Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Il nostro mondo iperconnesso ci illude di poter di assistere in diretta allo svolgimento della Storia. Un flusso inarrestabile di informazioni che ci sottrae quel “diritto al silenzio” di cui parlava Aleksandr Solženicyn:
il diritto a non sapere, il diritto a non vedere la propria anima divina soffocata dai pettegolezzi, dalle stupidità e dalle vane parole (il Declino del Coraggio, Harvard, 8 giugno 1978)
Niente è più arduo, oggi, del fermarsi a riflettere per cercare di cogliere il significato degli eventi.
Come affrancarsi da un ambiente esasperatamente emotivo, magistralmente orchestrato da media e social con l’abilità (e l’audacia) di un regista di Hollywood? Come comprendere la nostra epoca?
Come definire la natura delle mutazioni antropologiche post ’68, alle quali la caduta dell’Unione Sovietica e il dilagare dell’ideologia americana hanno dato campo libero?
Dopo la caduta del Muro, gli anni ’90 ci hanno inconsciamente preparati ad un progressismo autoreferenziale i cui dogmi sono il multiculturalismo, i nuovi diritti umani, il gender, il suicidio assistito e la tecnologia (intesa come prolungamento del nostro corpo e del nostro spirito).
Stabilire una cartella clinica delle false evidenze di tale progressismo, sulle quali le nostre élites hanno costruito il consenso delle masse (false evidenze ormai assimilate con più mansuetudine dell’aria che respiriamo) è operazione ardua. Accettare l’evidenza che tale progetto ideologico ci ha cambiati e ha creato un nuovo tipo umano così come solo il più raffinato dei totalitarismi poteva fare, è altrettanto complicato.
Il Fondamentalismo dei diritti dell’uomo diviene religione del nostro tempo. La millenaria odissea umana alla ricerca del migliore dei regimi sembra conclusa e la politica si dissolve in una prospettiva puramente tecnicistica: non vi sono più finalità collettive né ipotesi umanistiche da perseguire. Non ci resta che scegliere il miglior manager con il miglior business plan volto a soddisfare la nostra sete inestinguibile di possedere sempre più beni di consumo, tecnologia, etc. Il benessere materiale e il divertimento (la Société du Spectacle di Guy Debord, 1967) hanno assunto il volto della libertà assoluta, sono il nostro orizzonte ultimo, il nostro destino.
Questa fede ci propone oggi un nuovo dogma: l’apertura all’altro, allo straniero, al migrante. L’apertura ad una diversità redentrice di tutti gli odiosi ricordi del nostro odioso passato (nazione, nazionalismo, imperialismo, medioevo, crociate, e via di seguito). Un’apertura che si traduce nel rigetto della nostra Storia, un passato ridotto ad una successione di guerre, ingiustizie e oppressioni. Un’apertura divenuta moralmente obbligatoria, nel cieco rifiuto dell’eventualità di uno scontro tra popoli, tra culture e civilizzazioni diverse e divergenti nel loro modo di intendere l’uomo, la donna, il Vero, il bello e il Bene … diverse e pertanto chiamate a convivere.
Perché questa apertura avvenga siamo in marcia verso il necessario giro di boa: l’esacerbazione dell’individualismo e il ripudio di ogni identità (etnica, nazionale, religiosa, sessuale) a noi trasmessa dalle generazioni che ci hanno preceduto, per far spazio ad una serie di rapporti di tipo “contrattuale” e a valori che avremmo scelto da soli (!) liberamente o con l’aiuto dei vate, dei maîtres-à-penser del nostro tempo che ci indicano la via.
All’orizzonte, alla fine del viaggio, ci attendono un mondo sempre connesso e un’umanità nomade, fraterna, liberata finalmente da ogni nostalgia passatista e da ogni appartenenza.
L’inesorabilità e l’implacabilità del progressismo sono evidenti se ci soffermiamo sulle sue formule chiave, sul suo lessico familiare, le sue parole d’ordine, perfettamente coerenti e perfettamente efficaci all’installazione indolore di un nuovo regime la cui visione è già latente, come una mutazione genetica, nello spirito delle masse. Un nuovo regime indistruttibile, il cui dominio non conosce ostacoli e al cui consolidamento non abbiamo fatto attenzione, non ce ne siamo neanche accorti, è lì e non sappiamo come ha fatto, quando è successo. Ci assale il dubbio che a momenti noi stessi vi abbiamo aderito o, peggio ancora, contribuito.
Come poter resistere, negli anni 80 e 90, all’appello a dispensare nuove libertà alle minoranze oppresse? come non credere alla promessa di una società nuova senza odio, razze o frontiere?
Coloro che vi si opponevano e vi si oppongono ancora non possono che essere afflitti da gravi problemi psichiatrici (le varie “fobie” odierne: omofobia, islamofobia, etc.).
Il declino del coraggio nella Chiesa
Fa discutere in questi giorni il messaggio del papa per la “Giornata mondiale del migrante”, redatto il 15 e pubblicato il 21 agosto. Un messaggio talmente disarmante e incurante della realtà e della situazione geopolitica che a molti è parso di ritrovarsi di fronte ad un editoriale di Repubblica. Una sola frase: « la sicurezza personale dei migranti deve aver la priorità sulla sicurezza nazionale », questo due giorni dopo la strage di Barcellona!
Di fronte agli odierni stravolgimenti causati dalle migrazioni di decine di migliaia di uomini dall’Africa e dal Medio Oriente, le parole di Bergoglio avrebbero potuto rappresentare una sveglia per impedire all’Europa un sonno indifferente ed egoista, uno stimolo a ricordarci i nostri doveri di fronte ad un’umanità sofferente.
Tuttavia, le sue prese di posizione suonano piuttosto come un diktat al suicidio collettivo della Cristianità in nome di un’arbitraria (e sconcertante per un pontefice) semplificazione umanitaristica del Cristianesimo.
Il papa non parla più di offrire asilo a rifugiati politici perseguitati nel loro paese o di accoglierli degnamente: la nuova parola d’ordine è un appello ad andarli a cercare sulle coste dell’Africa per portarne in Europa il più possibile, e offrire loro di vivere qui, donando loro tutto e non chiedendo in cambio nulla, nessuno sforzo per integrarsi, figuriamoci per assimilarsi.
Rileggiamo i punti del programma di Bergoglio:
« Le condizioni di migranti, richiedenti asilo e rifugiati, postulano che vengano loro garantiti la sicurezza personale e l’accesso ai servizi di base. Lo status migratorio non dovrebbe limitare l’accesso all’assistenza sanitaria nazionale e ai sistemi pensionistici. »
« offrire a migranti e rifugiati possibilità più ampie di ingresso sicuro e legale nei paesi di destinazione, Torno a sottolineare l’importanza di offrire a migranti e rifugiati una prima sistemazione adeguata e decorosa»
« è desiderabile un impegno concreto affinché sia incrementata e semplificata la concessione di visti umanitari e per il ricongiungimento familiare. Occorre favorire il ricongiungimento familiare – con l’inclusione di nonni, fratelli e nipoti –, senza mai farlo dipendere da requisiti economici»
« Per questo auspico che, nel rispetto della loro dignità, vengano loro concessi la libertà di movimento nel paese d’accoglienza, la possibilità di lavorare e l’accesso ai mezzi di telecomunicazione. Occorre prodigarsi affinché venga promosso l’inserimento socio-lavorativo dei migranti e rifugiati, garantendo a tutti – compresi i richiedenti asilo – la possibilità di lavorare, percorsi formativi linguistici e di cittadinanza attiva e un’informazione adeguata nelle loro lingue originali. Nel caso di minori migranti, il loro coinvolgimento in attività lavorative richiede di essere regolamentato in modo da prevenire abusi e minacce alla loro normale crescita»
« L’integrazione non è «un’assimilazione, che induce a sopprimere o a dimenticare la propria identità culturale. Il contatto con l’altro porta piuttosto a scoprirne il “segreto”, ad aprirsi a lui per accoglierne gli aspetti validi e contribuire così ad una maggior conoscenza reciproca. È un processo prolungato che mira a formare società e culture, rendendole sempre più riflesso dei multiformi doni di Dio agli uomini »
« Tale processo può essere accelerato attraverso l’offerta di cittadinanza slegata da requisiti economici e linguistici e di percorsi di regolarizzazione straordinaria per migranti che possano vantare una lunga permanenza nel paese. »
E aggiunge : « Ogni forestiero che bussa alla nostra porta è un’occasione di incontro con Gesù Cristo, il quale si identifica con lo straniero accolto o rifiutato di ogni epoca »
Il Papa sposa il progetto multiculturale, si schiera apertamente a favore della costruzione di una nuova Torre di Babele: un melting pot volto a sciogliere l’idea stessa di nazione e di sovranità nazionale.
Seguendo il piano Bergoglio, lo Stato non avrebbe più il dovere di incarnare il volto istituzionale di una nazione, bensì dovrebbe correre in soccorso dell’umanità intera infischiandosene del passato, della storia e dell’identità culturale e religiosa del proprio popolo.
L’immigrato assurge a figura cristologica, letteralmente divinizzato al di là di ogni ragionevole appello alla solidarietà e alla compassione. La Chiesa, tramite il suo sovrano, non parla più di incontro fraterno, di reciprocità, no! il papa programma, da vero leader di partito, la nostra totale sottomissione agli interessi di un altro da accogliere. Dopo i disastri del binomio “socialismo/teologia della liberazione” ecco che, direttamente dal Vaticano, il Cristianesimo viene di nuovo subordinato all’ideologia del giorno.
È ovvio che la questione delle migrazioni di massa impone una seria riflessione alla quale anche la Chiesa cattolica deve dare il proprio contributo. Si tratta della questione più urgente della nostra epoca. Trovare un punto di equilibrio tra i nostri interessi nazionali (vedi la protezione dei deboli, dei poveri e degli emarginati italiani) e i nostri doveri, appare estremamente difficile. Non è permesso lasciarsi andare a facili demagogie né tantomeno proporre indebite semplificazioni solo per crogiolarsi nel confort dei facili applausi di Repubblica & Co.
Abbandonarsi a un tale moralismo politically correct, compiacersi di una superiorità morale puramente teorica è oltremodo indegno per la Chiesa e per la sua tradizione. Joseph Ratzinger non avrebbe mai parlato in questo modo: le divergenze tra il suo magistero e le dichiarazioni di Bergoglio non possono che lasciare esterrefatto, smarrito, un mondo cattolico che non comprende i perché di questa adesione incondizionata al multiculturalismo da parte del papa e della CEI.
Come accettare questo appello alla distruzione volontaria e programmata della cultura europea? Davvero possiamo credere che quello economico sia l’elemento chiave del fenomeno migratorio in atto?
La vera questione è lo ius soli. Il Nodo di Gordio è l’attribuzione del diritto di cittadinanza e di voto a popoli di cultura e religione diversa, dotati di un motore demografico cinque volte superiore al nostro. Qui non si tratta di accogliere persone, come vuol farci credere il papa, qui si tratta di una sfida impossibile: metabolizzare popoli e civilizzazioni che hanno una visione dell’uomo, del diritto e della libertà completamente diverse dalla nostra.
Il papa punta addirittura il dito contro l’assimilazione: egli ci chiede di integrarli nel rispetto della loro cultura, consiglia di dar loro documenti e diritti senza chiedere in contropartita di sottoscrivere nessun contratto sociale con la nostra modernità, figuriamoci quindi con la nostra tradizione…prospettando così il sorgere di una nuova Babele.
Se applicate, le sue proposte determinerebbero un’abolizione delle frontiere, la fine della distinzione tra cittadini e stranieri e soprattutto metterebbero tutte le culture sullo stesso piano, tutte con la stessa dignità nonostante una diversa concezione della dignità della persona umana.
Questo nonostante gli esempi dei nostri vicini, Francia, Inghilterra, Germania e Olanda, dove esperimenti utopici di questo tipo sono già stati messi in atto negli ultimi decenni, dimostrino che le frontiere che si vogliono abolire tra stati finiscano ineluttabilmente per riemergere all’interno dei confini stessi: tra centro e periferia, tra quartieri, tra città e campagna, etc. con il risultato di incoraggiare il comunitarismo ed esporre gli individui agli stessi abusi dai quali cercavano rifugio lasciando il loro paese d’origine.
Dov’è il buon pastore?
Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore. Il mercenario invece, che non è pastore e al quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge e il lupo le rapisce e le disperde; egli è un mercenario e non gli importa delle pecore. (Giovanni 10,11-13)
Il papa, vicario di Cristo, successore del Buon Pastore, è legittimato ad aprire le porte dell’ovile per far entrare lupi travestiti da agnelli?
È ragionevole credere che Francesco sia talmente ingenuo da non vedere quali sono i rischi della penetrazione del comunitarismo islamico in Europa?
Egli arriva da lontano, la sua visione è frutto della sua esperienza in un mondo completamente diverso dal nostro, ha ormai ottant’anni, e viene da pensare che la sua capacità di comprendere il contesto italiano ed europeo sia piuttosto limitata. Resta tuttavia sconcertante l’atteggiamento dei vescovi italiani che dovrebbero, al contrario, conoscere perfettamente il problema in ogni minimo dettaglio e avrebbero dovuto suggerire al pontefice una maggiore cautela su temi così scottanti.
Chiamare l’Italia e l’Europa a scegliere tra un preteso egoismo e un martirio senza vocazione è un quasi grottesco per un papa.
Quando Francesco ci ricorda che i figli dei migranti sono innocenti come i nostri egli fa il suo lavoro. Tutti d’accordo. Ma con quale diritto egli stabilisce un programma politico volto a creare un caos capace di portarci al soglio di una guerra civile che metterebbe in pericolo sia i nostri figli che i loro?
In questi anni abbiamo spesso intimato al mondo musulmano di fare i conti con le ipocrisie delle proprie élites. È arrivato anche per i cattolici il momento di richiamare i vescovi, compreso quello di Roma, alle proprie responsabilità pastorali.
Dopo duemila anni di cultura, tradizione, civiltà, essi non hanno davvero più nulla da proporci se non questo vigliacco declino del coraggio?
Il declino del coraggio è, nell’Occidente d’oggi, forse ciò che più colpisce uno sguardo straniero. Il coraggio civico ha disertato non solo il mondo occidentale nel suo insieme, ma anche ognuno dei paesi che lo compongono, ognuno dei suoi governi, ognuno dei suoi partiti, nonché, beninteso, l’Organizzazione delle Nazioni Unite. Questo declino del coraggio è particolarmente avvertibile nello strato dirigente e nello strato intellettuale dominante, e da qui deriva l’impressione che il coraggio abbia disertato la società nel suo insieme.
I funzionari politici e intellettuali manifestano questo declino, questa fiacchezza, questa irrisolutezza nei loro atti, nei loro discorsi e soprattutto nelle considerazioni teoriche che si premurano di esibire dimostrandovi che questo modo d’agire, che basa la politica di uno Stato sulla vigliaccheria e il servilismo, è pragmatico, razionale e giustificato da qualsiasi elevato punto di vista intellettuale e perfino morale lo si consideri. […] Ma la loro lingua si secca e le loro braccia si paralizzano di fronte ai governi potenti e alle forze minacciose, di fronte agli aggressori e all’Internazionale del terrore.
C’è bisogno di ricordare che il declino del coraggio è stato sempre considerato, sin dai tempi antichi, il segno precorritore della fine?
(Aleksandr Solženicyn)
fonti:
- Michael de Jaegaere: Court traité de dissidence (leFigaro Histoire n33, agosto 2017)
- Aurélien Marq: pape Francçois: le christianisme contre la chrétienté , causeur.fr, agosto 2017
- Aleksandr Solženicyn:il Declino del Coraggio, Harvard, 8 giugno 1978
il testo integrale del messaggio del papa per la Giornata del migrante:
http://w2.vatican.va/content/francesco/it/messages/migration/documents/papa-francesco_20170815_world-migrants-day-2018.html
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