Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
iazza sovranista c’è. Lo si è visto a Roma. C’è perché tanta gente ha ancora la voglia di credere e di mobilitarsi nel nome degli interessi reali del popolo italiano, contro la globalizzazione ed il capitalismo finanziario; contro l’immigrazione selvaggia ed i processi di omologazione; contro i tentativi di “destrutturazione” culturale; contro chi vuole (lobbies, potentati economici ed informativi) la disgregazione dei corpi sociali intermedi.
Protestare è necessario, però non basta. Al “rifiuto” deve corrispondere la volontà di costruire – sulla base delle idee e dei programmi – un progetto alternativo all’ establishment politico, economico e culturale, che si contesta.
Opporsi alla globalizzazione e al capitalismo selvaggio vuole dire certamente la difesa del “made in Italy” ma anche porre freni alle importazioni selvagge da quei Paesi dove a dominare è lo sfruttamento dei lavoratori, con forme di vero e proprio lavoro forzato (ventuno milioni secondo l’ultimo rapporto dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro). Lottare contro lo strapotere delle finanza internazionale significa “tornare al reale”, all’economia produttiva, ai territori. Bloccare l’immigrazione selvaggia vuole dire anche difendere orgogliosamente le identità e le appartenenze culturali. Tutelare la Nazione significa riperpetuarne la vita, attraverso adeguate politiche demografiche.
Non è egoismo. E’ domanda di partecipazione alle decisioni politiche (la democrazia come partecipazione di un popolo al proprio destino …) ed inversione di tendenza rispetto alle “logiche” tecnocratiche e ai processi di “disintermediazione”, che stanno svuotando il sistema della rappresentanza popolare. Il voto, giustamente all’ordine del giorno di chi ha mobilitato la piazza sovranista e l’ha rappresentata dal palco, è però un mezzo non il fine.
Se è necessario ridare alla gente il diritto di scegliere, ugualmente essenziale è fare emergere una classe dirigente all’altezza delle sfide contemporanee e capace di incarnare, con coerenza, la volontà di cambiamento. Qui sta la vera questione con cui il movimento sovranista dovrà rapidamente misurarsi. La piazza c’è, d’accordo. Ma si può dire altrettanto del ceto politico in grado di rappresentarla?
L’invito – con tutta chiarezza – è di abbandonare l’usato più o meno sicuro (e di politici di “terza mano” nella piazza sovranista ne abbiamo visto più d’uno…), puntando seriamente al rinnovamento generazionale. Programmi chiari e ceto dirigente coeso e motivato: da qui passa la possibilità di trasformare la piazza e la maggioranza troppo spesso silenziosa del popolo italiano in un’alternativa operante e vincente. Le ragioni ci sono tutte. La volontà della gente anche. Ora però è tempo di dare forma politica a queste ragioni e alla volontà che le sostiene. Altrimenti i bei proposti e le piazze piene saranno inutili.
Non possiamo nn dirci conservatori, e allora attenti con la santificazione della tecnologia
Quel che la Corte Suprema non ha considerando riguardo al divorzio
Perché la destra sta sparendo dall'agone politico
Mettete la museruola ai genitori incoscienti
Se le donne vincono quando in politica i migliori rinunciano