Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
quo; un’Italia “salvatica” e temeraria quella che esce dal risultato referendario. “Salvatica” perché libera dai piccoli e grandi condizionamenti che hanno segnato la campagna del sì e temeraria in quanto capace di andare, senza tentennamenti, all’essenza della sfida in atto e di vincerla. Se è vero – come scrivevano Papini e Giuliotti – che “ogni uomo esiste in virtù del suo nemico”, il 4 dicembre a vincere è stata un’Italia che ha saputo individuare il proprio “nemico (politico) principale” e discernere tra il bene ed il male delle proposte in campo (ben al di là di una pasticciata riforma costituzionale …). E’ l’Italia dei mercati rionali contro quella della grande finanza. L’Italia che non teme mettersi in gioco, rimandando al mittente le “mancette” governative: i cinquanta euro per i pensionati, gli ottantacinque per gli statali, gli ottocento per le mamme, i cinquecento per i giovani … Italia sprezzante contro il politicamente corretto e contro i salotti buoni, contro i timorosi ed i moderati, che, sempre in ritardo sui tempi, hanno votato per il sì, nella convinzione che … comunque-bisogna-cambiare.
La vittoria dell’accozzaglia del no è la vittoria dell’Italia dell’orgoglio e dell’appartenenza, che ha rifiutato la renziana “disintermediazione” della famiglia e dei corpi intermedi. E’ l’Italia che non ha ascoltato gli appelli della “grande stampa”, nazionale ed internazionale, e che si è fatta beffe dello spread, dei rating, della volatilità dei mercati, dell’andamento delle Borse.
Ma è anche un’Italia che ora vuole contare di più, vuole decidere veramente, una volta archiviata l’idea di una politica tutta tagli (di sovranità) e falsa efficienza.
Non si dica allora che a vincere è stata la paura del cambiamento. Del “cambiamento” a firma Renzi-Boschi gli italiani hanno dimostrato di non sapersene che cosa fare. Perché è parso, da subito, segnato da una confusa volontà “disorganizzatrice” (nel segno dei “poteri forti”) delle istituzioni e del Corpo Sociale (con l’attacco alle autonomie locali e alle identità diffuse). Perché, sotto la scorza addolcita dai presunti risparmi della politica, quel “cambiamento” è stato percepito come intimamente avvelenato. Perché – nel metodo – il progetto sostenuto dal fronte del sì è stato visto come il risultato di una scelta di parte, piuttosto che – come avrebbe dovuto essere – il risultato di una politica condivisa.
Ora evidentemente si tratta di cambiare metodo e contenuti, incamminandosi finalmente sulla via di una ritrovata volontà riformatrice, che parli agli italiani il linguaggio della chiarezza (non solo sui temi del cambiamento costituzionale), che dia voce all’Italia profonda e complessa (quella dei corpi intermedi e della società reale), che individui coerenti percorsi di confronto e di condivisione (ad esempio attraverso la convocazione di un’ Assemblea costituente). Con il referendum del 4 dicembre l’Italia ha chiesto di voltare veramente pagina. Un’altra storia ora è possibile.
Inserito da Paolo il 05/12/2016 12:13:55
Ahah che articolo ottuso e scontato...
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