Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
lo del “nuovo partito dei moderati” rischia di diventare il tormentone dell’estate e l’argomento principale all’ordine del giorno della ripresa politica di settembre. L’uscita di Costa dal governo, il “riposizionamento” di Alfano, il tentativo di ritornare sotto l’ala protettrice di Berlusconi da parte di tanti transfughi “centristi” (ma disposti, nell’ultimo quadriennio, a sostenere i governi a guida Pd) fanno dell’opzione “moderata” la classica foglia di fico, sotto cui nascondere politiche ondivaghe ed ambigue opzioni elettorali.
Per quanto lontani da ogni nominalismo, certi richiami “moderati” francamente non ci convincono. Anche perché – giusto per tornare alle origini – è intorno ad un’idea di cambiamento, che non è eccessivo definire “rivoluzionaria”, che il centrodestra è nato ed ha raccolto consensi.
Del resto, c’è davvero poco da essere “moderati” di fronte alle tante, troppe emergenze che segnano l’orizzonte del Paese. C’è poco da essere moderati di fronte all’emergenza dell’immigrazione, alla crisi della scuola, ai ritardi infrastrutturali, alla crisi demografica, alle debolezze del nostro sistema di protezione sociale, al gap energetico, alle lungaggini della burocrazia, alle carenze nelle politiche familiari.
Più che di moderazione il centrodestra ha oggi bisogno di decisione. Una decisione che susciti aspettative reali ed una carica suggestiva in grado di porre nuovi traguardi e costanti verifiche sul percorso della ricostruzione nazionale.
Più che di moderazione il centrodestra ha oggi bisogno di sentirsi nuovamente capace di incarnare una volontà “rivoluzionaria”. Niente a che fare – sia chiaro – con l’idea tutta moderna della rivoluzione violenta, espressione di una minoranza armata. Oggi, qui, in Italia, ci sono le condizioni per una rivoluzione maggioritaria, che chiede di rompere con tutti i parassitismi, che vuole ordine e rigore, che invita ad attivare nuovi meccanismi di inclusione sociale, territoriale, generazionale, che non chiama in causa solo l’azione politica, ma sollecita all’impegno il mondo della cultura, dell’associazionismo, del volontariato, chiudendo finalmente con la stagione dell’egemonia culturale della sinistra.
Nessun appello formale perciò al “moderatismo”. Quanto piuttosto un richiamo forte agli elementi costitutivi della migliore tradizione politica italiana, a quell’idea di Nazione, di socialità, di identità spirituale, di dinamismo economico, che sono stati sintetizzati dalla cultura d’impronta nazionale, socialista, cattolica, liberale. E’ a questo affascinante integrarsi e confrontarsi di culture e di esperienze diverse che il centrodestra deve sapere guardare, smettendola di baloccarsi con un “moderatismo” insipido, ma ugualmente indigesto alla maggioranza del popolo italiano.
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