Editoriale

La Biblioteca e gli archivi dell'IsIAO finalmente trovano casa

Un giusto salvataggio, che però non cancella il crimine culturale

Riccardo Rosati

di Riccardo Rosati

iblioteca dell’IsIAO riapre al pubblico! A oltre sei anni dalla chiusura dell’Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente (IsIAO), il 9 maggio scorso, la prestigiosa raccolta libraria è tornata disponibile per la fruizione presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma. All'evento è stata dedicata una mostra.

Prima però di raccontare lo straordinario Patrimonio nuovamente a disposizione degli studiosi, riteniamo giusto fare un cenno alla importantissima raccolta orientale della Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, inaugurata nel 1975, in un grande edificio in International Style, su progetto degli architetti: Massimo Castellazzi, Tullio Dell'Anese e Annibale Vitellozzi.

I fondi orientali della “Vittorio Emanuele II” sono di rilevanza internazionale e, va da sé, che non solo di ciò sono totalmente allo scuro la maggioranza dei suoi utenti, ma, colpevolmente, pure buona parte della Comunità Accademica nostrana. Nondimeno, le raccolte librarie orientali della Biblioteca sono numerose, dalle opere a stampa ebraiche, arabe e persiane, fino alla sezione prettamente asiatica.

Il Fondo Cinese raccoglie complessivamente circa 1.500 titoli per un totale di 13.000 volumi, ai quali bisogna aggiungere il dono nel 1992 dell’Associazione Italia-Cina di altri 6.000 testi. Il nucleo originario del Fondo Cinese è costituito da opere provenienti dalla Biblioteca Major dei Gesuiti del Collegio Romano, passata dopo il 1873, con la Legge sulla Soppressione delle Congregazioni Religiose, allo Stato e depositate presso la Biblioteca Nazionale di Roma. Tanti sarebbero i testi di cui parlare, per questioni di spazio, ci limitiamo a ricordare quello di maggiore pregio facente parte della collezione cinese: il Bencao Pinhui Jingyao (本草品汇精要, XVI sec.), pregevole scritto di farmacopea, riccamente illustrato, al mondo ne esistono soltanto tre copie!

Il Fondo Giapponese ha origini assai più recenti, che risalgono agli ultimi decenni del XIX secolo, con l’acquisizione della biblioteca privata di Carlo Valenziani, professore di Lingue e Letterature dell’Estremo Oriente all’Università di Roma. Le collezioni vennero incrementate nei primi anni del XX secolo dalle donazioni da parte del Ministero degli Esteri e del Ministero della Guerra, nonché dall'acquisto di altre raccolte private. Il Fondo Giapponese comprende circa 2.500 titoli, per un numero complessivo di 5.000 volumi.

Veniamo ora all'IsIAO. La riapertura di quella che va a buon ragione considerata la più completa e importante biblioteca orientale d'Occidente, seconda solo alle inarrivabili raccolte della Apostolica Vaticana, dunque sempre a Roma ci troviamo, andrebbe salutata con entusiasmo, segnatamente se pensiamo che essa si inserisce in un luogo già ricco di testi dall'Asia. Certo, piuttosto che marcire nelle sale deserte della vecchia sede dell'IsIAO in via Ulisse Aldrovandi, ben venga l'essere ospitata nella Biblioteca Nazionale. Ciononostante, che si tratti precisamente di un qualcosa di momentaneo, per due motivi fondamentali.

Primo, la Istituzione situata in zona Castro Pretorio necessiterebbe di nuovi spazi per conservare le proprie raccolte. Secondo, auspichiamo che lo scempio rappresentato dalla chiusura del più blasonato e antico centro per gli studi orientali in Occidente sia prima o poi sanato, riaprendolo, facendo rivivere la grande tradizione dell'IsMEO/IsIAO. Fatta questa doverosa premessa, descriviamo per sommi capi queste raccolte, che abbiamo potuto vedere di persona, grazie alla gentilezza e disponibilità di due funzionari della Biblioteca Nazionale.

Parliamo di 180.000 volumi, la stragrande maggioranza specialistici, un vero tesoro! I fondi che lo compongono sono tanti, tutti o quasi unici per la ricchezza e varietà del materiale custodito. Tra di essi spiccano quelli di antichi manoscritti sanscriti e tibetani acquisiti dal fondatore della Biblioteca, Giuseppe Tucci, il principale orientalista della epoca moderna. Non facciamo mistero, che quando abbiamo finalmente potuto ammirare il Fondo Tibetano messo assieme da Tucci, non siamo riusciti a evitare di emozionarci sino quasi alla commozione, poiché il Professore – l'unico modo col quale Tucci andrebbe chiamato – è riuscito a creare una raccolta che non esiste nemmeno più in Tibet; fatto dimostrato che da Pechino era stata manifestata la intenzione di venire a studiare i testi della Biblioteca dell'IsIAO, ma l'Istituto venne poi chiuso e non se ne fece più nulla. 

Davvero originale è il Fondo Emilio Dubbiosi, con numerose opere manoscritte in arabo provenienti da una zona “remota” e perlopiù ignorata come lo Yemen. Scarse sono le notizie sul Dubbiosi, medico militare dal 1918 al 1938 a Sana’a, dove fu per un lungo periodo il dottore personale dell’Imām. Qui egli raccolse 226 volumi, in gran parte manoscritti, che nel 1990 furono donati alla Biblioteca dell’allora IsMEO. La raccolta riveste particolare importanza dal momento che almeno 30 sono le opere rare e 7 quelle uniche.

Passiamo al Fondo Maurizio Taddei, direttore per l'Istituto delle campagne di scavo in Afghanistan prima e in Pakistan poi, a partire dal 1967. La sua biblioteca è composta da 3.000 volumi ai quali si aggiungono alcune centinaia di estratti. Il Fondo si distingue per la corposa presenza di scritti sull’arte e sulla cultura dell’India e del Subcontinente Indiano.

La parte da leone la fa chiaramente il lascito di Tucci, che consta di 25.000 volumi confluiti nella raccolta dell’IsMEO, a testimoniare la sua straordinaria erudizione, che spaziava nel mondo asiatico, dalla Cina all’India, dall’Iran all’amato Tibet. Di questa grande collezione ricordiamo qui per il loro incredibile valore l’insieme di circa 2.500 manoscritti e libri xilografici tibetani, acquisiti durante le spedizioni nel Tibet Occidentale (1933 e 1935) e nel Tibet Centrale (1937 e 1948). Tucci raccolse opere dei massimi esponenti delle varie scuole in cui era diviso il Buddhismo Tibetano (il Vajrayāna nella sua forma lamaista), insieme a testi della religione Bon: l’antica fede del Tibet prebuddhista. A questi si aggiungono volumi di medicina, grammatica e astrologia. Non dimentichiamo poi la raccolta di riproduzioni fotografiche di manoscritti sanscriti individuati da Tucci durante le sue spedizioni in India, Nepal e Tibet tra il 1933 al 1949. Per alcuni di quei testi andati perduti, la documentazione fotografica è la unica testimonianza rimasta a disposizione dei ricercatori. Tra le fotografie, bellissime sono quelle scattate da Fosco Maraini – conflittuale allievo di Tucci – nella Regione Himalayana durante le spedizioni del 1937 e, specialmente, del 1948: si trattava in questo ultimo caso della ottava missione organizzata dall'Esploratore del Duce (così taluni chiamano oggi in modo un po' provocatorio il Professor Tucci) in Tibet. Grazie a queste insostituibili esperienze, Maraini poté scrivere Segreto Tibet (1951), un testo che lo fece conoscere al pubblico mondiale.

Infine, sono parte integrante del patrimonio trasferito nella sede della Biblioteca Nazionale anche la Fototeca Africana e la Cartoteca, già appartenute all’Istituto Italo-Africano, che contano rispettivamente oltre 100.000 tra fotografie e negativi risalenti al periodo coloniale italiano e oltre 14.000 carte geografiche della stessa epoca.

Cosa altro aggiungere a tanta meraviglia, un autentico Bengodi per qualsiasi orientalista? Per prima cosa, un grazie a tutti questi studiosi, i quali ci hanno lasciato un Patrimonio che è nostro preciso dovere conservare e valorizzare. Nella sala dei “rari” all'interno della Biblioteca Nazionale, vi è un angolo dedicato alla memoria dell'IsIAO, con una libreria colma delle varie edizioni scientifiche prodotte dall'Istituto, al cui lato si trova una foto proprio di Tucci. Dall'altra parte della libreria è possibile vedere una assoluta curiosità: un set portatile con la storia sulla vita di Gandhi, “strumento didattico” utilizzato un tempo dal Governo Indiano per raccontare le vicende personali della “Grande Anima”.

Ben venga allora questo salvataggio, il tesoro dell'IsIAO ci è parso in buone mani. Rimane, comunque, in noi un augurio, che il più importante centro di studi asiatici d'Occidente risorga, ritornando alle sue attività: missioni archeologiche e diplomatiche, scuola di lingue e luogo con una funzione museale, e che si riappropri, un giorno, dei suoi libri. Siamo consci però che la nostra rimarrà una illusione, giacché Franceschini sta addirittura per spostare il magnifico Museo Nazionale d'Arte Orientale, che non ha rivali al di fuori dell'Asia, all'EUR, comprimendolo col Museo Pigorini e, cosa forse ancor più grave, togliendogli la dedica a Giuseppe Tucci. Con quale faccia e coraggio il Ministro vada ancora in giro non si sa. Eppure, di nulla si vergognano Renzi & Co. dei loro vari crimini culturali. Sappiamo che saremo stati probabilmente gli unici a parlare, con un minimo di dettaglio, della Biblioteca dell'IsIAO, ma questo non ci fa sentire migliori degli altri, anzi, totalmente soli, come lo è questo nostro povero Paese oggi “moderno”: solo per l'appunto, distratto e privo di ricordi. 

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    3 commenti per questo articolo

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