Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Mentre la vittoria di Donald Trump alle presidenziali statunitensi invita ad aprire una seria riflessione sugli umori e gli orientamenti delle opinioni pubbliche occidentali, al di qua e al di là dell’Atlantico, il centrodestra del nostro Paese continua a brancolare all’interno del “labirinto” in cui si è perso dal 2013. Con risultati che, nelle ultime ore, hanno del parossistico.
Mentre a Firenze si alzano dalla piazza i cartelli con la scritta “Salvini premier”, da Padova, Stefano Parisi, coordinatore (in pectore?) di Forza Italia prende le distanze dal Carroccio, tagliando corto: "Noi non siamo quella roba che è a Firenze oggi”. Gli risponde la collega (?) di Fi Daniela Santanché. “Parisi sbaglia, dobbiamo unirci a Lega e Fratelli d'Italia. Un forte e unitario messaggio politico da Firenze è importante e sarebbe di buon auspicio per aprire un'altra grande stagione di successi per il centrodestra". Non è da meno Altero Matteoli che, in una intervista, definisce Parisi superato: "Se vuole venire a darci una mano venga, ma senza la pretesa di darci ordini". Intanto il Presidente della Liguria, Giovanni Toti, impegnato a rafforzare l’Asse del Nord, ostenta sufficienza per Parisi “intento a lavorare a un’area moderata”, sulla quale Toti nutre “molte perplessità”, e pone esplicitamente il problema del dopo-Berlusconi: “Bisogna trovare un modo per consultare la propria base”. Giorgia Meloni è sulla stessa linea, chiedendo le primarie. Il Veneto scricchiola. Sul fronte del centrodestra, Luigi Brugnaro, sindaco di Venezia, e Flavio Tosi, sindaco di Verona, si dichiarano per Sì al referendum. Tutto questo mentre a Padova i consiglieri di Fi sfiduciano il sindaco leghista Massimo Bitonci. Berlusconi tace. Maurizio Gasparri invita alla calma … ma è una voce nel … deserto.
Grande – insomma - è la confusione sotto il cielo del centrodestra italiano, ma la situazione è tutt’altro che ottima.
Paradossalmente la vittoria di Trump non aiuta a fare chiarezza in un panorama nazionale oggettivamente ben più composito di quello delle praterie politiche statunitensi. Se infatti ha ragione Matteo Salvini a dire che “la lezione di Trump e del libero voto degli americani è che si può vincere contro tutto e contro tutti, banchieri, lobbisti, giornalisti, cantanti”, più complicato è passare dalle affermazioni di principio ai fatti, al “rammendo” di un’area politica sfilacciata e – come abbiamo visto – in grande tensione.
Non si tratta allora di scimmiottare Trump, rincorrendo un brand oggi vincente. In Italia, a destra come a sinistra, vince chi sa unire. L’impresa era riuscita a Berlusconi, a partire dal 1994, con un uso accorto delle alleanze elettorali (al Nord tra Forza Italia e la Lega, al Centro-Sud, tra Forza Italia e Alleanza Nazionale) e si era via via affinata, pur tra alti e bassi, fino al 2008, con la clamorosa vittoria del Popolo della Libertà e della Lega.
Un contenitore unitario del centrodestra al momento è però improponibile. Intanto perché vanno preliminarmente ricomposte le diverse aree dell’appartenenza identitaria: quella liberal-popolare (i centristi), quella federalista (Lega e non solo) e quella “di destra”. Ognuno di questi diversi “spezzoni” può portare il suo specifico contributo al cantiere comune, a patto che ognuno identifichi il proprio ruolo/spazio e faccia chiarezza al proprio interno. Un percorso realistico può essere quello del rassemblement, con un programma condiviso, con ugualmente condivise regole di selezione/avvicendamento politico, guidato da un direttorio espressione dei diversi soggetti politici coinvolti e disposto ad accettare la sfida delle primarie per individuare il leader della coalizione di governo. Nella babele dei linguaggi che oggi caratterizza il centrodestra va in definitiva individuato un “metodo”, intorno a cui ricostruire il progetto ed i gruppi dirigenti in grado di realizzarlo. L’invito è a trovare i luoghi e le modalità del confronto . Non è facile, ma è la precondizione necessaria per partire con il piede giusto, evitando di commettere gli stessi errori del passato. Con i risultati che sono purtroppo bene evidenti a tutti.
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