Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Semplice, in nome dell’égalitési è abbassato il livello di qualità per distribuire diplomi a sempre più studenti. Sopprimendo ogni criterio di meritocrazia la politica ha convinto le famiglie (non esenti da colpe) che il mero conseguimento di un diploma e una rigorosa trasmissione del sapere sono in fondo la stessa cosa.
Si ingrassano le statistiche. Un governo dopo l’altro, il ministro di turno annuncia orweillianamente che ormai il 90% dei ragazzi ottiene la maturità, facendo di questo dato la dimostrazione che le cose funzionano.
Mark Twain aveva ragione, esistono tre tipi di menzogne in politica: le menzogne, le grandi menzogne, e le statistiche. I giovani francesi non sono certo diventati più intelligenti negli ultimi decenni e il fatto che arrivino in numero sempre maggiore alla maturità significa semplicemente che il livello è crollato.
Da quarant’anni, pedagoghi, sociologi e psicologi di sinistra, imbevuti delle ideologie liberal-progressiste made in USA hanno minato, una riforma dopo l’altra, il grande edificio della scuola di Jules Ferry. Quella scuola della Terza Repubblica che era un vero motore di uguaglianza e democrazia proprio perché scuola pubblica gratuita e laica ma soprattutto difficile ed estremamente meritocratica.
Potevi essere ricco o povero, nobile o proletario, celebre o sconosciuto, se volevi il diploma dovevi lavorare e lavorare sodo.
Scuola elementare, medie, liceo, non è rimasto più niente, niente si è salvato dal nulla ideologico della sinistra post-68 e dalla cronica incapacità di reagire delle destre liberali, che in maniera troppo condiscendente e vigliacca hanno rinunciato a lottare per difendere la scuola pubblica dalla furia sinistroide.
Intanto nelle classifiche internazionali brillano i paesi dell’estremo oriente (Singapore e Giappone su tutti) dove duro lavoro quotidiano e disciplina ferrea sono regole inderogabili nelle aule scolastiche. Come fanno? Facile, in quei paesi non c’è immigrazione, e non ci sono sermoni ideologici né indottrinamenti quotidiani in seno alla scuola perché in quei paesi lo Stato è ancora il volto istituzionale della nazione. Perché quei paesi hanno una direzione, un futuro, un destino. Perché sono dei popoli che non hanno scordato che a scuola si forma, si fa vivere e sopravvivere un popolo ancora prima che un individuo.
In quei paesi non si discute l’autorità assoluta del professore, non si mettono in discussione i programmi in nome delle sure del Corano.
In quei paesi si impara a memoria, si lavora sodo a casa ma soprattutto tutti hanno chiaro che la scuola è una, e forse la sola, vera occasione per costruirsi un futuro migliore.
Due soluzioni possibili: una è l’autonomia assoluta degli istituti scolastici come nel mondo anglosassone, l’altra è avere coraggio e fare fuoco senza pietà sul vespaio dei pedagoghi (apparentemente irremovibili) che infettano i piani alti del ministero della pubblica istruzione.
La più grande e più celebre studiosa della Grecia antica, nonché per anni insegnante nella scuola pubblica, Jacqueline de Romilly nel suo testamento ideologico, il bellissimo Ce que je crois, ha trovato le parole, una formula perfetta per trasmettere il disastro operato sulla scuola da mezzo secolo di ideologia sessantottina:
"Ho avuto una grande passione, la mia professione di insegnante, ma dopo il ’68 i politici me l’hanno rovinata tra le mani, a colpi di riforme."
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