Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
re ho guardato con interesse alla città, quel reticolo urbano, quell'organismo fatto di rettilinei assi quartieri, tutti luoghi dove si costruiscono rapporti e vite, luoghi che incidono sullo sviluppo della persona molto più di quanto si possa credere.
La città rinascimentale con le sue geometrie ortogonali: fulgidi esempi Ferrara e Firenze. La città barocca scenografica, ellittica e teatrale: Roma, Siracusa, Noto. La città ottocentesca, nella massima espressione parigina, la città che s'illumina con la Tour Eiffel e che si rinnova. La città del Novecento, quella che ho più analizzato, tentando di cogliere la sua intrinseca doppiezza: dinamismo della periferia e stasi del centro, futuro e passato, gruppo e aggregato seriale, dispiegamento delle poderose forze collettive di contro all'alienazione del singolo.
Oggi le città sembrano approdate ad un nuovo stadio non ancora completato. Oggi sono il terreno nel quale si estrinsecano fenomeni globali: come scriveva Bauman sono “discariche di problemi globali”. Immigrazione, terrorismo, povertà vecchia e nuova: tutti residui di scarto della catena produttiva della globalizzazione stipati nelle città.
Prenderò in esame la città di Firenze, la mia città, come fosse un laboratorio dove valutare l'impatto di fenomeni globali e apparentemente incontrollabili che stanno cambiando e alterando il volto della città.
Cosa c'è alla base di una diaspora di fiorentini, trentaseimila in dieci anni? Come ha fatto il degrado a diventare una realtà permanente alla quale molti si stanno abituando, una realtà che pur stride con le fulgide glorie del passato? Che fine ha fatto la Firenze delle riviste letterarie, la Firenze popolare di Pratolini, la Firenze delle botteghe artigiane? Non senza rimpianto e nostalgia, noi che pur non abbiamo vissuto quell'epoca, la ricordiamo con piacere.
Effluvi sapidi, orde insaziabili di forestieri che divorano, gettano rifiuti, sporcano, scattano foto, che consumano la bellezza come fosse un qualsiasi bene od oggetto, ignari di essere nel cuore propulsivo del Rinascimento, strade unte, logore, abusivi onnipresenti e invasivi, l'inciviltà dei turisti, panni stesi al Battistero: un catalogo di bassezze, fotogrammi, che testimoniano il progressivo scadimento della città e la metamorfosi del centro. Ecco Firenze.
La cronaca fiorentina e non ha sdoganato il degrado, ne dà risalto quasi quotidianamente ma molto spesso non approfondisce il problema nelle sue implicazioni e sfaccettature, lambisce la superficie ma non ha interesse a mettere in luce le cause profonde, strutturali, frutto di una stratificazione di decisioni prese o non prese. Ho scelto di prendere in esame tre fenomeni che seppur parzialmente riassumono i cambiamenti della città: desertificazione industriale, turismo di massa e gentryfication.
Nel tempo la città è stata sistematicamente spolpata delle sue industrie storiche, non grandi ma strategiche, non grandi ma d'eccellenza, una era la Seves, la regina del vetrocemento, il cuore della comunità operaia di Castello, al confine con Sesto Fiorentino, trasferita in Repubblica Ceca con tanto di stampi e progetti: operai licenziati, altiforni smantellati, cancelli serrati definitivamente, complesso abbandonato. Un destino analogo a tante realtà italiane nell'epoca postindustriale dove il Capitale fugge nello “spazio dei flussi”, evapora e il Lavoro resta orfano. Con questo un intero tessuto economico, sociale, umano che si era stratificato e addensato intorno alla fabbrica si è sfibrato e degradato. Si tratta di un microcosmo che difficilmente si potrà rigenerare.
Abbandoniamo l'ex periferia industriale della città per volgere lo sguardo al centro storico. Gentryfication: parola oscura, un prestito dalla lingua inglese, non molto conosciuta. Deriva da gentry, nobiltà e si usa per descrivere la trasformazione di interi quartieri un tempo popolari o di zone che le politiche pubbliche hanno deliberatamente abbandonato, attraverso interventi talvolta molto invasivi e manipolativi, in zone residenziali di alto pregio. Non mancano esempi oserei dire di scuola in città. Ne riporto alcuni: area Cerdec e per l'appunto anche l'area ex Seves, la Manifattura Tabacchi e perfino Palazzo Bufalini e l'ex Teatro Comunale. Tutti questi complessi rischiano di essere venduti e trasformati in appartamenti di lusso: saranno apportate tutte le modifiche alle strutture pur di accontentare il gusto e il capriccio dei facoltosi compratori. Tutto a norma, tutto garantito da un solido cambio di destinazione d'uso concesso dalla Regione, se nei progetti sono previsti anche i parcheggi interrati questi finiranno pure nell'ultimo Piano Regolatore perché ritenuti un'opera necessaria e da incoraggiare; poco importa del rischio idrogeologico.
L'ultimo fenomeno che ho selezionato è forse il più impattante: si tratta del turismo di massa. Esso non solo congestiona le vie fiorentine con orde rumorose di forestieri ma incentiva la moltiplicazione di B&B, di fast food, di negozi di finto cuoio fiorentino, di paninoteche, di pub, kebab e negozi di cover che a loro volta soppiantano le attività tradizionali e tipiche. Un turismo di bassa qualità e disposto a spendere poco e visto che il consumatore detta le regole la città si è adeguata per sopravvivere diventando una mangiatoia contornata di bellezze. Non sono esenti da colpe gli amministratori locali che attraverso controverse opere pubbliche come l'ampliamento di Peretola intendono favorire sempre di più il turismo di massa. Una città impoverita che si sorregge solo sul turismo: e se un giorno i biglietti aerei dovessero aumentare di colpo? Meglio non pensarci, meglio vivere alla giornata.
Vorrei concludere questa disamina con un brano emblematico. “Firenze ha la vergogna d'essere una di quelle città che non vivono col lavoro indipendente dei loro cittadini vivi ma collo sfruttamento del genio dei padri e della curiosità dei forestieri. Se girate le strade di questa città non vedete altro che alberghi, pensioni, case e camere ammobiliate, caffè per stranieri, uffici per stranieri, stanze per il thè, negozi di antiquari e di rigattieri. Tutta la città un giorno o l'altro si potrà chiuder dentro da un muro e farne un gran museo col biglietto d'ingresso di cento lire. Ormai non sappiamo far altro. Metà dei fiorentini campa direttamente alle spalle degli stranieri e l'altra metà vive sulle spalle di quelli che campano alle spalle dei forestieri. In una città dove tutti, dal ragazzo di strada al fiaccheraio, dall'albergatore di lusso al lustrascarpe, dal grande antiquario all'accattone non sono altro che servitori umilissimi e succhiatori vilissimi di tutte le scimmie transalpine e transatlantiche che sbarcano alla stazione di Santa Maria Novella”.
Mutatis mutandis l'affresco è servito. Serve altro? Fu scritto da Papini nel 1913.
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