Editoriale

Avanti marciando moriremo marcendo

L'Italia prigioniera di luoghi comuni, azioni comuni e demagogiche e soprattutto vittima dell'inutilità dei suoi dirigenti

Dalmazio Frau

di Dalmazio Frau

quo;Italia è quel paese che va avanti marciando e morirà marcendo. Sì perché noi siamo divenuti un popolo di “marciatori” incuranti del marcio che non è più soltanto dell’antica Danimarca. Marciano tutti e per qualunque cosa. Da Sinistra marciano per i diritti delle minoranze presunte tali, per i profughi di nessuna guerra, per manifestare contro tutti i “fascismi” e per un’innumerevole quantità di altre ragioni… A Destra si marcia ugualmente, per la Famiglia, contro le unioni civili, per questo e contro quest’altro. Tutte motivazioni validissime, molte delle quali condivido seppur non marcio, ma ancora non ho visto nessun politico di professione indire una marcia per qualcosa che dovrebbe essere nell’interesse di tutti, di là da ogni categoria politica e che, invece, da tutte - nessuna esclusa - è sempre stata bellamente mai considerata.

Insomma, cari – nel senso di costosi – onorevoli, mi piacerebbe vedervi sfilare, marciare, stare come sentinelle immobili e silenti, fate un po’ voi, per salvaguardare la Bellezza, per segnalare che le generazioni future – sì quelle alle quali tanto giustamente teniamo preoccupandoci di figli e famiglia – erediteranno un mondo devastato dalle brutture. 

Non ho mai visto nessuno marciare per la devastazione paesaggistica dovuta alle pale eoliche in Puglia o in Sardegna, nessun politico ha mai marciato manifestando insieme ad altri il proprio dissenso per la perdita della nostra Cultura, la rovina del nostro patrimonio artistico. No, qua si marcia soltanto per alcune cose e mai per altre, ugualmente o forse anche più importanti. E questo semplicemente perché tutti criticano il “povero” Tremonti per una sua frase disgraziata; ma loro, in realtà hanno fatto in modo che con la Cultura ci si potesse mangiare? Quando vedrò alcuni politici, soprattutto di Destra, indignarsi per le oscenità urbanistiche, per gli obbrobri architettonici, per le porcherie estetiche che devastano il paese un tempo noto come Italia, centro e splendore del mondo, allora comincerò a credere che vi sia speranza anche “dove il sì suona”, ma finché vedrò cieco disinteresse su tutto questo, sarà ben difficile che possa dare il mio supporto a gente ignara – ovvero che ignora – che un paese privo della Bellezza è soltanto un immenso, esteso cimitero all’aria aperta, fatto di morti viventi che non hanno futuro.

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