Racconti di un'altra stagione

4. La pittrice

Breve storia di una pittrice fallita

di Giulia Bartolini

4. La pittrice

È lunedì, e il nostro morbido sognatore si è svegliato con un po’ di energia in petto e un po’ di odio per l’inizio della settimana nelle gambette corte.

Ieri stava tornando da un triste incontro di lavoro per poter fare il disegnatore di case (qui li chiamano architetti (si dice costruiscano sogni), l’incontro non è andato molto bene. Anzi…

Stava tornando dall’incontro fallimentare, quando ha visto una donna anziana, seduta sulla panchina di un piccolo parco quasi abbandonato.

Aveva gli occhi lucidi e un vestito colorato: mille pezze di colori stracciati addosso e un sorriso luminoso. Addosso il blu, il verde, il rosso, il giallo, il celeste… e sorrideva e non smetteva mai, solo ogni tanto tra un sorriso e l’altro cantava:

“M’hai trovato in mezzo alla folla dimenticata

m’ero nascosta per non essere più ritrovata,

siamo scappati sul fiume…

 quant’ero amata…”

Il piccolo sognatore era troppo curioso (dopo una giornata così poi):

-Chi è lei? - le ha chiesto.

E in un altro momento, in un mondo simile al nostro, in un’altra stagione,

c’era una volta una Pittrice.

Ma lei non c’era ancora. Intanto c’era una piazza.

Una piazza che sembrava molto Piazza della Signoria (senza esserlo), in una città che sembrava tanto Firenze (senza esserlo), con delle viuzze che assomigliavano molto a quelle del centro di una città vecchia, un fiume che assomigliava tanto all’Arno e tanti ponti e una giovane ragazza, dai capelli scuri.

Era sola e camminava per le vie della città cercando qualcosa.

“Cosa cercava signora?” le ha chiesto il nostro Sognatore.

“Colori” gli ha risposto lei.

C’era quindi una volta una giovane ragazza bruna alla ricerca dei suoi colori. A Firenze (non proprio).

Forse dovremmo dire che lei era una pittrice, giovane, appena laureata, come quasi tutti i disoccupati. Voleva iniziare in quella città ma aveva bisogno di trovare i colori giusti.

Attenzione, non si trattava della ricerca di un negozio di tempere, o di comprare qualche matita. Aveva bisogno di vedere se in quella città, c’erano colori nuovi.

Nei tramonti o nelle albe, nelle cattedrali, nel vento… Insomma, questa bella signorina cercava i colori… e ce n’erano… ce n’erano a milioni. E lei li vedeva tutti ma…Era come se fossero troppo pochi!

La nostra pittrice provò a dipingere vari tramonti ma sulla tela, il rosso, il giallo, l’arancio, il rosa e il blu non bastavano a disegnare tutto ciò che lei voleva.

Provò a riprodurre le mura affrescate delle cattedrali, ma neanche il marrone, il verde, il giallo e il viola bastavano.

Provò con i fiori di ciliegio nei giardini che erano pieni di mille sfumature e usò quasi tutta la tavolozza dei colori…ma niente: il nero, il bianco, il blu, il verde, il rosa, l’arancio non bastavano a dire tutto. A lei i colori non bastavano.

Eppure, aveva sempre voluto fare la pittrice.

Si era forse sbagliata?

Una sera se ne stava seduta sul parapetto d’un ponte (che assomigliava tanto a Ponte Vecchio ma non lo era), intorno a lei i suoni della fine di uno spettacolo teatrale, davanti a lei il silenzio dell’acqua. Aveva lo sguardo fisso sul fiume silenzioso, quando ad un certo punto, si distrasse. Un piccolo filo di fumo le passò davanti agli occhi…come fosse un nastro, girò lo sguardo lentamente cercandone l’origine e lo vide.

C’era una volta un giovane attore…gli occhi neri e lo sguardo severo, aveva appena finito di lavorare e voleva stare solo. E lei si innamorò.

Si conobbero piano piano e lei piano piano si accorse che quell’amore non era nato per caso.

Il viso di lui era pieno di colori ed era capace di muoversi ad una tale velocità, di modificarsi, di splendere e poi incupire, di sparire dietro alla vergogna, o alla timidezza e poi di ricomparire spavaldo e orgoglioso.

Gli toccava spesso le guance, le labbra, il mento e li costruiva e li scolpiva a suo piacimento, creando sfumature e contrasti nuovi, mai visti e poi…li dipingeva.

Su quel viso riuscivano ad esserci contemporaneamente mille colori, mille volti diversi, mille possibilità. C’erano giovani, vecchi, bambini, eroi, vigliacchi… su quel viso c’erano bugie dette a squarciagola, grandi battute sussurrate a mezza bocca…e lui nulla voleva per sé!

Così lei dipingeva quadri e quadri di tutti quei volti, e li vendeva per strada; lui studiava, ripassava Edipo e Agamennone, e Amleto e tutto ciò che serviva…e il suo viso era pieno, pieno di colori, ogni giorno.

E poi lui sorrideva… E quando sorrideva c’era solo un colore e tutta quella maschera scompariva. In quel momento s’amavano e basta e facevano lunghe passeggiate in centro, correvano nelle piazze scacciando i gabbiani, camminavano per ore, rimanevano in silenzio…

C’erano una volta una Pittrice e il suo Attore.

“M’hai trovato in mezzo alla folla dimenticata

m’ero nascosta per non essere più ritrovata,

siamo scappati sul fiume,

 quant’ero amata…”

Poi andò tutto male.

Lei cercò un lavoro in una galleria dopo l’altra. Non l’assunsero da nessuna parte.

Cerco di vendere più di un quadro per comprare una casa. Nessuno li volle.

Lei cercò di far capire che era così che dipingeva. A nessuno interessò.

E così cominciò a impazzire, a ignorare lui, quasi a odiarlo. Il sogno era finito.

Il giorno del suo compleanno si vestì dei suoi mille colori, pezzi di tela d’ogni forma e sfumatura, e corse in quella piazza senza di lui, si confuse alla folla, ballando, correndo, sperando di non essere più cercata, di perdersi tra tutti quei colori. Ma lui, preoccupato e spaventato, riuscì a trovarla.

“M’hai trovato in mezzo alla folla dimenticata

m’ero nascosta per non essere più ritrovata,

siamo scappati sul fiume, dio quant’ero amata;

m’hai trovato in mezzo alla folla dimenticata,

ero vestita e impazzita ma tu m’hai perdonata,

siamo scappati sul filo del vento,

il colore del giorno era ormai spento

m’hai detto scappiamo e cerchiamo fortuna

laggiù, lontano, sul fiume

laddove si bagna la luna,

…quanto ero amata…”

 

Il Sognatore vide una piccola lacrima scendere sul viso della donna, mentre canticchiava la sua canzone.

“E poi?” le chiese

“Lui era un bravo attore, amava stare lì…” e riprese a cantare…

“T’ho guardato e tu hai sorriso

e lì ho trovato il mio paradiso,

t’ho detto torniamo

e a casa restiamo,

sarà il tuo successo

che ci viene concesso,

un sogno su due

è un buon compromesso…”

Il Sognatore la guardava sorridere. Quell’uomo doveva essere morto da tanti anni ma lei non era mai rimasta sola. La donna gli disse di avere due figli, felici e grandi, una casa e tanti ricordi…e ogni compleanno si vestiva e camminava per le vie della città per ricordare quel giorno.

Il nostro morbido Sognatore ha capito che quei due erano stati felici più di molti e che s’erano amati come pochi.

“I nostri due sogni sono rimasti nei miei vestiti. Io canto e sorrido e dentro di me ci sono i suoi palchi e le mie tele. Fino alla fine.”

 

Il nostro Sognatore è tornato verso casa spaventato e incantato.

Uno sogno su due è comunque un buon compromesso. Sì? È possibile amarsi così?

E ora la giornata è lunga per tutti.

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