Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
ta. Finalmente è tutto finito. Se c’è ancora la speranza di un sentimento condiviso in seno al popolo francese è questo: il sollievo che tutto sia terminato, che questa vomitevole campagna presidenziale sia ormai alle spalle.
Macron è Presidente della Repubblica. Adesso un po’ di silenzio, di quiete s’il vous plaît.
Le due settimane trascorse tra il primo e il secondo turno delle elezioni hanno costretto il paese ad una tale overdose di finte polemiche e di pelosa retorica, che la voglia di staccare la spina e passare ad altro (alla vita vera per esempio) era ormai soffocante.
Sono stati i quindici giorni dell’odio, i quindici giorni di tutti gli odi: dell’odio per l’avversario politico trasformato in odio per il nemico, in odio per il male e, come sempre accade, l’odio per il male è divenuto un dovere civico, un dovere morale. Il voto per il “bene” un gesto di resistenza partigiana.
Ancora una volta, la nazione che si vanta della sua laicità assoluta (poi provate a chiedere a un francese cosa sia questa benedetta laïcité, nessuno sa rispondere) ha visto tutti i suoi maître à penser trasformarsi (un po’ come Cenerentola a mezzanotte) in sacerdoti del politicamente corretto, preti dell’antifascismo immaginario, tutti a fare appello a votare per il bene contro il male. A destra e a sinistra.
Satana contro Satana. Macron: il satanasso del neo-liberalismo, del mondialismo, della finanza VS Marine Le Pen: l’anticristo del nazionalismo, del protezionismo, del razzismo.
Lo scontro politico si è trasformato così in una disputa mediatico-teologica sul male assoluto. In tipico stile americano, con i due candidati ad incarnare letteralmente due ideologie agli antipodi, inconciliabili. Macron et Le Pen: campioni rispettivamente della France périphérique e della France delle metropoli gioiose, dove lo champagne scorre a fiumi e le strade sono lastricate d’oro.
E buonanotte alle sfumature, all’osservazione, alla critica, alla ragione e alla complessità del reale.
Rovesciato sui social, nei bar, nelle aule di scuola, ovunque ; messo in atto con la coscienza pulita, con manicheismo estremo, con la tipica stupidità inesorabile dell’antifascismo da mercato, questo appello incessante all’odio dell’altro non ha fatto che trasformare l’elezione della più alta carica dello Stato in un evento mediatico, in materia da Facebook, in argomento da tweet.
Ma finalmente è finita. Macron è Presidente. A vederlo in tv sembra il vincitore di un reality show e forse è proprio così.
Non poteva che essere così. Ha vinto il male che fa meno paura.
Chi è Macron? Da dove viene Macron? Che cosa farà Macron? Qual è il suo programma? Non gliene frega niente a nessuno. Europa, finanza, liberalismo,… l’elettore come un pugile suonato, dopo due settimane di dibattiti, editoriali, polemiche, radio tv, social, senza sosta, ha fatto l’unica cosa che poteva fare: votare ciò che somigliava al male minore.
Certo, Macron è giovane. Ma pensare che abbia vinto (come molti commenti sui media italiani di oggi vogliano far credere) perché interprete di un qualsiasi “cambiamento” sarebbe un errore. La vittoria di Macron somiglia molto alle vittorie della DC nel secondo dopoguerra: i francesi lo hanno scelto per quel che non è (nazionalista) e per quel che non farà (uscire dall’Europa e dall’Euro). Una dinamica poco entusiasmante, ma che spiega anche il forte astensionismo.
Saranno cinque anni in linea con quelli appena trascorsi. Stop.
Certo, i problemi e gli interrogativi restano. Che fare della disoccupazione? Che fare della desertificazione economica e demografica delle piccole città e dei centri urbani periferici rispetto alle grandi metropoli che attirano tutta la ricchezza, tutta la forza lavoro e tutte le professioni liberali?
Che fare della liquefazione della scuola pubblica?
Che fare della penetrazione dell’islamismo radicale? Che fare della propaganda “salafista” portata avanti a suon di miliardi dalle élites saudite e turche che alimenta il “comunistarismo” nelle periferie?
Si ha l’impressione che Marcon abbia vinto proprio perché promette implicitamente di non rispondere a queste domande. Perché farlo vorrebbe dire mettere a nudo fratture sociali che ormai non possono essere risolte senza traumi. E la Francia, la maggioranza dei francesi, traumi non ne vuole.
In Francia i vincitori della globalizzazione (così vengono etichettati gli elettori di Macron) sono di più degli sconfitti. In Francia ci sono problemi urgenti e povertà in aumento, ma c’è ancora tanta, tanta ricchezza e soprattutto uno stato sociale davvero impressionante.
Perché allora fare il salto nel buio? Perché dare credito ad una Marine Le Pen che ha dimostrato ancora una volta di non essere assolutamente all’altezza delle aspettative dell’elettorato di destra, e ancora meno della complessità delle questioni più scottanti della politica francese?
Meglio mettersi En Marche! con Emmanuel Macron, non guardare dove non si deve, spazzare ancora un po’ di polvere sotto il tappeto e godersi la festa, perché la France non è pronta a mollare uno status quo, un ordre établi che miete qualche “vittima” certo, ma che assicura ancora un alto livello di benessere e di speranza alle giovani generazioni.
Ecco il segreto della vittoria di Macron. Adesso tocca alle legislative, tra pochi giorni ci risiamo: una nuova puntata del gran varietà democratico…
Ma ora godiamoci qualche giorno di silenzio e di quiete, s’il vous plaît…
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