Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Schonbrunn: la camera in cui spirò l'Imperatore (foto dell'autore).
A Schonbrunn, o alla Hofburg, tutto sembra pronto per il suo ritorno. Il suo studio, con le sue carte e persino con la cartella dell’Imperatore. Il turista che non si limiti alla rituale, distratta occhiata per poter poi dire “d’esserci stato” percepisce negli ambienti abitati da Francesco Giuseppe I il fascino discreto della sua presenza.
Schonbrunn, il bellissimo castello immerso nel verde di un parco secolare, ha visto anche il passaggio all’eternità del sovrano asburgico che vi spirò, primo servitore dello stato fino al suo ultimo giorno, il 21 Novembre del 1916, all’età di 86 anni. Primo servitore dello stato : queste parole per il grande Imperatore non furono uno slogan, furono il senso di una vita e di una missione. “Oggi siamo orfani di un impero in cui la diversità era considerata ricchezza e la libertà dei popoli non ha conosciuto eguali nel mondo che è venuto dopo” ha dichiarato in questi giorni Adolfo Morganti in una commemorazione di Francesco Giuseppe. E non potrebbero in effetti esserci parole migliori per ricordare l’opera di un monarca il cui regno era, in definitiva, l’ultimo discendente del Sacro Romano Impero.
Cento anni; trascorso un secolo dalla sua scomparsa la sua figura, estinte o quantomeno sbiadite le polemiche “nazionaliste” sempre più prive di senso, è ormai entrata nella dimensione del mito. Del “suo” impero si sente oggi più che mai una grande, profonda nostalgia, soprattutto nel momento in cui le vestigia dell’Europa, della sua cultura e della sua tradizione rischiano di scomparire per sempre. Quella di Francesco Giuseppe era l’Europa Cattolica e Imperiale: quella che si sta costruendo oggi è semplicemente un gigantesco mercato che non ha – né deve avere – più nessun segno che la distingua dal resto del mondo. Se quella del tempo degli Asburgo si basava ancora sui castelli e sulle cattedrali, si può ben dire che quella odierna vuole essere costruita sulle loro rovine.
Libertà nella diversità. L’Impero Asburgico non conobbe mai nessuna questione “razziale” e non è certo un caso che siano stati soprattutto ebrei i primi, grandi autori della “nostalgia” e del mito asburgico, come Joseph Roth. Soltanto in Italia, per via di una tradizione retorica e di un mito, questo sì in buona parte fasullo, quello del “risorgimento”, nella realtà opera di conquista di una dinastia che ha “colonizzato” il resto della penisola con una serie manovre improntate al più spudorato machiavellismo (i plebisciti) e con una spietata e sanguinosa repressione (La Conquista del sud, come la chiamò Carlo Alianello) si continua a parlare del grande sovrano come del nemico per eccellenza o addirittura dello “impiccatore”; come se un sovrano non avesse non solo il diritto, ma anche il dovere di conservare l’integrità del proprio stato e quasi che l’Austria fosse l’unica al mondo in quel periodo (e non solo) a ricorrere quando necessario alla maniere forti. Si può anzi dire senza tema di smentita che lo fece sicuramente in misura minore di certi stati considerati “buoni”, come l’Inghilterra (che non aveva certo la mano leggera in Irlanda e altrove) o lo stesso Piemonte Sabaudo; per non parlare poi degli Stati Uniti, impegnati nel corso di buona parte del XIX secolo in un genocidio (quello del cosiddetti “indiani”) di cui non si parla quasi mai. Non si capisce perché solo l’imperatore d’Austria, tra tutti i capi di stato dell’epoca, avrebbe dovuto invitare a prendere il tè cospiratori ed eversori.
Furono dunque ben sessantasei anni di regno: il 2 dicembre 1848, a Olmutz, travolto dalle tempeste del 48, abdicava Ferdinando I. L’erede avrebbe dovuto essere in teoria l’arciduca Francesco Carlo (1802-1878) ma si preferì “saltare una generazione” e favorire l’ascesa del figlio di questi, il giovane arciduca Francesco Giuseppe:
Dio ti benedica, Franzl. Sii buono. Dio ti proteggerà. Io non mi oppongo. Con queste parole affettuose tutt’altro che protocollari Ferdinando passò al trono al nipote,che certo dell’aiuto di Dio ne ebbe bisogno, in quei decenni di regno tormentato e difficilissimo. “ Mir Bleibt nichts erspart” nulla mi viene risparmiato, ebbe a dire il sovrano, secondo alcuni dopo l’assassinio della moglie Elisabetta nel 1898 sul lungolago di Ginevra; secondo la testimonianza della futura imperatrice Zita dopo l’attentato di Sarjevo. Forse in entrambe le occasioni: certo ci fu più di un motivo, nella sua lunga vita, di dire una cosa del genere.
Francesco Giuseppe però conosceva benissimo il suo dovere di sovrano e di cristiano e sapeva che un trono somiglia, più che a un seggio di beatitudine, spesso e volentieri ad una croce. E questa croce egli seppe portarla con straordinaria fermezza e dignità, attraverso guerre spesso non volute e sofferte: come ha ricordato anche recentemente Franco Cardini, l’imperatore non era affatto un “guerrafondaio”, ma l’epoca in cui gli toccò di vivere sì. Anche all’indomani dell’attentato di Sarajevo si schierò sulle posizioni del suo primo ministro, l’ungherese Istvan Tisza, dichiarandosi contrario a qualsiasi azione di rappresaglia contro la Serbia; anche perché si rendeva conto dei rischi che si correvano con la Russia. Tutti gli altri ministri però – e la stessa opinione pubblica – furono d’avviso contrario e ancora oggi si tende a volte a dimenticare che l’Imperatore era pur sempre un sovrano costituzionale, malgrado il suo peso e la sua autorità. “Aveva trascorso la vita intera in uniforme, come si conveniva al primo funzionario dello stato, com’era fiero di definirsi; ma era e rimase sempre un uomo di pace.”[i]
Gran signore e grande gentiluomo, riceveva tutti, qualsiasi fosse la condizione sociale, con grande affabilità e cortesia. Sotto il suo regno, Vienna divenne una capitale culturale nei campi più svariati: non solo mantenne il suo primato in campo musicale, ma lo acquistò anche nell’ architettura, nelle arti figurative, nella letteratura. Per quanto personalmente “tradizionalista” e poco propenso alle innovazioni, non ostacolò mai il progresso scientifico e culturale, ma fece anzi il possibile per promuoverlo.
“Sono salito al trono in circostanze difficili e lo lascio in circostanze ancora più gravi” avrebbe detto l’Imperatore poco prima di chiudere gli occhi, aggiungendo poi: “Non avrei voluto che toccassero a Carlo, ma è l’uomo che ci vuole e saprà farvi fronte”. [ii] Spirò la sera del 21 novembre 1916 alle 21,05, dopo una breve malattia dalla quale sembrò, per un momento, che potesse riprendersi. Cosciente fino all’ultimo, al suo posto fino all’ultimo.
Aveva senz’altro ragione sul suo successore, che era sicuramente l’uomo migliore che ci potesse essere e non solo per quel terribile momento storico. Purtroppo le circostanze furono avverse a Carlo I e sulle sue spalle cadde tutto quello che era stato risparmiato al vecchio imperatore.
Un sovrano d’altri tempi, si dirà ed è stato più volte detto. Ma oggi più che mai viene da rimpiangerlo, ora che il mito della Felix Austria è uno dei pochi, se non l’unico, che può costituire non solo un punto di riferimento, ma un’ancora di salvezza per quel che resta dell’Europa: ora che le polemiche contingenti dovrebbero essersi sopite e che in molti si sono accorti (come sempre troppo tardi) che l'Impero Asburgico era un baluardo e non un’impossibilità storica.
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