Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
“L’Arno è calato di 5 metri nelle ultime 24 ore, e ciò nonostante è ancora gonfio, limaccioso, impressionante. A destra, verso le cascine, il lungarno Acciaioli non esiste più, la furia delle acque l’ha spazzato via per un centinaio di metri polverizzandolo come un biscotto. Le porte dei palazzi che davano sul lungofiume, ora si affacciano sul precipizio, chi ne uscisse piomberebbe nella tumultuosa corrente. Più a valle di Ponte a Santa Trinita sembra “mimetizzato da giganteschi cumuli di rovi, di tronchi d’alberi, di detriti di ogni genere chela furia della corrente ha ammucchiato contro i piloni e contro le spallette(…) di fronte a me il ponte Vecchio l’orgoglio di Firenze, già solcato da mille crepe, curato con mille restauri, ha miracolosamente resistito all’immane spinta. Ma in quali condizioni è ridotto! Le oreficerie della spalletta sinistra sono state completamente devastate, l’acqua ha sfondato le pareti a monte, è penetrata nei negozi, ha coinvolto in un vorticoso mulinello velluti, vetrinette, argenterie, gemme coralli diademi (…) poi è uscita dall’altra parte. Ora gli elegantissimi negozi che avevano in nome in tutto il mondo (…) sono ridotti squallidi stambugi dove fango e detriti si ammucchiano sino a due metri d’altezza.”
Così Giacomo Tumiati, in un articolo sulla stampa di Domenica 6 novembre, tracciava un quadro di desolazione e di squallore. Nella stessa data, il quotidiano Il giorno titola un servizio Firenze- l’alluvione peggio della guerra, e l’inviato Franco Giustolisi parla del grande nemico, il vero e proprio “sterminatore” che infierì ancora più a lungo della furia delle acque: il fango. “ Anche adesso che l’acqua sta diminuendo, rimne il fango misto alla nafta, uscita dai depositi sventrati. La poltiglia nera ha ricoperto tutto, strade, piazze,case, negozi (…) non ha lasciato indenni neanche i capolavori dell’arte fiorentina”. Certo, e non solo le opere d’arte: i volumi della Biblioteca Nazionale, tra cui vari preziosi incunaboli, ne sanno qualcosa.
“Firenze è un immenso lago immerso nelle tenebre..., di acque limacciose che si estendono per oltre sei chilometri quadrati nei quartieri a nord dell'Arno e in un'area imprecisata nei quartieri a sud del fiume. L'inondazione, la più grossa dal 1270, interessa due terzi della città. Manca l'acqua, manca il gas, l'energia elettrica è erogata soltanto in alcune zone, il telefono non funziona. La situazione è drammatica nelle case di abitazione e negli ospedali. Anche nelle zone risparmiate dall'inondazione scarseggiano i rifornimenti alimentari; nelle altre è impossibile l'approvvigionamento". Così l’Ansa che uscì il giorno fatale, il 4 novembre del 1966, alle ore 21.42.
Il disastro non colpì solo il capoluogo toscano: disastri e vittime vi furono anche in Trentino e in Friuli e anche in altre località toscane, soprattutto Grosseto, che ebbe una vittima e centinaia di senzatetto. Ma Firenze fu quella che pagò il tributo più alto, non solo in vite umane - i morti furono 35 – ma anche per quella che la città toscana rappresentava e rappresenta. E se certo le vite umane sono le più preziose, nondimeno un patrimonio culturale inestimabile fu gravemente danneggiato e in parte perduto; ma le conseguenze avrebbero potuto essere ben peggiori, se non fosse stato per lo spirito di reazione dei fiorentini, ma anche di quella straordinaria “gara di solidarietà” a cui si poté assistere in quei giorni tremendi: dal giorno successivo partono da tutto il mondo quelli che poi verranno definiti gli Angeli del fango; soprattutto studenti, partiti da ogni parte d’Italia ma anche del mondo. Oggi molti di loro sono venuti a Firenze e sono stati ringraziati pubblicamente dal sindaco in una cerimonia in Palazzo Vecchio; a ragione, perché la città del giglio sarà sempre in debito con loro.
Anche le forze armate lavorarono ininterrottamente giorno e notte. Tra loro, Gino un vigile del fuoco che con un canotto preso in prestito da alcuni boyscout salva una vita e ancora Marcello, un carabiniere allora ventenne, che salva una coppia di sposini …
Gli esempi potrebbero essere innumerevoli. Per il patrimonio artistico, due formelle di Andrea Pisano erano state strappate dal telaio ed erano finite in un enorme mucchio di melma. Furono ricuperate perché, una volta passato il peggio, i fiorentini non usarono le ruspe ma fecero passare la piazza letteralmente con le mani, proprio per non perdere opere d’arte insostituibili.
Tra i personaggi dell’epoca, impossibile non ricordare il sindaco Piero Bargellini, raffinato letterato e brillante scrittore che seppe però essere un uomo d’azione ed affrontare l’emergenza con coraggio e nel modo migliore possibile: decisamente un’altra tempra dai sindaci “nostrani”.
C’è infatti una cosa che non si dovrebbe dimenticare. Oggi la città si veste a festa e ricorda con cerimonie civili e religiose quei fatti, ringraziando chi di dovere e facendo i soliti bei discorsi di circostanza: non ci si fa mancare nulla, ci sono pure Renzi e Mattarella, che dovrebbe inaugurare con una “passeggiatina” il tratto di lungarno Torrigiani sprofondato allegramente il 25 maggio scorso a causa, pare, di incuria e errori “umani”. Ma chi vive a Firenze oggi, chi la vede sprofondare in una degrado sempre più squallido e progressivo, con quartieri che diventano ghetto, sporcizia in crescendo e sicurezza sempre più in bilico, sa che c’è qualcosa di altrettanto esiziale dell’alluvione, anche se più lenta e progressiva: ed è l’amministrazione di quello stesso Partito Democratico che oggi pretende di “festeggiare”. Ma quali angeli ci potranno salvare da Renzi e da Nardella?
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