Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
icinque aprile 1945
E così, mentre le loro fortezze volanti continuavano a distruggere e a uccidere senza ritegno né scrupoli le città italiane e europee, gli alleati erano infine giunti a Milano. Le divisioni tedesche non erano più che lugubri fantasmi, brandelli di un incubo in ritirata.
Il cadavere del Duce veniva appeso ad un gancio a testa in giù (non so perché ma ci penso ogni volta che vado al Louvre e mi fermo davanti al Bue macellato di Rembrandt). Hitler subiva un collasso nervoso, nell’attesa di suicidarsi nel suo bunker in compagnia del suo cane Blondi e di Eva Braun.
Era il 25 aprile. Silenzio delle armi. Immensa allegria, infinito sollievo. Gioia della liberazione, amarezza di chi assisteva impotente alla caduta dell’edificio fascista. L’Italia devastata, materialmente e spiritualmente.
La liberazione era costata cara: la guerra civile (che non si fermava certo col 25 aprile, ma entrava nella sua fase più disumana, quella delle vendette sommarie), le deportazioni, i bombardamenti, il patrimonio artistico distrutto o rubato, le marocchinate dei Goumiers (maledetti loro e i loro eredi e il nostro oblio), gli stupri di massa, i soprusi.
L’Italia in ginocchio.
Mentre a Berlino Bandiera Rossa sventolava sul Reichstag (oggi si dice Bundestag), a Washington si brindava alla vittoria delle democrazie, del bene sul male, di un nuovo mondo dal DNA a stelle e strisce: we just have to agree with Jo…Jo Stalin…
Tuttavia, a Budapest, Varsavia, Bucarest, Praga, mentre noi ancora ubriachi cantavamo a squarciagola, la gioia della liberazione era già finita. Scendeva già la cortina di ferro sulla schiena di un’Europa orientale condannata a mezzo secolo di comunismo fame e miseria. Non pochi deportati passavano senza transizione dai lager ai gulag, dimenticati da tutti. L’Unione Sovietica aveva sconfitto Hiltler, l’Occidente non aveva che da guardare altrove.
Dopotutto era il 25 aprile. E mai nessun giorno era sembrato più necessario.
In Italia si riscriveva la storia. Si dimenticava, il più in fretta possibile, ciò che si era stati costretti a fare o a subire per poter sopravvivere. Si voleva ripartire, si doveva ricostruire, guardare avanti.
Era il tempo dei grandi processi: chi aveva collaborato?
Ma da quando i nazisti avevano sloggiato non si trovavano che eroi partigiani, e così Togliatti proponeva l’amnistia generale. Si passò allora dai processi alle spedizioni punitive, alle violenze più oscene, nel silenzio più fitto.
Nel frattempo i deportati sopravvissuti tornavano, irriconoscibili, emaciati, con lo sguardo e il silenzio di chi ha vissuto qualcosa che non si può comunicare ma, in fondo, non si prestava loro troppa attenzione. Eravamo impegnati a sgomitare gli uni con gli altri per il razionamento (per alcuni generi durò fino al ’49), per il lavoro, per una raccomandazione, per un podere, per un po’ di potere. Si piangeva in silenzio coloro che non tornavano.
E si festeggiava, era il 25 aprile! E ancora oggi è il 25 aprile e si festeggia ancora, giustamente si festeggia perché in fondo nessuno di noi avrebbe voglia di vivere in un’Europa modellata dai folli disegni criminali di Adolf Hitler.
Ma i festeggiamenti non devono trarci in inganno. La Seconda Guerra Mondiale è ancora qui, non ci abbandona, al di là dei doveri della memoria.
Nonostante gli incessanti tentativi di piegarla, di ridurla a una favola per bambini dove alla fine i cattivi sono sconfitti, il 25 aprile è sempre qui e se guardiamo bene, fa marameo a ogni semplificazione ideologica. Possiamo provare quanto vogliamo a piegare i fatti per farli corrispondere alla bieca misura dei nostri pregiudizi. La Guerra resta lì, e ci provoca, ci chiede di conoscerla e studiarla.
Possiamo rimescolare e reinterpretare, anche con le migliori intenzioni, magari per pietà filiale, o solo per provare a giustificarci di essere ciò che inesorabilmente siamo. Possiamo rinnegare all’infinito un passato che ha reso reale un orrore impossibile. Possiamo divertirci, ogni 25 aprile, a giocare agli eroi della Resistenza, facendo finta di insorgere oggi contro il ritorno di un fascismo tanto immaginario quanto facile da schernire.
L’occupazione nazista, quella vera, è storia e anche di più. È la cartina tornasole di tutto ciò che deve essere giudicato e condannato o osannato e glorificato, ancora oggi. È la cornice ideologica all’interno della quale si definisce ciò che funge da morale, da quando la vera morale la si è gettata alle ortiche.
La liberazione, la resistenza, sono schemi che vediamo rimettere in scena senza sosta, e ognuno di noi (ahinoi!) conosce qualche sessantenne fermamente convinto di meritare una Medaglia al merito partigiano per… aver fatto il 68! o qualche esaltato comunista sicuro di aver diritto alle più alte decorazioni perché ha sputato, letteralmente o a parole, su qualche avversario politico.
Abbiamo tutti sacrificato all’altare dell’Italia partigiana! Perché eravamo tutti in montagna contro l’occupazione nazista, solo uno sparuto manipolo di venduti si crogiolava nei privilegi concessi dal collaborazionismo.
Ci siamo illusi di essere protagonisti dell’epopea partigiana perché ne ereditavamo il lessico e l’odio, perché applicavamo agli avversari di oggi le etichette di ieri, perché provavamo anche noi ad avere la nostra guerra civile.
Così, a forza di 25 aprile, abbiamo prolungato fino a noi la Seconda Guerra Mondiale e l’occupazione, e oggi è ancora il 25 aprile!
Certo, senza la vera occupazione nazista, senza le deportazioni, i bombardamenti, la fame…l’importante è giocare alla Resistenza. Per ridere.
Ma il ricordo della Liberazione meriterebbe di meglio che questa cinica strumentalizzazione della Storia. il 25 aprile dovrebbe essere l’occasione di studiare, approfondire e meditare sulle circostanze che hanno messo in gioco il nostro destino in quanto Nazione.
La gioia era stata immensa. Le illusioni furono di corta durata. Non ci si rimette in piedi così, come per magia, dopo una guerra totale e fratricida, anche se alla fine si finge di averla vinta.
L’Italia e l’Europa ne sono uscite sbriciolate, la fiamma della civiltà che era nelle nostre mani da tre millenni ci è stata tolta di mano e improvvisamente ci siamo ritrovati ad essere una colonia culturale americana.
Festeggiamo il 25 aprile senza renderci conto che ormai non siamo che i testimoni passivi della nostra stessa storia. Se osserviamo attentamente l’epoca di cui siamo figli, cosa possiamo pensare? che una catastrofe assoluta si è abbattuta sul brevissimo capitolo della vicenda dell’umanità di cui facciamo parte …
Una catastrofe causata dalla giù clamorosa follia suicida della storia: la Prima Guerra mondiale. La fine dell’Europa civile.
Parlare oggi di fine dell’Europa civile è un sacrilegio per i vate della sinistra e del boldrinismo. Perché la “figlia primogenita” del 25 aprile fu proprio l’Europa, l’Unione Europea.
Ma come possiamo esimerci dal constatare l’Unione Europea, negozio in franchising della società di mercato, dell’ultra-liberalismo edonista e materialista, non è e non potrà mai essere degno erede della civilizzazione che per millenni, da Roma, ad Atene, da Aquisgrana a Vienna, da Parigi a Mosca, aveva illuminato la Terra intera.
Come tacere, questo 25 aprile, che questa Europa è la versione edulcorata di quella che fu, che questa Europa non è che il prodotto scadente di un modello di società consumistica impostoci dai vincitori della Guerra che ha sancito la nostra uscita di scena dal palcoscenico della storia.
Gli anni passano. Ed è sempre 25 aprile. Sarebbe tempo per l’Italia di prendere coscienza dei cambiamenti che ci sono stati imposti, e che abbiamo accettato con ingenuo entusiasmo solo perché improvvisamente il benessere sembrava il vero volto della libertà assoluta.
Il manicheismo era forse necessario per perpetuare la guerra della memoria e le sue mascherate ideologiche. Ma la pace domanda altre virtù, la più preziosa delle quali è l’amore della verità.
Buon 25 aprile
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