Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
rsquo;era facile prevedere, con l’approssimarsi del “fatidico” 4 dicembre, s’intensifica la campagna elettorale dei due fronti contrapposti, per il sì o per il no alle riforme costituzionali del duo Renzi-Boschi. Sull’argomento abbiamo esposto alcune delle ragioni del no e un ampliamento di quel nostro ragionamento - essenzialmente politico, più che giuridico - già apparso su queste colonne, uscirà nel prossimo numero di Diorama Letterario, un laboratorio di idee per il quale non ci stancheremo mai di elogiare il fondatore e animatore solitario – ma con una schiera di collaboratori e di lettori – Marco Tarchi.
Perché allora tornare a parlare di riforme costituzionali e di scenari successivi al referendum? Motivi ce ne sarebbero, ma qui mi soffermo soltanto su quelli derivanti da qualche recente esperienza: ho scoperto che nel mondo genericamente definibile “di destra” non sono pochi quelli decisi a votare sì e non appartengono alla schiera numerosa degli “uomini della strada”.
Il primo di cui parlo è mio figlio Alessandro, giurista d’impresa fra i più accreditati, con un passato giovanile da assistente parlamentare e certo non renziano; come non sono davvero sospettabili di simpatie governative alcuni miei amici allineati, con mia sorpresa, tra i fautori del sì, perfino all’interno della redazione del Secolo d’Italia. Al di là delle valutazioni di merito, che pure contano - visto che non pochi costituzionalisti hanno espresso argomentate critiche alle riforme in parola - fra le motivazioni di quella decisione, a mio avviso sconcertante, ho trovato la paura.
Sì, la paura del ”dopo”: se vincessero i no, cosa accadrebbe? Un blocco delle attività istituzionali? Resterebbe Renzi, sia pure indebolito, o si andrebbe ad un governo tecnico, per gestire una fase intermedia, fino a nuove elezioni? E in quest’ultimo caso, chi le vincerebbe, se non il “temuto” movimento Cinque Stelle, con tutte le sue inadeguatezze? E i mercati, i famigerati mercati - che già ci fecero lo scherzetto del novembre 2011, con le lacrime e sangue che ne seguirono grazie ai governi tecnici pilotati dalla UE – come reagirebbero?
Ora, è vero che lo stesso Presidente del Consiglio, nel definire “accozzaglia” lo schieramento avverso, ha accomunato nel suo disprezzo tanto i dissidenti collocati alla sua sinistra che gli esponenti di una destra intransigente; ma ha pure dichiarato che, per vincere, il sì ha bisogno proprio dei voti di destra e non a caso, nei faccia a faccia organizzati fino ad ora, gli sono stati contrapposti soltanto personaggi del più inveterato antiberlusconismo. Con i berlusconiani, insomma, si può provare a far rivivere lo spirito del Nazareno. A riprova, se ce ne fosse bisogno, che la questione è politica, e non attiene se non in secondaria istanza all’ingegneria costituzionale ed alle tecnicalità parlamentari.
Allora, cosa c’è dietro l’angolo? Era questo il tormentone di una famosa trasmissione televisiva in bianco e nero. Nessuno può dirlo, e meno che mai i sondaggisti, come è stato più volte dimostrato; ma possiamo affermare che uno schieramento “sovranista, popolare e identitario” – ecco la chiave di volta di un costituendo asse politico – non può fornire il suo appoggio a questo governo, per di più su di un argomento cruciale come quello di un radicale mutamento della Costituzione, destinato a produrre i suoi effetti – per me nefasti – per chissà quanti anni Quali? In breve, l’ulteriore disaffezione e il progressivo distacco dei cittadini dalla politica, complicazioni nelle procedure parlamentari, incremento dei conflitti di competenza fra stato Centrale ed Enti locali, riduzione minima dei parlamentari e minimi risparmi e così via).
Nel suo fondo domenicale sul Corriere della Sera, Antonio Polito ha sottolineato il paradosso di un inatteso “patriottismo costituzionale” da parte di quelle frange della società e della politica fino a ieri molto critiche, nei confronti dello storico compromesso fra rappresentanti della cultura marxista, da un lato, e di quelle cristiano democratica, azionista e liberale, dall’altro; paradosso che investe soprattutto gli eredi di quegli “esuli in patria”, che furono esclusi dall’ “arco costituzionale” per decenni e che però - questo omette di notare, Polito - sono sempre stati non solo critici della Carta, ma portatori di modelli costituzionali alternativi e che ancora oggi, a differenza, degli occasionali compagni di strada della “sinistra radicale”, sono convinti della necessità non già di conservare immutata, bensì di aggiornare quella Costituzione, ma non nel modo farraginoso proposto dal Duo.
E’ vero: c’è bisogno di una “democrazia governante”, ma senza costringere il popolo sovrano, con artifici e con raggiri, ad abdicare alla propria sovranità; anzi, levando più forte la voce per chiedere elezioni dirette a tutti i livelli del potere. E poi, queste riforme piacciono troppo alle centrali del potere finanziario internazionale – come ci ha dimostrato un bel servizio della Gabbia su La 7 – per piacere anche alla nostra comunità nazionale.
Sarebbe allora opportuno, all’indomani del 4 dicembre, che vi fosse un’assunzione di responsabilità da parte di tutte le opposizioni concordi nel rivendicare la salvaguardia dell’identità e della sovranità popolare, in particolare nei confronti dell’Europa dei banchieri e dei burocrati, in modo da porre l’accento su quello che unisce più che su quello che divide, in primo luogo elaborando un nuovo progetto di Costituzione più adatto ai tempi. Su questa linea, non è più neanche questione di destra e di sinistra, ma, come da molto tempo si sente dire, di alto contro il basso. In questo senso, il 4 dicembre, con la vittoria del no, può rappresentare l’inizio di una nuova, esaltante avventura.
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