Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
uando la politica ha smesso il suo lento, solenne fluire per assumere un andamento nevrotico ed ha smarrito perfino la capacità di generare tragedie feconde, lo sguardo di chi volesse rinvenire valide chiavi di lettura del tempo che è chiamato a vivere dovrebbe rivolgersi sempre più alla letteratura. E’ proprio in questo territorio, che pure rischia di essere abbandonato come certi nostri borghi montani, che è infatti possibile trovare non solo penetranti interpretazioni della contemporaneità, ma anche fulminanti previsioni.
Si è detto e ripetuto che le più profonde e variegate letture delle vicende napoleoniche vanno cercate più in “Guerra e pace” che non in tanti saggi storiografici; noi stessi abbiamo sottolineato su queste colonne la portata visionaria di un’opera di narrativa come “Il mondo nuovo”, di Aldous Huxley; ebbene oggi ci capita fra le mani questo “non romanzo” di Guido Morselli, “Roma senza Papa”, elaborato negli anni 1966-67, pubblicato per la prima volta da Adelphi nel 1974 e ora rieditato dalla stessa Casa editrice.
Abbiamo scritto “non romanzo” perché, pur avvalendosi di una struttura narrativa classica, l’Autore si serve dei personaggi e dei loro dialoghi per illustrare i mutamenti in atto nella Chiesa, sia sotto il profilo dottrinale che sotto quello pastorale e gerarchico, sullo sfondo di un futuro prossimo venturo. L’aspetto più sorprendente del lavoro di Morselli consiste nella forza visionaria del racconto: se l’abbandono dei Palazzi vaticani da parte di Papa Francesco è ormai un dato acquisito, le cronache hanno riportato, nelle scorse settimane, voci secondo le quali il Pontefice avrebbe manifestato la sua intenzione di trasferire il Sacro Soglio a Guidonia, proprio come Giovanni XXIV, il papa del romanzo di Morselli, ha dislocato a Zagarolo la Santa Sede.
Ma non basta. Quel Papa, che succede al Paolo VI della realtà storica e al Libero I di quella immaginata dall’Autore, è un monaco benedettino irlandese che, fra l’altro, assomiglia al personaggio dello “Young Pope” Pio XIII, inventato da Paolo Sorrentino per le reti Sky: oltre alla giovane età, come quello non ama farsi vedere, rinuncia ai viaggi pastorali, non tiene discorsi pubblici, è in conflitto con la Curia romana. Se ne differenzia invece per una certa tendenza pauperistica e per una certa apertura alla modernità, che lo avvicinano all’odierno Pontefice. Di passata, facciamo osservare che già quella del Papa straniero poteva essere considerata una profezia “scandalosa”.
Se si tiene conto del periodo in cui fu scritto il libro – gli anni del dibattito e delle polemiche post-conciliari – non stupisce che si parli, in termini polemici, di un preteso processo di “protestantizzazione” della Chiesa, che nel libro ha appena inglobato quella anglicana e intensifica i rapporti con quelle riformate, in vista di una riconciliazione/fusione con l’Ortodossia d’oriente.
Le vicende narrate si svolgono nelle settimane in cui il protagonista, un sacerdote svizzero piuttosto tradizionalista – a partire dal rifiuto del clergy man, fino alla celebrazione della Messa cominciando dall’Introibo – attende di essere ricevuto in udienza dal Papa. Da notare che ormai da tempo ai preti è stato concesso di sposarsi – e il nostro protagonista lo è – anche se le polemiche sull’argomento sono ancora d’attualità. Sotto il profilo dottrinale, il nostro è autore di un trattato sull’iperdulia, dove si fa ricorso al meglio dell’erudizione teologica per motivare il culto della Vergine, in polemica con “l’infausta Costituzione De Maria matre Jesus, - di matrice protestante - ispirata o imposta dal Sinodo, firmata però da un Papa (Libero I) né ancora sconfessata dal suo successore regnante”. L’umanizzazione di Maria, infatti, e la contrazione e “democratizzazione” dell’infallibilità papale sono al centro di polemiche nel contesto sociale ed ecclesiastico del romanzo.
La Roma “senza Papa” viene descritta come una città attonita e trascurata, quasi deprivata di ogni principio vitale. Siamo lontani dai rispettosi fervori suscitati dal pontificato di Pio XII, “l’ultimo papa che sia stato Signore”, le cui udienze erano “impegni con l’eternità”. Non mancano i segni dell’avanzata della tecnica, sotto forma di telescriventi e di elicotteri superveloci, di misteriosi “accumulatori leggeri” che muovono il mondo, di altrettanto misteriosi “analyzer”, congegni in grado di memorizzare saggi e studi e di elaborarli, al punto di essere in grado di interloquire in un dibattito con gli esseri umani. Insomma, siamo dalle parti dell’informatica più avanzata…
Tuttavia, nell’impianto narrativo di Morselli, non mancano vuoti, silenzi ed erronee proiezioni sul nostro tempo: ad esempio, si perpetua il dualismo USA-URSS e si sopravvaluta il ruolo politico-diplomatico della Santa Sede, chiamata a mediare sulla spartizione e il corrispondente sfruttamento della Luna (si noti peraltro che all’epoca non si era ancora verificato lo sbarco sul satellite); non vi è traccia dell’emersione di nuovi grandi soggetti della politica e della storia - dalla Cina all’Islam – né si antivedono i fermenti sociali ed economici che porteranno, di lì a poco, alle tragedie degli “anni di piombo”.
Del resto, il gioco delle ipotesi Morselli lo aveva già giocato, in quel caso rivolgendosi al passato, con il suo “Contro-passato prossimo”, in cui aveva ipotizzato una vittoria degli Imperi Centrali nella Prima Guerra Mondiale: un modo intelligente per accostarsi al proprio tempo e, magari, cercare di amarlo.
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