Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Antefatto.
É un sabato sera di fine ottobre, su France2 va in onda il programma “On n’est pas couché”, il più classico dei talk-show con ospiti del mondo della politica e della cultura. É il turno dello scrittore Magyd Cherfi, di origine magrebina. Pubblicizza il suo nuovo romanzo che parla di quanto gli arabi contribuiscano alla prosperità della Francia e di quanto, invece, siano razzisti i francesi. I conduttori lo ascoltano in religioso silenzio, fanno “sì” con il capo, applaudono, un’apoteosi di consenso.
Ad un certo punto, interpellato sui recenti fatti di terrorismo, l’ospite (noto attivista di sinistra) afferma di provare “empatia” per Mohamed Mera e per gli altri assassini che hanno insanguinato la Francia.
Empatia. Ho capito male forse, mi dico. Ma il giorno dopo la trasmissione è su YouTube, controllo e no, non ho capito male. Ha detto proprio empatia, e nessuno ha reagito, anzi, applausi.
Una settimana prima, il giornalista di destra Eric Zemmour era stato denunciato, sottolineo denunciato, per “apologia di terrorismo” per aver osato dire che l’Occidente, a differenza degli islamisti, non ha più il coraggio di combattere per la propria identità. Ora rischia una condanna ed è già stato scomunicato, se non linciato, a livello mediatico.
Il 10 novembre scorso, la vittoria di Donald Trump negli Stati Uniti ce lo ha ricordato ancora una volta, la vittoria di Trump dovrebbe suonare come una sveglia per la destre europee: la battaglia delle idee (e quindi la battaglia dei media) è la madre di tutte le battaglie, e dunque bisogna combatterla.
Eppure, in un contesto politico a dir poco incandescente, si deve tristemente riconoscere che la Francia non riesce a liberarsi dal giogo del pensiero liberal-progressista in seno al “servizio pubblico audio-televisivo”, un giogo che pesa come un macigno e rischia di far arenare la campagna elettorale, anche e soprattutto a destra.
Nonostante la lotta per le primarie del centro-destra sia già iniziata, nessun candidato sembra disposto a denunciare il totalitarismo intellettuale, figuriamoci affrontarlo a viso aperto. Paura? Vigliaccheria? Non si sa quale delle due sia preferibile…
Nel frattempo, i media manipolano, modificano, veicolano una realtà che riflette solo la visione delle élite sinistroidi: una realtà che il popolo non riconosce poiché le suddette élite non conoscono il popolo, né i suoi problemi o i suoi bisogni. Anzi, per la sinistra il popolo non esiste, esistono solo le minoranze (gay, immigrati, etc.).
Tuttavia, se negli Usa Trump è riuscito a dimostrare che il popolo esiste e vuole esistere, in Francia un Trump all’orizzonte non si vede.
Sarkozy si era sbilanciato in favore di Hillary (non per convinzioni personali, non ne ha, ma fiutando i sondaggi, al solito), Hollande non ne parliamo, Marine Le Pen è impegnata nel processo di “dé-diabolisation” del Front National per consolidare il (redditizio) ruolo di eterno terzo-incomodo, cioè eterno sconfitto.
La Francia è un paese che ha perso sicurezza, lavoro, identità, produttività, speranza. Un popolo che non ne vuol più sapere di questa sinistra (che tutta insieme non rappresenta più del 20-22% degli elettori), ma che non trova nessun leader a destra, nessun partito, nessun idea.
Un popolo che quando accende la tv, si connette ad internet, legge un giornale si imbatte inesorabilmente nel totalitarismo intellettuale di quella sinistra che vorrebbe veder scomparire, come si vorrebbero veder scomparire tutti i traditori di nobili ideali.
Ma se c’è un’America “périphérique” (Trump), un’Inghilterra “périphérique” (Brexit), c’è anche una Francia périphérique, lì ad attendere che qualcuno le dia voce, qualcuno che combatta la sua battaglia: quella del lavoro, quella dell’identità, quella della scuola pubblica e della sicurezza: i temi assenti, inspiegabilmente, di questa campagna elettorale.
Chiunque tenti un vero e deciso passo a destra, viene etichettato sui media: “minaccia populista” in quanto gli apostoli del totalitarismo intellettuale, i giornalisti, non si preoccupano mai di discutere le tesi dei “populisti”, a loro è sufficiente screditarle: etichettare e punire.
Già, tutto ciò che non riguarda le “sacre minoranze” è populista, ma il popolo non ci sta più e ha capito che la “minaccia” non è Trump, la minaccia non è il Brexit, la minaccia vera sono la disoccupazione, la povertà, non avere scuole di qualità per i propri figli e vedere il proprio paese diventare un feudo arabo.
Eppure a destra, silenzio o, peggio, appelli alla moderazione, al rassemblement , al “tutti insieme verso il futuro” in un paese che non sa più vivere insieme e che non riesce più ad immaginare nessun futuro.
Ma Trump e il Brexit ci hanno dimostrato che i popoli ad un certo punto si stancano e sono disposti a dare fiducia a chiunque prometta loro un cambiamento, un giro di boa, a chiunque prometta loro di seppellire le vecchie élite. Ma se a destra si aspetta troppo a combattere la battaglia delle idee, si corre il rischio che questo “chiunque” sarà peggio dei vari Putin, Orban…e Trump.
La mia speranza è quindi quella di vedere il vincitore delle primarie del centro-destra affrontare anche il tema delle élite mediatiche, proponendo una severa, rigorosa e decisa riforma del servizio pubblico di informazione. Il totalitarismo intellettuale di sinistra deve finire. Ne va della libertà della Francia, della libertà di tutti.
Inserito da seo il 06/09/2024 22:06:49
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