppiata a Cleopatra prima e poi anche a Zenobia di Palmira in un terzetto non proprio virtuoso, o meglio di … virtuose del talamo. Cicerone, Giovenale e persino Ammiano Marcellino non si risparmiano in “complimenti”; quest’ultimo le attribuisce la discutibilissima abitudine di far evirare i fanciulli. Il cristiano Paolo Orosio poi ( 375-420 circa), oltre a stilare un accurato catalogo di sconcezze e di delitti tale da far sembrare un cherubino persino Catilina, introduce il tema dell’incesto: la regina avrebbe addirittura resi legittimi i rapporti incestuosi. Da parze sua, il poeta e storico bizantino Agazia (VI secolo) riporta che il figlio Ninia la uccise proprio per i suoi desideri incestuosi.[1]
Non è difficile vedere dunque che la “mostrificazione” della regina è abbastanza tarda e rientra probabilmente nello stereotipo di certa polemica cristiana contro la civiltà pagana. Ma chi era veramente Semiramide?
Ovviamente è una domanda a cui è estremamente difficile dare una risposta. Per gli assiriologi dell’ottocento essa era solo una leggenda; ma studiosi del Novecento come Lehmann e Mayer hanno accertato che una Shammuramat era sposa del re assiro Samsiadads, che governò dall’811 all’808 a.c ; costui, morto in giovane età, lasciò il trono al figlio Adadnirari III ancora fanciullo. La madre assunse dunque la reggenza durata sei anni intraprendendo una serie di guerre; e stando ad alcuni documenti cuneiformi, pare che anche dopo la reggenza abbia influenzato con un cero prestigio la politica del regno. [1]
Personaggio dunque tutt’altro che negativo, ma dalla figura storica, peraltro pur sempre poco definita, alla Semiramide leggendaria il passo è senz’altro lunghissimo; ed è quest’ultima che ha occupato la scena. E se volessimo ricostruire il cammino di questo personaggio anche sul palcoscenico ci sarebbe da …perdersi tra le quinte: la prima opera di un certo rilievo è quella dello spagnolo Christobal de Virués, scritta verso la fine del XVI secolo: dramma che mostra la predilezione dell’autore per scene sanguinose e delittuose. Ma della regina assira si occupò anche il grande Pedro Caldéron de la Barca ne “La figlia dell’aria”pubblicata nel 1653 ed è senz’altro la più alta produzione che questa leggenda abbia ispirato ad un artista. Un dramma potente, basato sul conflitto tra intelligenza e destino,tra luce e tenebre: Semiramide, “figlia dell’aria” diventa strumento di morte, perdizione e disperazione.
Voltaire, da cui Gaetano Rossi trasse il soggetto per Rossini, non fu il primo francese ad affontare l’argomento, ma introdusse nella vicenda un nuovo elemento che passerà anche nel libretto rossiniano: tutto il dramma è dominato dal rimorso della regina per aver avvelenato, con l’amante Assur, principe della dinastia reale, il re Nino suo consorte. E gli incubi della regina prendono vita sulla scena con voci sinistre e minacciose, tuoni e raffiche che provengono dal mausoleo del re assassinato. La Semiramis di Voltaire (1748) è dunque la tragedia del rimorso: dall’inizio alla fine la regina è una donna tormentata dal ricordo del proprio delitto.
Librettista e compositore scelsero la tragedia Sémiramis elaborandola più dall’originale francese che dalla versione italiana di Melchiorre Cesarotti del 1772. Rispetto all’originale, Rossi introduce poi un nuovo personaggio, Idreno, un principe indiano che ama Azema: questo per inserire il tema amoroso, in teoria ingrediente indispensabile in un libretto. Tuttavia il testo di Rossi sembra tener in ben poco conto il tema dell’amore , in quanto esso viene confinato entro la piccolissima cornice che ruota intorno al personaggio di Azema, principessa babilonese di cui tutti, Idreno, Arsace, Assur sono innamorati. Eppure ad Azema non è dato alcun rilievo nell’opera, ed ella sembra comparire più per dare senso alla presenza di Idreno che può far sfoggio di bellissime arie tenorili, (in particolare Ah, dov’è, dov’è il cimento nel primo atto e nel secondo La speranza più soave), che per una propria necessità drammaturgica. Anche Arsace infatti, pur amando Azema, quando viene a sapere che il suo nuovo compito è vendicare il padre, se ne dimentica all’improvviso, mentre Assur appare immerso in conflitti ben più gravi che non la rivalità con Arsace a proposito della bella principessa. Ma il vero ruolo di Azema, se si guarda alla struttura dell’opera, non è poi così secondario: ella crea infatti dei piccoli sipari di distensione, che servono a stemperare la tensione altrimenti eccessiva in molti punti dell’opera. Ad esempio nel secondo atto crea un “intermezzo” dopo un momento terribile: nella scena IV Arsace ha appena saputo di essere figlio di Nino e decide dunque la vendetta su Assur; nella VII Semiramide rincorre Arsace ed egli, scacciandola, le rivela di essere suo figlio e di essere al corrente che fu lei insieme ad Assur ad assassinare il padre. Una “pausa di distensione” tra due scene di questo genere era quanto meno necessaria!
Per quanto riguarda il punto di vista musicale se ne parlerà più ampiamente nella recensione. Certo si tratta di un’opera di ampie proporzioni: famosissima la stupenda ouverture, meno forse l’opera in sé, che pur non essendo certo “facile” merita comunque di essere vista e ascoltata. Fu rinfacciato a Semiramide un eccesso di “barocchismo” vocale che qui però fu in gran parte voluto dal compositore come elemento di artificio “orientalistico” nell’ambientazione delle scene più spettacolari e sfarzose; ma la vocalità assume tutt’altra struttura espressiva quanto a dominare l’azione drammatica sono le passioni, il terrore o il mistero; inoltre, la tessitura vocale è sempre condizionata dall’architettura musicale che si determina nella perfetta “sintonia” fra le voci e il discorso drammatico di un’orchestra più che mai potente e raffinata.
E a proposito di voci: l’edizione fiorentina schiera subito un nome di tutto rispetto, quello di Jessica Pratt che sosterrà il ruolo della regina e che già lo scorso anno ha trionfato sul palcoscenico fiorentino nella Lucia di Lammermoor. La direzione è affidata alla bacchetta di Anthony Walker, interprete appassionato del repertorio belcantistico, ex tenore e violoncellista. L’allestimento è quello di Luca Ronconi per il san Carlo di Napoli del 2011. “«Il tipo di spettacolarità suggerita dal libretto, con l’ambientazione in Assiria, a Rossini è indifferente. Questo diverbio che c’è tra la trama e la musica non lo voglio considerare un difetto bensì una caratteristica e quindi ho cercato di creare un allestimento in cui la musica è liberata dall’aspetto decorativo ambientale: una scena estremamente nuda, che nel primo atto è chiara e nel secondo atto è scura.” Così il regista presentò la sua interpretazione e come discorso non è in verità molto incoraggiante. L’allestimento non ebbe infatti unanimi consensi ma … si starà a vedere. A Firenze viene ripreso e adattato da Marina Bianchi e Marie Lambert, le scene sono di Tiziano Santi.
La storia ha inizio da un antefatto – l’avvelenamento del re Nino da parte del principe Assur – che sarà svelato solo durante lo svolgimento dell’opera: un delitto la cui vendetta si compie dopo molti anni e che contribuisce a rendere tragica la figura di Semiramide: complice nell’omicidio del marito, si innamora del giovane Arsace senza sapere che è in realtà il suo stesso figlio, il quale la ucciderà per errore.
Personaggi e interpreti:
Semiramide Jessica Pratt; Idreno Juan Francisco Gatell; Arsace Silvia Tro Santafé; Assur Mirco Palazzi; Oroe Oleg Tsybulko; Mitrane Andrea Giovannini; L’ombra di Nino Chanyoung Lee; Azema Tonia Langella
Maestro concertatore e direttore d’orchestra Anthony Walker; maestro del coro Lorenzo Fratini
Orchestra e coro del Maggio Musicale Fiorentino.
Per la trama dell’opera cfr.
[1] Per le notizie storiche su Semiramide e il suo mito cfr l’ottimo saggio di Edilio FRASSONI, “imperatrice di molte favelle” in L’opera di Genova, stagione lirica 1980-81 teatro Margherita (programma di sala) Genova, 1980, pp. 79-100.
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